Supermarket «verde»: arriva il cibo naturale

Supermarket «verde»: arriva il cibo naturale Supermarket «verde»: arriva il cibo naturale Due delle più importanti catene italiane hanno deciso di esporre sui loro scaffali un'ampia gamma di prodotti alimentari biologici Carlo Petrini DUE delle più importanti catene di supermercati italiani hanno da poco deciso di esporre sui loro scaffali un'ampia gamma di prodotti alimentari biologici, sia conservati che freschi. Il fatto che la grande distribuzione (che non è un ente benefico né persegue scopi che non siano quelli strettamente legati al profitto) si interessi alla produzione «verde» sta a significare che questo segmento di mercato, fino a non molto tempo fa limitato a una nicchia di consumatori ben definiti, e molto connotati anche dal punto di vista «ideologico», si va decisamente allargando e che il desiderio di prodotti alimentari cpuliti» (forse anche come reazione ai ripetuti scandali che hanno coinvolto il settore negli ultimi anni) si va sempre più facendo strada. Del resto quello del biologico è un settore in crescita impetuosa, anche in Italia: basti pensare che dal '93 a oggi gli ettari coltivati senza impiego di prodotti chimici (o quantomeno riducendone drasti¬ camente la quantità) sono passati da 70.000 a più di 800.000 mila, mentre il numero delle aziende, nello stesso periodo, è più che decuplicato (da 4000 a 44.000). Il desiderio di cibo «naturale» è una tendenza che mi pare paragonabile a un'altra, che Slow Food sperimenta da anni: il desiderio, da parte di crescenti fasce di consumatori, di accostarsi all'cnogastronomia di qualità, a costo di spendere un poco di più. Ed è una tendenza che ci conforta, perché sta a dimostrare come un sempre maggior numero di persone non sia affatto disposto a farsi imporre gli acquisti, ma intenda scegliere secondo preferenze e gusti precisi. Anche i supermercati si stanno rendendo conto di questo e si attrezzano di conseguenza. Questo ci fa piacere. Quello che ancora non ci soddisfa è invece il modo in cui questi prodotti sono presentati. Perché sull'etichetta, pensata per dare il massimo rilievo alla natura «biologica» della merce, il luogo di origine e il nome del produttore il più delle volte sono stampati in caratteri microscopici e magari in forma di sigle di ardua interpretazione? A mio avviso la confezione dovrebbe consentire all'acquirente finale di seguire tutto il percorso del prodotto, dichiarando con chiarezza i dati su chi produce, trasforma, vende. In Francia, alcuni supermercati stampano sulla confezione i prezzi di acquisto all'origine delle derrate alimentari, per un giusta esigenza di trasparenza e di rispetto nei confronti e del consumatore e del produttore. Il quale ultimo, non ci stanchiamo di dirlo, deve essere motivato a ben operare soprattutto riconoscendogli quel surplus di guadagno che solo può giustificare ì maggiori costi indotti da scelte produttive più rigorose. Un ultimo consiglio ai consumatori: controllate sempre che sulla confezione sia presente il marchio che certifica la reale provenienza biologica del prodotto che state acquistando. In Italia sono otto le associazioni autorizzate a rilasciare tale attestato, la più nota è l'Aiab, ma ci sono anche l'Ime, Ccpb e altre e la loro sigla dovrà essere ben in vista. SOSTIENE CARLIN OSTERIE D'ITALIA Paola Gho wm Paola Gho

Persone citate: Carlo Petrini, Paola Gho

Luoghi citati: Francia, Italia