Dalle grotte sacre di Visnu al mare arabico di Goa

Dalle grotte sacre di Visnu al mare arabico di Goa COAST TO COAST NEI MISTERI DELL'INDIA Dalle grotte sacre di Visnu al mare arabico di Goa REPORTAGE Davide Scagliola L'ALBA sul lago di Badami nasce umida e fumosa. I bracieri tra le case profumano l'aria di legno di sandalo mentre volute di arghabati (incenso) accompagnano schiere di donne in sari rossi, blu e viola che scendono all'acqua per le abluzioni e il bucato. Dalle grotte sacre (vihara) dedicate a Shiva e Visnu scavate nell'arenaria sulle colline 13 secoli fa, si vedono bene i movimenti del paese mentre l'acqua verde del bacino artificiale riflette le prime nuvole del mattino. Dietro una falesia un vecchio fuma una hukka, la pipa ad acqua fatta di terracotta. Sbuffa verso valle sfiorando con lo sguardo l'incredibilestatua brunita di Nataraja, la Shiva con 18 braccia capace di ben 81 pose di danza differenti in un metro quadrato di bassorilievo. E' un giorno qualunque nella terra dei Dravidi e dei Chalukya: risaie color smeraldo, sterminate piantagioni di banane e caffè, statue jainiste alte come un condominio e strade incandescenti. Il cuore dell'India meridionale, un incastro geografico e storico tra due oceani e quattro stati, è tutto qui. Un labirinto di villaggi, strade secondarie, rovine archeologiche, templi, palazzi reali, profumo di thè, albe brumose e mercati surreali. Paesi e atmosfere che sem¬ brano usciti dalle pagine di Kipling e Verne. Scenografie meno spettacolari e luccicantirispetto al Rajastan o all'Orissa, ma lande altrettanto spirituali e forse un po' più silenziose. Un viaggio che si dovrebbe fare a piedi o su un carretto trainato da un cavallo. Ma in mancanza di tempo non è male nemmeno compiuto a bordo di una vecchia Ambassador bianca, elegante e dai caratteri spiccatamente britannici, che viaggia a cinquanta chilometri l'ora. Su e giù per i Ghats (balze e colline del nord ovest) attraverso l'altopiano del Deccan su strade asfaltate per modo di dire, con i finestrini spalancati per il caldo, sbirciando tra la polvere e la nuca ben curata dell' autista-guida-meccanico di Madras. L'auto è un tempio in prestito d'uso ornato di rosari, immagini sacre e una madonna di plastica trasparente colma di acqua benedetta. Più che un cruscotto assomiglia ad un altare su ruote. Mille e cinquecento chilometri più a ovest sarà impeccabile come alla partenza. Da un oceano all'altro, dalle coste del Tamil Nadu fino alle spiagge di Goa, tra milioni di buche e ettari di canne da zucchero, il viaggio diventa un coast to coast subasiatico, un on the road beatnik, forse meno avventuroso e letterario ma altrettanto significativo. In mezzo all'India dei sogni, dei fantasmi, dei maharaja e delle divinità di pietra. Quaggiù non arrivano voli charter né gruppi di giapponesi. Tra le tappe sacre dell'induismo si muovono solo pellegrini, lavoratori e rari viaggiatori impolverati. Bisogna fermarsi agli incroci delle strade per capire. E' l'India che si fa Africa, deserto e foresta da attraversare: un sistema di flussi, carovane, pendolari, rit- mi, attese, invenzioni, sopravvivenza legata al movimento, che si percepisce solo osservando l'andirivieni del mercato, la folla alle stazioni degli autobus e soprattutto i gruppi di esseri umani che sembrano vivere perennemente all'ombra di un ficus secolare, tra la statale e il viottolo di campagna. Tutti vanno da qualche altra parte e nessuno va in nessun posto. Si comincia necessariamente da qualche città. Bangalore per esempio, capoluogo della regione con pretese moderniste, un passato imperiale e un presente SHIVA CON 18 BRACCIA ■ Sotto la falesia un vecchio fuma una hukka, la pipa ad acqua fatta di terracotta. Sbuffa verso valle sfiorando con lo sguardo l'incredibile statua di Nataraja, la Shiva con 18 braccia capace di ben 81 pose di danza differenti. E' un giorno qualunque nella terra dei Dravidi e dei Chalukya ipertecnologico. Da antica città-giardino, da non-luogo per eccellenza, oasi dove riposare in quota tra viali alberati e clima mite, oggi è diventata una sorta di Silicon Valley asiatica dove dollari, traffico metropolitano, ricerche aereospaziali, pub inglesi e microchip stigmatizzano e annullano il ritmo proprio del continente. Non ci sono nemmeno le vacche per strada, tanto è avulsa dal resto del Paese. E' l'evoluzione senza tappe intermedie. Dagli aratri di legno alla posta elettronica. Nello stesso luogo e nel medesimo tempo. Ma basta guidare qualche ora verso sud e la storia torna al suo posto. A 140 chilometri da Bangalore, quasi al confine con il Kerala, Mysore ricomincia dal passato. Durante il plenilunio di ottobre ogni anno si rivivono i fasti precoloniali dell'impero indiano. Il maharaja seduto sul suo howhad d'argento imbardato sulla groppa di un elefante dipinto, apre la parata del Dhussera, tra guardie armate di moschetti ad avancarica e fedeli adoranti. Esce impettito dalle sale del palazzo del 1897, tra stucchi di Glasgow, marmi di Agra, cristalli di Boemia, decorazioni indo-saracene troppo kitch per stupire e trasforma Mysore nuovamente nel centro del mondo conosciuto. Se ci capitate in altri periodi concedetevi almeno una notte nelle suite d'epoca del Lalitha Palace Hotel, sulla collina, ex residenza reale estiva. Arredamenti principeschi, ritratti di ufficiali inglesi, letti a baldacchino, camerieri in livrea e piscina ai bordi della foresta sono imperdibili. Leggete anche Somerset Maugham e forse non ve ne andrete mai più. Poi l'Ambassador torna nella polvere, scivolando tra viali di jacarande, manghi e papaye e sari colorati stesi sull'erba ad asciugare. Ci si ferma poco. Lungo i fiumi e tra le valli si cercano pietre sacre, non olografie. E i templi di Halebid, Aihole, Pattadakal, Hospet e soprattutto Hampi, una delle più belle aree archeologiche indiane, antica capitale del regno del Vijayayanagar, assolvono bene al loro compito. Macigni lavorati ad arte, icone di civiltà scomparse, marmi neri intagliati, raffigurazioni raffinate, bassorilievi strepitosi, colonnati e intere città sbriciolate al sole, spiazzano chiunque abbia uno scampolo di memoria storica. Poi come per caso, l'India finisce a Goa. Il MaiArabico alla fine della strada, serve solo a spolverarsi. Paesi e atmosfere che sembrano usciti dalle pagine di Kipling e Verne Scenografie meno spettacolari rispetto al Rajastan o allOrissa, ma lande altrettanto spirituali e forse un po' più silenziose che si dovrebbe attraversare a piedi o su un carretto trainato da cavalli A BORDO DI UNA VECCHIA AMBASSADOR BIANCA, SORTA DI TEMPIO VIAGGIANTE CON ROSARI ED ALTARI, CHE NON SUPERA I CINQUANTA CHILOMETRI L'ORA m Affavòro nei campi a Hanpi nell'alto Karnataka e uno dei tre sacrari del tempio di Somnathpur, nel sud del Karnataka

Persone citate: Badami, Davide Scagliola, Kipling, Shiva, Somerset Maugham, Verne, Verne Scenografie

Luoghi citati: Africa, Agra, Boemia, Glasgow, India