Un luogo sema misericordia di Igor Man

Un luogo sema misericordia IL TRAGICO RICORDO DELL'OCCUPAZIONE TEDESCA Un luogo sema misericordia «Così VSS Kappler torturava i partigiani» testimonianza Igor Man Lg RANNO portato a via Tas" so»: quando così ti dicevano I di un amico, d'un compagno d'arme era come ti rimbombasse in testa una campana a morto. Correva il tempo amaro dell'occupazione tedesca di Roma. A via Tasso il tenente colonnello delle SS Herbert Kappler, diligentemente aiutato da un tenentino dalla faccia d'angelo, «un certo Priebke», torturavapartigiani o semplici «resistenti», presi nelle sistematiche retate della Wehrmacht. Venivano scremati nel casermone di viale Castro Pretorio: i cittadini non troppo male in arnese andavano subito ai lavori forzati (a Orte in particolare, flagellata dai bombardamenti alleati, spesso in Germania); gli altri, quelli «sospetti», finivano a via Tasso. Un luogo senza misericordia, ancorché noi giovani partigiani sapessimo di altri posti maledetti (la pensione Jaccarino, Palazzo Braschi), dove venivano torturati i patrioti, vale a dire coloro che non volevano collaborare coi tedeschi, coloro che combattevano i tedeschi con pochi mezzi a disposizione: punture di spillo, certo: la Resistenza non fu né massiccia né poderosa (almeno a Roma, nel Lazio) epperò costituiva una spina nel fianco dell'armata nazista; magari due spine, fors'anche cinquanta: sia come sia dava fastidio, anche ideologicamente. Gli rugava, ai nazitedeschi, che nella Roma bordellara e infingarda, assente, una massa grigia di attendisti, ci fossero drappelli di «comunisti-badogliani» (cosi venivamo definiti nei bandi firmati dal generale Màlzer, dal generale Kesserling) tanto arroganti da osar colpi di mano contro cortei fascisti, addirittura contro santuari e personaggi, sbirri segnatamente, della ariana Germania nazista. Loro, i tedeschi, a cominciare dal colonnello Dollmann, intellettuale raffinato, eccessivamente intelligente per gli standard delle SS, fino all'ultimo graduato arruolatosi nelle SS ovvero inquadrato nella Gestapo, leggevano la stampa clandestina antifascista. E molto, davvero molto, li disturbava quanto dicevano, per esempio, gli articoli di fondo dell'Avariti! (perloppiù li scriveva Nenni). Non facevano «propaganda», semplicemente smontavano il mito della Germania centro della Storia e dell'Ordine Nuovo; denunciavano la delinquenza dei tedeschi; informavano dei raids partigiani, in Roma e fuori, che la censura germanica impediva ai quotidiani di pubblicare; stampavano i bollettini di guerra alleati. E infatti, si leggeva nei bandi tedeschi, chiunque fosse stato sorpreso in possesso di materiale propagandistico badogliancomunista. sarebbe stato passato per le armi. Immediatamente. (Tuttora, al ricordo, mi gela il sangue la disinvoltura con cui mio padre, fischiettando, al capolinea del filobus NT - Nomentano, Trastevere -, distribuiva ai passeggeri YAvanti! clandestino, allontanandosi infine a passo spedito sì ma normale, da quei romani letteralmente sbigottiti intenti con affanno a nascondere il giornale sotto la camicia). Dicevo che noi giovani partigiani sapevamo degli orrori della pensione Jaccarino, «gestita» dal tenente Koch, un ex ufficiale dei granatieri, alto, bello, ossessionato dalla «razza pura», tuttavia ci si sbiancava il sangue solo a sentire il nome infame di via Tasso. I tedeschi di via Tasso, gli sgherri fascisti della Jaccarino, volevano confessioni dagli arrestati, volevano nomi di compagni, indicazioni di luoghi di radunata, per aumentare il bottino d'ostaggi, per aver nuovi pretesti a ruberie e ricatti; e tormentavano e torturavano secondo una tecnica di cui Kappler si vantava inventore: rnieine eigene TechnQc, rneine exgene raffinierte Tec/mSc» (cfr. P. Monelli: Roma 1943). Sulla tecnica di Kappler il torturatore, citerò la testimonianza di Piera (Maria Teresa Regard, compagna di Franco Calamandrei, allora giovanissima gappista). «... dallo spioncino della mia cella vedevo persone straziate. Ancora incoscienti venivano riportate in cella di peso perché incapaci di camminare. Le urla, il dolore, l'angoscia; era sempre buio, non cambiavano mai l'aria. Gioacchino Gesmundo (il fondatore dei Gap, fucilato alle Ardeatinel lo torturarono per interi giorni, alla fine non stava più in piedi. Anche Giorgio Labò fu torturato e il silenzio suo e di Gianfranco Mattei salvò la vita a tutti i gappisti romani. Gianfranco, nel timore di non più reggere le torture, una volta in cella si tolse la vita. Giorgio aveva i polsi oramai in cancrena a causa della corda che, strettissima, gli legava le mani dietro la schiena. Non disse una parola, alla fine, il corpo distrutto, lo portarono a Forte Brevetta e lì venne fucilato». «Diese italiener - diceva Kappler -, sono più duri di quanto non credessi. La maggior parte non vogliono aprir boera, tun den Mund nidit auf, vanno a morire senza averci detto niente». Fu, quella dell'occupazione tedesca, una stagione orrenda ma eravamo giovani e sapevamo di stare dalla parte giusta; eravamo certi che il futuro sarebbe stato felice ma esigeva un prezzo. Il prezzo del pericolo di finire sotto tortura e, dopo, ammazzati. Fu una stagione orrenda, con gli alleati che tardavano ad arrivare e noi ridotti sempre di pili allo stremo poiché il cibo si trovava solo alla borsa nera e non avevamo un soldo: non ci eravamo venduti al tedesco sicché facevamo la fame. Cantavamo: «E passano i giorni - l'inglese non viene - aumentan le pene - ci sembra morir...». Un giorno, in Trastevere, su di un muro comparve questa scritta: «Americani, tenete duro - presto verremo a liberarvi». Era stato il tenente Marineo a farmi entraro-nella Resistenza, agli ordini del Centro Militare clandestino. Successivamente, Salvo Tornasela' mi arruolò nei «Vespri» di Peppino Sapienza, compagno di Maria Giudice, che conobbi molto più tardi insieme con la mitica Angelica Balabanoff, a Palazzo Barberini, durante la «scissione» di Saragat. Il battesimo del fuoco, per così dire, lo ricevetti la notte del 24 di gennaio del 1944. Grazie a documenti falsificati con perizia da Alfredo Monaco, il medico di Regina Coeli, e da sua moglie Marcella, i capi del Psiup riuscirono a far uscire dal carcere Saragat, Pertini ed altri cinque partigiani importanti. Io «sorvegliavo» un angolo di Ponte Sisto, con due bombe a mano «Balilla» in tasca, in quella interminabile fiumara di ore, dal giorno alla notte fino all'alba. Tremai, forse di freddo, in tutto quel tempo. Eravamo giovani, avevamo coraggiosamente paura. Ma la paura coraggiosa cedette il passo all'odio quando apprendemmo della strage alle Ardeatine. I giornali repubblichini pubblicarono un comunicato infame per «spiegare» la rappresaglia tedesca dopo via Rasella. Ma fiutino i padri salesiani di San Callisto a scoprire, a meno di ventiquattr'ore dalla strage, devastati dall'orrore, dalla pena, i cadaveri sotto la pozzolana: ammucchiati gli uni sugli altri. Sempre i padri salesiani riuscirono ad avere la lista dei trucidati e don Battezzati la posò nellagrotta della Madonna, tra l'edera. Fu cosi che, giorno dopo giorno, la notizia della strage invase Roma tutta, col dolore, con la rabbia esplose il furore e nacque l'odio: contro i tedeschi e i loro complici italiani. Con la strage delle Ardeatine, i tedesclù |x>rsero la partita. Definitivamente. Roma, la Roma infingarda e attendista, bonaria, cinica, ruffiana divenne di colpo fiera: una città coraggiosa. Soffrimmo la fame, a lungo, m'.j padre vendette perfino la fède che aveva scambiato con mia madre morta, per un pacchetto di vegetina, ma sapevamo, ogni giorno di pena, che sarebbe arrivata la libertà e la vergogna sarebbe finita e l'immenso disonore. Ma il dolore no, quello sarebbe rimasto. L'odio s'è stemperato, certamente. E' oramai lontano, come lontana è la giovinezza bella. Tuttavia oggi sappiamo che allora, quando fummo fanciulli, non avevamo fame soltanto di pane ma soprattutto di libertà. Quella libertà che consente a qualche idiota ricco d'ignoranza di oltraggiare via Tasso. Qualcuno ve¬ de nella bomba-carta dell'altra notte un «sinistro segnale». E' figlio, l'attentato, dell'incalzante revisionismo - rozzo, impudico -, dei testi d'uno storico onesto qual fu il De Felice? E' il frutto di infantili pentimenti di «fascisti» quarantenni affacciatisi (per sbaglio) alla finestra della realtà modesta quale fu la nostra imperando Mussolini, Duce del Fascismo, fondatore dell'Impero? Può darsi. Ma se ò vero che la Sinistra non c'è più, è altrettanto vero che il Fascismo non può tornare, neanche truccato da Destra. Pur nel suo orrore il Nazismo fu ima dottrina. Il Fascismo fu un collage di episodi inventati e gestiti da un ex giornalista cinico, di grande talento, con uno straordinario senso della politica ma digiuno di Storia e quindi incapace ili formulare una dottrina. «Ma quale fascismo» diceva Edda Ciano quand'era «confinata» a Lipari nel '48. «Fascismo? Io direi Italianismo». «Ancora incoscienti i prigionieri venivano riportati in cella perché incapaci di camminare Le urla, il dolore, l'angoscia: era sempre buio non cambiavano mai l'aria Il fondatore dei Gap fu torturato per interi giorni» O LA STORIA DELL'EDIFICIO o Costruito alla fine degli Anni 30 dal principe Francesco Ruspoli 0 Venne affittato all'ambasciata tedesca, che vi installò l'Ufficio Culturale e gli Uffici dell'addetto militare e dell'addetto di Polizìa: Herbert Kappler, ufficiale delle SS e funzionario della Polizia di Sicurezza (SIPO) ""^ ■• o Diventa carcere delle SS durante i nove mesi dell'occupazione tedesca di Roma (11 sett.1943 giù.1944) <* Nel 19504 degli ripportamenti utilizzati come carcere vennero destinati a Museo storico della Lotta di Liberazione in Roma • Nel 1957 il Museo ha avuto il riconoscimento come Ente Pubblico, sotto la tutela del ministero della Pubblica istruzione