La torera ragazza e i giovani Holden di Tiziana Platzer

La torera ragazza e i giovani Holden La torera ragazza e i giovani Holden Tiziana Platzer TORINO Passione è il termine giusto, ma non è abbastanza. Ci sono emozioni, vibrazioni, urla, odori. E quando torni a casa, tutto resta sulla pelle. E' questo che Francesca D'Aloia si è portata in Italia dopo aver visto per la prima volta una corrida in Spagna, a Valencia. Ed è questo che ha messo nel suo documentario, «Sol y sombra», presentato in questi giorni al Torino Film Festival. «Ho messo piede nella plaza de toros con i pregiudizi che..ogni straniero ha, sulla corrida. Lo spettacolo è finito e io èro letteralmente conquistata» dice -l'attrice e regista, seduta a un tavolino sotto il tendone del Festival in compagnia di Eva Florencia. E' il nome d'arte della ventunenne fiorentina «novizia» torera in Andalusia e protagonista della pellicola. Due donne appassionate di un'arte, che raccontano di quanto la sfida con la morte che diventa spettacolo, sia unica. «Spesso la gente liquida la corrida come un momento folkloristico, tutta scena e lustrini, oppure con posizioni da animalisti estremi. Invece è qualcosa di molto più serio: si è certi che si assisterà a un atto di morte» continua la D'Aloia, che ha cercato di avvicinare lo spettatore scettico alle suggestioni del mondo della tauromachia. «Che sono poi le radici delle tradizioni spagnole, come quella che i figli di toreri saranno toreri arìch/éssi.. E le madri e le mogli sempre un passo indietro, vicino al telefono a aspettare il verdetto della plaza». Una o due orecchie e la coda i trofei a cui il matador punta, quelli che servono per portarlo sulla strada dell'investitura uffi- ciale. Per questo «mata» Eva, scappata da casa a diciassette anni dopo aver letto «Fiesta» di Hemingway con il sogno di andare a fare la torera. E c'è riuscita. Una storia quantomeno singolare, e Francesca D'Aloia, che ha appena finito di girare «Scarlett Diva» di Asia Argento e che a gennaio comincia le riprese per un lavoro con Vittorio Gassman diretto dal marito Marco Risi, ne sta già scrivendo la sceneggiatura per farne un film. Intanto promette a Eva che quando arriverà nella prestigiosa plaza di Siviglia, lei ci sarà. Ben altre storie di giovani, certo di originalità differente, quelle raccolte da Umberto Marino nel suo documentario «Giovani Holden», inserito oggi nei Sopralluoghi italiani. Un'altra pellicola-testimonianza con la volontà di non essere contenitore didat¬ tico, bensì portavoce di sensazioni. E questa ricerca il regista romano l'ha compiuta in giro per l'Italia: «Nel nord, nella Milano dove tutto si può fare, nel sud dove tutto non capita, e nel nord-est dove ogni cosa l'hanno già fatta i papà» spiega Marino. «La pellicola è nata in seguito a un'indagine che sarebbe servita a una fiction, poi non realizzata. In compenso la Rai mi ha prodotto il documentario». Una carrelata su molte delle situazioni giovanili quotidinamente dibattute: «Ci sono i paradossi: i buttafuori delle discoteche che odiano il mondo della notte, oppure i ragazzi al concerto dei Prodigy impasticca"ti ma ideologicamente a'destra contro la cultura dell'ecstasy». Un viaggio illuminante? «Semplicemente mi sono convinto di ciò che già immaginavo, che esiste l'assenza di futuro». Qui sopra Umberto Marino e I Francesca D'Aloia. Nella foto in alto una scena da «Ciak si raglia» di . Gianluca Fumagalli

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