« Il mio ferrare? Finire in quel lager» di Antonella Rampino

« Il mio ferrare? Finire in quel lager» « Il mio ferrare? Finire in quel lager» Luigi Pintor: era la succursale delle sevizie naziste intervista Antonella Rampino ROMA TERRORIZZATI, eravamo terrorizzati che ci trasferissero a via Tasso». Luigi Pintor fu preso il 14 maggio del 1944 da una milizia paramilitare nazifascista, che faceva capo al regime, e portato alla pensione Iaccarino, il carcere parallelo a quello di via Tasso. Aveva 18 anni, oggi ne ha 74, ed era un gappista. Ma più che dell'esperienza, a ripercorrerla nel giorno in cui c'è stato un attentate proprio al Museo della Liberazione di via Tasso, vorrebbe raccontare quel che ne ha tratto: «Il fascismo è un'antropologia, non una categoria politica. Esiste, ed esisterà sempre, nonostante le svolte che a Fiuggi fa Fini. E quando si tirano dei tratti di penna sulla storia del comunismo, dichiarandolo incompatibile con la libertà come ha fatto Veltroni, beh, si lascia anche mano libera ai teppisti appena colorati di ideologia che hanno messo la bomba a via Tasso». Per il resto, dice Pintor, «di fascisti oggi ce n'è tanti, a destra e a sinistra, che giocano sul tappeto verde della politica». Pintor dice di non aver ancora pareggiato i conti, con i giorni della pensione Iaccarino. «Sono stato arre¬ stato assieme a un mio amico, sulla base di pedinamenti, perché tra noi c'era una spia. La mattina del 14 maggio, individuarono me e il mio amico. E finimmo alla pensione Iaccarino». Una palazzina a tre piani, che oggi è stata demolita, e al suo posto edificato come sede di una società un edificio moderno, ma con tanto di lapide. «Si chiamava Iaccarino, da nome del proprietario e gestore, un napoletano pavido, e infatti spaventatissimo. Il tenente Koch, un tedeschino biondo, azzimato e impomatato fin nei baffetti, capitanava la squadracela: ci mettevano su uno sgabello c, in dodici compreso un ferocissimo ustascia croato con scarpe enormi, giù botte. Koch era un aguzzino, vero e proprio: dopo la Liberazione, avendo operato anche alla Villa Triste di Firenze, e a Trieste, fu fucilato». La prigione era nella carbonaia, Pintor stava in una cella, «era un cesso», di due metri per due assieme a un muratore, ammalato e ferito. «Ci picchiavano violentamente, in genere con calci e pugni. Ma la sofferenza era anche la fame. Ci davano due volte al giorno una cosa disgustosa, una zuppa fatta di farina di ceri, completamente senza sale. Naturalmente, oggi detesto i ceri ma, dopo rinquant'amii, riesco a mangiarli, a Roma poi la zuppa di ceri è anche piuttosto buona... ». Pintor era accusato di fare il postino della resistenza, ma così non era. «In realtà, io e il mio amico volevamo prendere la spia, quello di noi che ri aveva tradito e che bloccava tutta l'organizzazione». Dopo un po' di giorni, Koch decise che quei 25 italiani dovevano essere fucilati, il 31 di maggio, per rappresaglia. Ma poi accadde qualcosa. «Ci svegliammo, quella mattina, in uno straordinario silenzio. Virino alle celle, non c'era nessuno. Nessuno al primo piano, nessuno al secondo, nessuno al terzo. Solo uno di «loro», seduto su una sedia. Passavamo per quei corridoi, le stanze con i grandi lampadari di quella villetta in fondo graziosa, piena di casse imballate, e a me venne da pensare allora, e in questo pensiero c'entra anche l'età che avevo, che sembrava di stare in un film. Poi, quello ri prese, e ri portò tutti via, ri mollò a Regina Coeli. Ma noi, noi pensavamo che ci portasse a morire, pensammo. E quella eia la speranza. Perché a Villa Iaccarino, noi comunque avevamo a che fare con degli italiani: parlavamo la stessa lingua, ne conoscevamo la psicologia, potevamo tentare di imbrogliarli, e in pane io ri sono pure nusrito. Ma il terrore erano i tedeschi, i nazisti, la succursale romana della tortura organizzata. Via Tasso». Luigi Pintor fu preso il 14 maggio del 944 da una milizia paramilitare nazifascista

Luoghi citati: Firenze, Fiuggi, Roma, Trieste