L'avvenire nell'aerosol di Giuseppe Culicchia

L'avvenire nell'aerosol Torino, oggi a Palazzo Bricherasio la grande mostra sul graffitismo Usa L'avvenire nell'aerosol Protagonisti Haring e Basquiat Giuseppe Culicchia TORINO 1 ENTRE altrove si mettono taglie da Far-West sui ragazzi che rei di vandalismo coprono di colori il paesaggio metropolitano, a Torino Palazzo Bricherasio ospita, da oggi al '30 gennaio, la bella mostra Pittura dura. Dal Graffitismo alla Street Art, curata da Luca Massimo Barbero e Giovanni Iovane: oltre 100 lavori che in tre distinte sezioni ripercorrono la strada che nel giro di vent'anni ha portato «vandali» come Keith Haring o Jean-Michel Basquiat o Ronnie Cutrone o James Brown a esporre nelle gallerie d'arte invece che in quelle delle metropolitane, all'interno dei musei piuttosto che sulle facciate dei palazzi. Ed è alquanto emozionante ritrovarsi ad ammirare certe opere di Haring risalenti al 1982 e strappate direttamente dai muri della Subway newyorkese, come nel caso dello splendido Business man, dove un omino con 24 ore viene tirato per la giacca e poi preso a calci da una coppia di cani abbaienti: scena tratteggiata nell'inconfondibile stile dello scomparso artista allora davvero «underground» e adesso assai commercializzato e alla moda. Quella che sarebbe poi diven- tata l'Aerosol Art - una delle quattro discipline della cultura hip-hop formatasi nei quartieri neri e ispano-americani di New York, insieme al B-boying, meglio conosciuto come break-dance, al turntablism, ovvero l'arte di manipolare il giradischi, e al rap, col quale i ragazzi dei ghetti si sfidavano improvvisando rime su ritmi hip-hop - era nata in realtà una decina di anni prima, quando un il New York Times aveva dato notizia di un diciassettenne che a colpi di pennarello segnava con la propria firma (o «tag») il suo passaggio attraverso tutta la città. Poco dopo, la polizia di New York aveva dovuto creare ùria speciale squadra ariti grafititi per dare la caccia ai giovani teppisti che, adottata la bomboletta spray, trascorrevano le loro insonni notti di «writer» colorando le grigie superfici di vagoni e caseggiati, appropriandosi di una città ostile, diventando celebri malgrado l'anonimato e gareggiando nell'incessante ricerca di spazi sempre più rischiosi da coprire e di «pezzi» sempre più difficili da realizzare. Ma se col diffondersi dell'Aerosol Art le strade dell'Upper West Side e di Brooklyn e del Bronx assistevano ad un'esplosione di creatitività e di stili - culminanti nel Wild StylediPriest 167, complicatissimo intrecciarsi di lettere e di simboli all'interno di scritte incomprensibili ai più, vero e proprio linguaggio autonomo nel caos della realtà metropolitana già a partire dalla fine degli anni '70 c'era chi premeva per uscire dalla clandestinità della scena hip-hop e approdare al mondo dell'arte cosiddetta «ufficiale». Così, dopo la prima ricca sezione dedicata a Haring, a Palazzo Bricherasio troviamo nella seconda Basquiat: che, prese le distanze dagli esordi e avvicinatosi a Warhol, firma insieme a quest'ultimo il celebre Olympia Rings del 1985, e che in Mississipi disegna un paio di anni più tardi una mappa dove accanto alle scrìtte della Esso le parole che ricorrono di più sono Lacrime, Sudore, Feci, Urina, Nicotina. Insieme a quello di Basquiat qui spicca il nome di James Brown: definito nel corso dogli anni '80 come un «Primitivo Urbano» da parte di Jan et Kardon; ma è nella terza sezione, ospitante un «pezzo» di Futura 2000 intitolato Komrade Spinoff (del 1983, nel quale un feto rosa da Odissea nello Spazio sembra emergere da un deserto alla Zabriskie Point) e costruita sul binomio Rammellzee-Ronnie Cutrone, che nel linguaggio dei graffiti si innesta l'elemento dell'ironia, capace di comunicare allo spettatore i contenuti di una critica sociale più immediatamente riconoscibile. Cutrone infatti riutilizza l'iconografia della Pop Art e i cartoons di Walt Disney e in Friendly Fire, del 1991, fa incendiare il vessillo nazionale americano da un simpatico, sorridente personaggio dei fumetti, mentre in Bosnia, del 1993, Felix il gatto si affaccia dalla stella rossa al centro della bandiera jugoslava per rendersi conto sbigottito di essere circondato da schiere di armati. Nel bel catalogo della mostra, edito da Electa, Renato Barilli scrive: «Che cosa dovrebbero fare delle amministrazioni illuminate? Reclutare dei graffìtisti consapevoli, ben ammaestrati, in pieno possesso di capacità tecnica, per condurre un enorme quanto controllata impresa di ornamento, di arabescatimi delle pareti pubbliche e private, mobili e immobili». Cosa che a Torino accadrà, con la messa a disposizione di superfici e spazi espositivi ai «writer» delle nostre città, durante il periodo della mostra. Anche se viene il dubbio che, per sua stessa natura, l'Aerosol Art abbia bisogno della clandestinità: «L'elemento del pericolo, della ribellione, è una sorta di rituale», diceva già nel 1972 Hugo Martinez, docente di sociologia del New York City Collège. «L'eccitazione, l'arrivo dei poliziotti, lo carica di ulteriore tensione. Devi prepararti psicologicamente, come per una grossa partita». 110 opere raccontano colori e ribellioni contro il grigiore di città ostili Arrivano dalle subway e dai ghetti i nuovi linguaggi dell'arte metropolitana A sinistra Olimpie Rings, firmato a quattro mani da Basquiat e Andy Warhol nel 198S. Sotto Forjamk, my lave, di Quik, del 1983: è una sorta di prototipo per gli artisti dell'aerosol, che dipingono vagoni ferroviari o saracinesche di negozi A sinistra un particolare di Red Dress di Donald Baecler. 1988

Luoghi citati: Bosnia, New York, Torino, Usa