«Solo il ritorno del re salverà l'Afghanistan»
«Solo il ritorno del re salverà l'Afghanistan» Riunione a Roma di notabili e intellettuali «Solo il ritorno del re salverà l'Afghanistan» Proposta di riunire l'Assemblea tribale Un comitato negozierà con i taleban Maurizio Mulinali ROMA «Allah è grande, entra Sua Maestà». Una settantina di afghani si alza in piedi e rende omaggio all'ottantenne ex sovrano Mohammed Zaher. Nell'anomala platea della sala del Centro Alti Studi della Difesa sorvegliata da carabinieri in divisa c'è di tutto: le tuniche bianche di chi è arrivato da Kabul e Peshawar si mischiano agli impeccabili completi grigio-fu mo di esuli londinesi o australiani; donne velate siedono a fianco di altre con acconciature alla moda; uomini della Farnesina si intrattengono con diplomatici russi, americani, pakistani, iraniani. Per non parlare dei tanti anonimi cineoperatori stranieri intenti a filmare ogni dettaglio, ogni volto. Gli occhi di tutti sono puntati sull'anziano sovrano. E' arrivato per chiudere i quattro giorni di lavori fra intellettuali e religiosi afghani a Roma, da cui ieri è uscita la proposta di riunire la «Loya Jirgah», la storica assemblea delle tribù che non si ritrova da oltre 20 anni, da quando iniziò l'occupazione sovietica. «Dopo l'eroica vittoria contro l'invasore abbiamo sperato nella pace - dice il sovrano a bassa voce in afghano - ma è arrivata una guerra fratricida che mette a rischio l'unità nazionale e l'integrità territoriale, bisogna riunire una Loya Jirgah di emergenza per restaurare la pace fra tutti noi». Il documento finale frutto del lavoro dei 70 leader annuncia i prossimi passi del neo- li re Mohamme Zaher nato «comitato organizzativo»: sede centrale a Roma, apertura di due uffici in Iran e Pakistan, contatti con il governo dei taleban e l'esercito del «Fronte Unito» per coinvolgerli nell'assemblea delle tribù, missioni diplomatiche all'Onu. «I taleban ci hanno sempre detto che le porte sono aperte, ora abbiamo una proposta per loro, speriamo che ci ascoltino» dice Mohammed Kacem Fazelly, uno dei leader più vicini al sovrano. Ma dietro i toni moderati del summit di Roma si cela una sfida per il regime fondamentalista di Kabul: «No al traffico di droga, no al terrorismo» dice Fazelly. Due i protagonisti occidentali del vertice, svoltosi a due passi dal Vaticano. Il volto dell'Italia è quello del sottosegretario agli Esteri, Valentino Martelli. «Grazie per l'aiuto che ci date» gli ha detto il re. «Il nostro compito è di facilitare i vostri sforzi per la pace, l'Italia è a vostra disposizione ma non vi suggeriremo cosa fare» ha replicato Martelli, atteso da un tour diplomatico in Asia a sostegno dei risultati romani. Ma l'abile mediatore che ha accompagnato la difficile discussione sull'accordo finale è stato un americane: Zalmey Khalizad, consulente della «Rand Corporation» e voce ascoltata dall'Amministrazione Clinton sui rapporti ufficiosi con i Taleban. I lavori si sono conclusi come erano iniziati: ammirazione per re Zaher, recitazione del Corano e lodi ad Allah. Cosi l'incerto processo di pace afghano passa per Roma. li re Mohammed Zaher
Persone citate: Clinton, Maurizio Mulinali, Mohamme Zaher, Mohammed Kacem Fazelly, Mohammed Zaher, Valentino Martelli, Zaher, Zalmey Khalizad
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