Lingotto, nella Quinta di Muti trionfa la forza della libertà di Sandro Cappelletto

Lingotto, nella Quinta di Muti trionfa la forza della libertà La Filarmonica della Scala ha chiuso ieri le manifestazioni del centenario Fiat con un concerto per il Fai Lingotto, nella Quinta di Muti trionfa la forza della libertà Sandro Cappelletto TORINO C'è stato un tempo in cui l'uomo europeo, incredulo, felice e sgomento tra rivoluzione francese, guerre napoleoniche, nuovi sentimenti di libertà, ha smesso di camminare e ha cominciato a correre, inseguendo un'idea di assoluto. La Sinfonia è una delle forme più alte raggiunte dall'arte di quel periodo, e nella Quinta di Beethoven questa fede conosce una compiuta realizzazione. E' espressione di una inaudita «libertà della mente», Come ha dichiarato a «La Stampa» Riccardo Muti, che ieri sera l'ha diretta all'Auditorium del Lingotto, nel concerto promosso dal FAI e programmato in occasione del primo centenario di vita della FIAT. Non il «destino che batte alla porta», secondo lo slogan di successo inventato da quel copy talvolta geniale, ma spesso inattendibile, che è stato Anton Schindler, petulante amico di Beethoven. Semmai il contrario: è l'uomo che spalanca la porta del destino, perché vuole afferrarlo, non subirlo. Muti e l'Orchestra Filarmonica della Scala - giunta, dopo anni di lavoro comune col suo direttore principale, a livelli di totale affidabilità anche nel repertorio sinfonico - sottolineano subito l'idea di monumentalità della Quinta, la forza icastica di quel motto iniziale che Beethoven scelse dopo quattordici tentativi: «Non un tema - ha scritto Wilhelm Furtwaengler ma quattro battute che giocano il ruolo di un'epigrafe, di un titolo scritto a lettere enormi». E che ritornano infinite volte, attraversando tutta l'orchestra, rinforzata e resa ancora più varia nel colore, per la presenza, nel quarto movimento, di un ottavino, un controfagotto e un terzo trombone. Grazie a sedici violini primi e ai fiati raddoppiati, il suono della Quinta di Muti punta all'apoteosi e trasmette l'idea chiave dell'opera; ogni istante vive in funzione di un percorso, di un progetto, di una tensione che si accumula e distende e riaccumula prima di precipitare nella frenesia del finale. In questo tragitto, accadono intimità improvvise, in quell'Andante quasi schiacciato fra i tre Allegri che lo circondano: e qui il gusto di Muti per il fraseggio del canto trova tutto l'agio di manifestarsi; oppure si schiudono momenti di sospensione durante i quali il tema sembra smarrirsi, esitare, prima di ricomparire, scandito da un impulso ritmico che ritroviamo anche nella conclusiva battuta del timpano, come un segre¬ to sigillo apposto dall'autore per ribadire l'idea di ciclicità della Quinta. La seconda parte del programma proponeva il «Pelléas et Mélisande» di Gabriel Fauré, ispirato al dramma di Maurice Maeterlinck, la cui ambiguità narrativa e preziosità lessicale sedussero anche Sibelius, Schoenberg e Debussy. La Suite Sinfonica che Fauré ricavò dalle iniziali musiche di scena è ingiustamente penalizzata dal confronto; nei suoi quattro movimenti, nell'iridescenza della Siciliana, nell'implacabile procedere del Molto adagio finale vive uno degli esiti più personali del simbolismo francese applicato alla musica. L'orchestra ha mostrato qui finissime qualità coloristiche e di acuta misura espressiva. Poi, il «Bolero» di Ravel, il più audace esperimento di «democrazia orchestrale». In quei diciassette minuti di «orchestra senza musica» - e sono stati esattamente diciasset- te e peri primi cinque il diretto- re, quasi immobile, ha lasciato ammirare la precisione della macchina orchestrale - ogni strumento conosce il proprio funzionale istante di protagoni- smo, prima di[venire invitato a . reimmergersi nel flusso del rit- mo, lasciando il proscenio ad un altro collega. E, passaggio dopo passaggio, si intensifica fino al parossismo quel senso di ostina- zione, quasi di trance, che Ra- vel voleva raggiungere. La sera della prima, a Parigi nel 1927, il «Bolero» venne fischiato. Ieri, ha suggellato il pieno successo di un concerto accolto con entu- siasmo dalla sala gremita. II maestro Riccardo Muti: ieri sera ha diretto al Lingotto la Filarmonica della Scala, Qui sotto l'avvocato Giovanni Agnelli e Giulia Maria Mozzoni Crespi, presidentessa del Fai, salutano il pubblico prima dell'inizio del concerto, A destra il castello di Masino

Luoghi citati: Parigi, Torino