Un breve idillio estivo poi lo scontro furibondo di Paolo Colonnello

Un breve idillio estivo poi lo scontro furibondo TRA IL POOL £11. CAVALIERE SOLO UNA TREGUA DURATA POCHI MESI Un breve idillio estivo poi lo scontro furibondo la storia Paolo Colonnello MILANO L ff AMORE non c'è mai stato. " Tra i magistrati milanesi e Silvio Berlusconi il rapporto è quasi sempre stato di scontro. Duro e spesso senza esclusione di colpi. Ma parlare di odio, nonostante l'asprezza dei toni, sarebbe eccessivo. Il massimo del "savoir faire" si è raggiunto lo scorso giugno, quando il Cavaliere, una domenica pomeriggio, a sorpresa, si recò dai pm Francesco Greco e Paolo lelo per presentare una memoria sui falsi in bilancio delle sue società. Dopo l'incontro, fuori dal palazzo di giustizia, Berlusconi ebbe quasi parole elogiative per il lavoro dei magistrati, gli stessi che ieri ha definito «un cancro» per il Paese. Ricevette in cambio parole di stima da parte del procuratore Gerardo D'Ambrosio, che iniziò a sperare in una normalizzazione dei rapporti tra "la procura rossa" e il Cavaliere. L'idillio, se così si può dire, durò fino a settembre, al punto che, ricevendo un invito a comparire per essere interrogato sulla vicenda del Lodo Mondadori, Berlusconi usò addirittura espressioni di borrelliana memoria, giungendo a definire il provvedimento che lo riguardava «un atto a garanzia dell'indagato». Ma, alla seconda convocazione, per la stessa vicenda, anche questa volta di domenica, già s'iniziarono a vedere le prime crepe: «Noi la domenica andiamo a messa», risposero nell'entourage difensivo di Berlusconi. E quando, due settimane fa, è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio, la tensione è riesplosa. Fino all'apoteosi di ieri, subito dopo il rinvio a giudizio per l'inchiesta Sme, quando «certi magistrati al servizio della sinistra», sono diventati «un cancro per il paese». Così la procura di Milano è ritornata ad essere «una certa procura». E per i magistrati Berlusconi, da onorevole, è tornato ad essere «l'imputato Berlusconi». La storia, come tutti sanno, inizia da lontano. Dal 1994, quando il leader di Forza Italia, poco prima di diventare presidente del Consiglio, presentò all'allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro un esposto contro la magistratura di Milano per protestare a proposito del «castello di presunzioni» che a suo dire stavano alla base dell'inchiesta sulle false fatture di Publitalia. A una memorabile intervista del procuratore Borrelli che, nell'imminenza delle elezioni, ammoniva «i politici con gli scheletri negli armadi» a fare un passo indietro, il leader del Polo rispose che «nel nostro armadio non ci sono scheletri, al massimo stampelle». Sferrando poi l'accusa che sarebbe diventata un tormentone per la magistratura: quella di usare «due pesi e due misure». Nel dicembre dello stesso anno, mentre Berlusconi, diventato nel frattempo capo del governo, presiedeva il vertice internazionale sulla criminalità a Napoli, i magistrati, con un tempismo che il Cavaliere ha sempre considerato più che sospetto, pensarono bene di iscriverlo nel registro degli indagati e spedirgli tramite carabinieri un invito a comparire, il primo della serie, per corruzione. Provvedimento che l'indomani fini puntualmente sui giornali. Berlusconi si rivolse alla nazione con un messaggio televisivo: «Non cederemo di fronte a nessun ricatto... E se qualcuno cerca di sfasciare con colpi sotto la cintola quel tanto che si è costruito liberamente e democraticamente a marzo, allora la parola dovrà necessa- riamente tornare al popolo...». Da quel momento in poi la valanga di attacchi e di reazioni si è fatta inarrestabile. Nel giugno del 1995 il leader di Forza Italia si rivolse alla Procura generale della Cassazione per denunciare «le reiterate e sistematiche manipola- /.ioni delle informazioni giudiziarie che tendono a colpire il cittadino Berlusconi e a delegittimare» il suo «ruolo di leader politico del partito e della coalizione di maggioranza». A luglio fu aperta un'inchiesta contro ignoti a Brescia, competente ad indagare sui magistrati di Milano, e solo nel '96, quando venne chiesta la proroga delle indagini, si venne a sapere che sul registro degli indagati erano stati iscritti alcuni pni del pool tra cui Borrelli, Colombo, Davigo, Taddei e Greco. Mancava il nome della "toga rossa" Gerardo D'Ambrosio, l'unico con il quale è sempre rimasto aperto una sorta di canale di dialogo, e di llda Boccassini, non ancora impegnata nelle indagini sulla corruzione. Il procedimento fu poi archiviato. Ma contemporaneamente era scoppiato il "caso Di Pietro", il magistrato che Berlusconi considerava, e considera probabilmente, l'anima nera del pool di Mani Pulite. Denunciato più volte a Brescia, assolto da tutte le accuse e diventato poi senatore, Di Pietro uscì piano piano dal mirino di Berlusconi per lasciare il posto nuovamente ai «reduci» del pool milanese. Lo scorso giugno il leader del Polo ebbe anche parole di stima per i pm di Mani Pulite E fu ricambiato La pace è finita Ora è come nel '94 quando a Napoli scoppiò la «bomba» dell'avviso di garanzia

Luoghi citati: Brescia, Milano, Napoli