Con Laura Pariani nel Cinquecento a cercare la Signora dei porci di Lorenzo Mondo
Con Laura Pariani nel Cinquecento a cercare la Signora dei porci Con Laura Pariani nel Cinquecento a cercare la Signora dei porci RECENSIONE Lorenzo Mondo EVIDENTEMENTE, come l'immaginaria Scrittrice in realtà il suo doppio - con cui ama intrattenersi, Laura Pariani ha l'impressione che il mondo attuale «sia senza sangue e che stia sprofondando nel nulla». Per questo è tentata dal passato, quello ancestrale della sua terra lombarda, alla quale si mantiene, con poche eccezioni, fedele. Dedicandole, per la prima volta dopo tanti racconti, un romanzo («La Signora dei porci»). Terra di brughiera, gleba infeconda, dove le case si aggrumano come covili a difendersi dalla nebbia e dal gelo, impregnate di sudore e di stalla. Siamo nel Cinquecento, nel contado di Busto Arsizio e, a riassunto filato, sembrerebbe di trovarsi davanti a un romanzo storico: la rievocazione, basata su documenti, di un processo per stregoneria dall'esito scontato. Sono inquisite nello stesso tempo tre generazioni, madre, figlia e nipote. Antonino Toso, un pittore itinerante, le accusa di averlo affatturato e ridotto allo stremo con cibo guasto e orrende pratiche di magia. Intendevano vendicare una donna della famiglia che, da lui violentata e abbandonata, si era gettata in uno stagno. Sotto¬ poste a tortura, confessano di essere ispirate da una misteriosa Signora dei porci che appare nei sogni e in una radura, accanto a una grande pietra nuda. Chi le reca offesa viene trasformato in maiale. Nella Signora è ravvisabile una antica divinità lunare (Diana, Herodiana, Erodiade) ben nota agli studiosi, il residuo di un paganesimo che sopravvive sotto la crosta di un cristianesimo malinteso e malimposto. Nessuno sfugge ai suoi influssi, lo stesso Toso l'ha dipinta sulla parete di una chiesa nelle vesti di una lasciva Erodiade, sfrenata nella danza. Ma la Signora è RECENLorMo soprattutto la confidente e vendicatrice delle donne, delle loro stremanti fatiche e umiliazioni, del loro cupo dolore. Non è un caso che sia una coalizione di donne a incalzare il colpevole, opponendosi all'apatia degli uomini, alla loro volontà di dimenticare. In pagine intense, la cieca Polonia si ergo, conio una inflessibile parca, contro il marito Isàcu che invoca la virtù IONE nzo do della compassione. Perché sono «capaci di rancori di molta portata le donne; e questo a colpa della loro miseria intréga e solitaria, l'ho già detto; e del fatto che, stando meno lontane dalle bestie rispetto a noi Oman, ognuna delle malearti dui damóni-reggitore penetra più facilmente nel terreno del loro corpo. Perché chi è infelice diventa cattivo». Si sarà inteso a questo punto come non interessi alla Pariani un lineare percorso narrativo, spruzzato di storia e sociologia, di banale rivendicazione femminista. Vuole inabissarsi piuttosto nell'animo dei suoi personaggi che - da Santentil moccio- so disturbato di mente, alla trepidante «recluta» Sanguòta, allo stesso pittore straziato dai rimorsi - vengono rappresentati plasticamente, nella forza dei loro gesti e delle loro pulsioni. Ne risulta una dolente, irosa e stravolLa coralilà, in cui la pronuncia sboccata, la proverbialit.à disillusa, la torbida elementarità si dispongono in trenodia. Il Mietitore elio, appartandosi dalla consueta danza macabra, intrattiene i villani con parole affilate e insieme avvilite, sta li a sanzionare una storia irredimibile. Il racconto procede a strappi e dissociazioni, a scarti temporali e inversioni di marcia, alternando alla voce dei personaggi l'occhio della scrittrice (la terza persona). Un intervento che serve a dare fluidità al racconto ma rivela soprattutto un desiderio di immedesimazione (va detto a questo punto che il materiale composito, a piani intrecciati, del romanzo rende superfhia e disturbante la cornice in cui Laura Pariani discorre con la Scrittrice, nel tentativo forse di dilatare, di attualizzare, il senso della sua storia). Lei si sente dunque parte deL coro, e trascinata dalla "lingua della sua gente. Perché, a ben vedere, «La Signora dei porci» è soprattutto il racconto di una lingua declinante o perduta, ritrovata nello sue asprezze e tenerezze, attraverso proverbi, filastrocche, detriti folkloristici, vivide inventivo sprezzature. Non si arrenda il lettore, specialmente chi non abbia radici settentrionali, davanti alle prime difficoltà e oscurità del testo. Che perlopiù si sciolgono e recuperano il loro significato nel corso della lettura. E' per il tessuto linguistico carezzato e sollecitato con affettuosa violenza, per il suo corpo vivo dotato di naturalo forza evocativa che le pagine di Laura Pariani resteranno impresse nella nostra memoria. Una dolente, irosa coralità, il racconto di una lingua declinante o perduta, ritrovata nelle sue asprezze e tenerezze, attraverso proverbi, filastrocche, detriti folkloristici, vivide inventive sprezzature NEL CONTADO DI BUSTO ARSIZIO UN PITTORE ACCUSA MADRE, FIGLIA E NIPOTE DI AVERLO AFFATTURATO E RIDOTTO ALLO STREMO CON ORRENDE PRATICHE DI MAGIA Un quadro di Pieter Bruegel il Vecchio che condensa l'atmosfera del nuovo romanzo di Laura Pariani: ancora una prova di fedeltà, la sua. all'ancestrale terra lombarda Laura Pariani La Signora dei porci Rizzoli, pp. 253, L 27.000 ROMANZO
Persone citate: Antonino Toso, Laura Pariani, Pariani, Pieter Bruegel
Luoghi citati: Busto Arsizio, Polonia
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