Sofri show: sono innocente

Sofri show: sono innocente Venezia, 5 ore davanti ai giudici per replicare alle accuse dei coniugi Marino Sofri show: sono innocente «La verità nascosta nel diario della Bistolfi» Fabio Polettì inviato a VENEZIA Si toglie gli occhiali, li rimette, accavalla le gambe, agita la matita nell'aria, chiede scusa per la «pedanteria» e con un monologo che dura oltre cinque ore, Adriano Sofri cerca di convincere i giudici di una cosa sola: «Che sono innocente e quindi vorrei essere assolto. Non voglio scoprire gli assassini "del commissario Calabresi, non voglio riabilitare la sua memoria, voglio semplicemente difendere me stesso e i miei amici». E allora quella di Adriano Sofri, al suo ottavo processo, più che un'autodifesa diventa una lezione ai giudici, magari di «filologia» come la chiama quando si addentra nei meandri del diario di Antonia Bistolfi, la compagna di Leonardo Marino. «Un diario che mi era stato consegnato nell'89 dall'avvocato Armoni di Torino e che ero riluttante a usare, mi spiaceva entrare nel privato di una persona...», quasi si giustifica davanti ai giudici che glielo chiedono. Ma poi lo usa, ne legge brani interi e li analizza, per dimostrare una cosa sola: che Antonia Bistolfi e Leonardo Marino si erano messi d'accordo per sostenere le accuse. E che il movente potrebbe essere quello dei soldi, quella fortuna improvvisa della coppia - «come nei film di Frank Capra» - che dai debiti passa «a ricevere un aiuto dai Ros dei carabinieri per sistemare la questione legata al furgoncino di crépes a Bocca di Magra». O quei 200 milioni piovuti da chissà chi - «mi è stato detto, ma questa persona non lo confermerebbe mai» - e allora come ammette Sofri «non avendo la possibilità di provarlo, rimane solo una mia percezione». Cinque ore senza interruzioni da parte della corte. Salvo quando si arriva al momento delle domande, quelle dell'avvocato Luigi Ligotti, che assiste la famiglia del commissario Calabresi. «Uno che ha rapporti seriali con mafiosi e pentiti», lo attacca Sofri. Ma Ligotti incalza: vuol sapere se è vero, come scrive Curdo in un libro, che Giorgio Pietrostefani, accusato pure lui di essere uno dei mandanti dell'omicidio, nel '70 propose alle Brigate rosse di diventare il braccio illegale di Lotta continua. Se è vero che in una telefonata tra il giornalista Carlo Panella e la compagna di Sofri si parlò delle «manie di Adriano che temeva che scoppiasse il caso». E se è vero che Adriano Sofri era «ricattabile da Leonardo Marino o da Antonia Bistolfi». «Nooo», la risposta plateale di Sofri. «Io sono una delle persone meno ricattabili che lei abbia incontrato....», si difende. «Sulle telefonate intercettate non voglio rispondere, sono solo infamie. Perché Marino non è mai stato intercettato? Perché non ha mai fatto un giorno di carcere?», replica, alza la voce come il legale che viene ripreso dalla corte ad essere più puntuale, a non scendere in polemica. «Avvocato, ho vent'anni di tempo sulle spalle perrisponderle...», lo stuzzica l'ex leader di Lotta Conti¬ nua. Ma gli inviti ripetuti dai giudici non frenano il braccio di ferro tra il difensore di parte civile e Adriano Sofri, che a un certo punto sbotta: «Sono pronto a venire alle mani fuori da quest'aula, se mi si ricorda ancora delle infamie di quelle telefonate intercettate.... Io non ho mai avuto né la mania né la paura di essere imputabile nel caso Calabresi, ma c'è stata una costruzione forsennata nel tentativo di coinvolgermi. Il tempo passato ha permesso che una cosa non plausibile allora, sia diventata poi plausibile». Adriano Sofri se la prende poi con gli aggiustamenti di tiro da parte di Leonardo Marino, con le sue verità rettificate di volta in volta come per il comizio di Pisa, dove giura di aver ricevuto la conferma che Calabresi andava ammazzato, dove non ricorda se c'erano troppi o troppo pochi alberi, dove ancora una volta si disquisisce sulla pioggia, da intensa a diluvio. «Sono assestamenti mnemonici, quelli di Marino...», boccia in loto il suo ex compagno di un tempo, impassibile a meno di dieci metri da lui. Ma l'ultima staffilata di Sofri va a Ferdinando Pomarici, pubblico ministero del primo processo: «Mi disse di non preoccuparmi, che il reato era già prescritto, che ammettendo avrei potuto spiegare il contorno storico di tutta la vicenda e che nessuno sarebbe finito in carcere. E invece, Marino a parte...». Marino per tutta la deposizione rimane chino su alcuni fogli dove prende appunti, ogni tanto scuote la testa, ma alla fine del monologo se ne va con un sorriso tirato: «Meglio che non dica niente...». Parlano, parlano a lungo invece i sostenitori di Adriano Sofri, che non perdono nemmeno una battuta della deposizione. Ci sono lo scrittore Antonio Tabucchi, il disegnatore Sergio Staino e il comico Paolo Rendei, questa volta serissimo: «Le parole di questo pentito non sono mai state riscontrate anche se ha detto tutto e il contrario di tutto». In aula arrivano anche il premio Nobel Dario Fo e Franca Rame, che sulla trama del processo Calabresi hanno costruito uno spettacolo con «le centoventi balle di Leonardo Marino». Dura, Franca Rame: «Perché non valgono i cinquanta pentiti che accusano Andreotti e vale chi accusa Adriano?». Durissimo, il premio Nobel: «Marino è un inventore di favole. E' stato pastorizzato dai carabinieri, che hanno fatto di tutto per tirare dentro Lotta Continua in questa storia». Un'accusa che non scuote l'avvocato Odoardo Ascari, anche lui difensore di parte civile, l'ultimo a togliersi la toga prima di uscire dall'aula: «Ma che c'entra? Non doveva essere un processo di revisione?». Duro scontro con l'avvocato di parte civile «Un'infamia le intercettazioni con cui si tentò di coinvolgermi Io non ho mai avuto paura di essere ricattato» No comment del pentito a fine udienza Adriano Sofri ieri in aula a Venezia con il premio Nobel Dario Fo e con Franca Rame

Luoghi citati: Marino, Torino, Venezia