Nell'officina della poesia dialettale: da Ruzzante a Loi, verso una nuova primavera

Nell'officina della poesia dialettale: da Ruzzante a Loi, verso una nuova primavera Nell'officina della poesia dialettale: da Ruzzante a Loi, verso una nuova primavera RECENSIONE; Giovanni ; Tesio DA una rigogliosa primavera a un «presunto inverno», Proprio come nel titolo del pia recente libro di un poeta in dialetto come il napoletano Achille Serraci, che traduce a sua volta il titolo di un importante libro poetico del friulano di Codroipo, Amedeo Giacomini. La parabola delle lingue dialettali che si piega sui secoli della nostra lingua come una lunga ombra di stupenda e declinante alterità: A proporre l'ultima riflessione suWufjaire (lei dialetti, sul loro statuto mobile e controverso, sull'alto potenziale espressivo (espressivistico o espressionistico) del loro uso letterario, arrivano ora nei Meridiani di Mondadori tre densi volumi raccolti sotto il titolo comune Im poesia in dialetto. Un'impresa di sicuro inerito a cui ha atteso per anni uno specialista comi; Franco Brevini, già noto per almeno due Lavori precedenti, i Poeti dialettali dèi Novecento, antologia pubblicata da Einaudi r.eH'87 e Le pamle perdute, ampia raccolta di saggi uscita sempre da Einaudi tre anni dopo, che oggi possono essere letti come i preliminari di un'officina tanto temeraria quanto necessaria. RECENGioTe IONE; nni ; o Critico come sono stato dei due libri precedenti, per la faziosità selettiva del primo e per l'infinita misericordia inclusiva del secondo (la mappa dell'impero che coincide puntualmente con esso), posso ben sciogliere le riserve di fronte ai risultati del nuovo lavoro, da cui di certo per molto tempo non si potrà prescindere. Brevini naviga i secoli della nostra storia linguistica usando uno specifico sestante letterario. Misurando l'altezza degli astri, si affida ad una doppia visuale: sullo specchio grande le fasi di uno sviluppo contraddittorio e spesso conflittuale, tutt'altro che semplicemente dipendente e discendente come voleva il giudizio crociano. Su quello piccolo le misure del valore letterario, la forza esemplare dei singoli, le pulsazioni più segrete di una costellazione che ancora attende - per essere esaurientemente esplorata molti altri speculatori di pari coraggio. Poiché, se per un verso si può condividere l'idea metodologicamente sostenuta da Brevini, che gli studi regionali sbagliano sjiesso misura per troppa prossimità (pietà del luogo, specializzazione eccessiva, ideologismi perduranti) per altro verso non si può facilmente ammettere che la distanza di un solo sguardo basti a garantire non dico la serietà ma la giustezza dei giudizio. Attinta sensibilità, certo sostenuta dai non pochi studi che nel tempo - specialmente dal primo Novecento con Croce e poi dal secondo dopoguerra con la rinnovata proposta geografica di Dionisotti -, ha sicuramente congiurato la fine di questo nostro millennio, ed ha valore augurale che i tre volumi appaiano proprio nei giunti in cui le nostri televisioni quotidiane non mancano di informarci sui mesi giorni ore minuti secondi che ci separano dalla nuova frontiera (anche linguisticaldei Duemila. Brevini si preoccupa di muovere molto il suo panorama, stabilendo categorie volutamente non omogenee, giusto per cercare di afferrare in una griglia esegetica non troppo rigida Iti sfaccettata polifonia delle voci, dando spazio non soltanto alla poesia ma anche al teatro o ai linguaggi speciali. Accanto al padovano Ruzzante, all'astigiano Alitine, al veneziano Goldoni (ma del napoletano Eduardo solo il poeta), anche la prosa latina del De vtdgari eloquentia o il maccheronico del mantovano Folengo. Accanto agli scrittori quasi esclusivamente dialettali, altri che abbiano affidato al dialetto qualche significativo estro di un momento o di un'occasione, come Alfieri o D'Annunzio. Accanto alla piccola trafila dei classici riconosciuti, Porta, Belli, Di Giacomo, Pasolini, che costituiscono dei passaggi e degli snodi cruciali (non a caso gli unici che godano di un meridiano tutto per sé), altri che dovrebbero finalmente goderne: dal piemontese Brofferio al triestino Gioiti, al gradese Marin, al milanese Delio Tessa, all'anconetano Franco Scataglini. Fino ad arrivare ai «classici» ancora in attività, come il mistilingue Franco Loi o il santarcangiolese Raffaello Baldini. Dialogo aperto, dunque, a partire da questa tappa fondamentale che antologizza più di duecento autori, fornendo tutti i possibili aiuti (ampi cappelli introduttivi, biobliografie, traduzioni). Che cosa resterà delle lingue dialettali? L'abbondanza delle voci come segno paradossale della disfatta? Oppure di una nuova apocalissi da intendersi come rivelazione? Si potrebbe parafrasare una considerazione di Lotman: che la storia delle atti abbonda di «rinascimenti», e cioè di resurrezioni di lingue artistiche del passato, percepite come innovatrici. Guanto Jakobson sembra condividere quando osserva che sempre nella storia dei linguaggi standardizzati si verifica la tendenza a risuscitare modelli arcaici, talvolta dimenticati da tempo. E' ii paradosso più aguzzo tra i tanti che intersecano il nostro secolo: il dialetto che afferma il suo statuto poetico proprio nel punto estremo della sua negazione. Come non ricorrere allora alla considerazione dell'esploratore di villaggi globali Marshall McLuhan? Lui a sostenere che «l'obsolescenza non significa mai la fine di niente, bensì l'inizio». Come dire che al più annunciato degli inverni possiamo ancora attenderci la meno presunta delle primavere. Lodevole impresa di Franco Brevini nei Meridiani. Una sfaccettata polifonia di voci: si dà spazio non solo ai versi, ma anche al teatro e ai linguaggi speciali Franco Brevini (a cura di) La poesia in dialetto Mondadori, 3 voli. pp. 4510, L 255.000 ANTOLOGIA

Luoghi citati: Codroipo