Due giorni senza preghiere in Terrasanta

Due giorni senza preghiere in Terrasanta Contro la nuova moschea di Nazareth: ma oggi i musulmani ne poseranno ugualmente la prima pietra Due giorni senza preghiere in Terrasanta La serrata delle chiese cristiane Fiamma Nirenslein GERUSALEMME E' iniziato ieri, come previsto, la serrata di due giorni delle Chiese di Terrasanta. I pellegrini, giunti a gruppi come ogni giorno, pronti alla rievocazione della vita di Cristo a Nazareth, il luogo del contendere, a Betlemme, al Sepolcro e alle altre decine di tappe dell'anima, hanno trovato tutto chiuso. Monsignor Sabbah, il patriarca latino, nella grande magione dei Cattolici d'Oriente, indossa lo zucchetto rosso e il volto delle pessime occasioni, quando spiega, prima in arabo e poi in inglese, le sue ragioni, che sostanzialmente mettono sotto accusa Israele: «Siamo pochi ma eguali agli altri davanti a Dio. Abbiamo fatto uso della nostra forza per farci valere, per far sentire le nostre ragioni, perché nessuno, in questo Stato, ci protegge. Solo chi muore e si dispera è perduto: noi, invece, cj faremo sentire». La storia è nota: i musulmani di Nazareth, 60 mila abitanti, già da due anni protestano, arrivando fino alla violenza personale e contro i beni dei cristiani. Essi intendono costruire una moschea proprio davanti alla cattedrale dell'Annunciazione, su un piazzale che era stato destinato, in vista del Giubileo e nell'ambito di una generale ristrutturazione e restauro della città, a diventare un piazzale di raccolta per i pellegrini. I musulmani all'inizio del secolo erano il 26 per cento, ora sono il 65 per cento circa della popolazione (un fenomeno identico in tutte le cittadine del cristianesimo, compresa Betlemme). Sullo spazio conteso sorge la tomba di Shihab ad Din, un nipote del Saladino, un eroe che morì combattendo contro i Crociati. Il governo israeliano, dopo due anni di attacchi musulmani ai cristiani, prima esitante e incap are di fermare la sommossa, ha infine acconsentito alla costruzione di una piccola moschea, ma Sabbah e i cristiani d'Oriente sono convinti che la decisione sia sbagliata e pretestuosa: «Gli israeliani di fatto hanno fomentato lo scontro fra noi e i musulmani non reprimendo subito le manifestazioni violente», ha accusato ieri, irato, il patriarca. Ma alla domanda se pensa che si possa proibire la costruzione della moschea, non vuole rispondere. La linea del Patriarcato è quella di accentuare il più possibile il dissenso con Israele, cercando di tenere aperti i rapporti coi musulmani. Ma se questa chiave funzionava bene ai tempi dell'Indiada, perché Sabbah e i suoi fratelli sono palestinesi come i loro compagni di lotta musulmani, adesso non si capisce bene dove possa portare questa strada. Una discussione in famiglia per interposta persona la si è già avuta quando il Waqf, l'organizzazione che sovrintende ai luoghi santi dell'Islam, ha chiesto ai musulmani israeliani di rimandare la posa della prima pietra, che deve avvenire oggi: la risposta è stata un bel «no». Arafat ha chiesto a Sabbah, anche lui senza successo, di evita- re la chiusura dei luoghi santi nelle aree palestinesi, soprattutto a Betlemme, dove il Papa è ansiosamente atteso nel marzo del 2000. Un'offerta di mediazione è arrivata dal principe ereditario saudita Abdallah Ben Aziz, che con una telefonata al leader palestinese si è detto disponibile a finanziare personalmente la costruzione di una nuova moschea a Nazareth, a condizione che sia eretta in un sito che non offenda le chiese cristiane. Su tutto aleggia la minaccia che Giovanni Paolo rinunci al Grande Pellegrinaggio del Giubileo, segno di pace solenne fra le tre religioni monoteiste. Il ministro israeliano della Pubblica Sicurezza, Shlomo Ben Ami, ripete che non gli risulta nessun cambia- mento e che spera di sistemare le cose nello spirito del compromesso: dopotutto, i musulmani, dice, a Nazareth hanno dei diritti. La verità, però, è che i musulmani hanno sempre posto il segno delle loro moschee di fronte ai grandi santuari di Terra Santa per marcare un simbolo di predominio: la memoria della sofferenza inferta loro dai Crociati è ancora vivissima. Così il muezzin chiama molto forte proprio quando le campane suonano nella chiesa della Mangiatoia, e di fronte al Santo Sepolcro. Ma Nazareth è ancora, nonostante il calo demografico, un luogo di grande pregnanza cristiana prima che musulmana. Qui, dunque, la Chiesa si gioca una delle ultime trincee simboliche in terra d'Oriente. Protestano i pellegrini nonostante gli avvisi A sorpresa l'Arabia Saudita si propone come mediatrice Il Patriarca latino Sabbah: «In questo Stato nessuno ci protegge Così siamo costretti a ricorrere alla forza» Una monaca in ginocchio davanti alla porta sprangata della Chiesa della Natività a Betlemme

Luoghi citati: Arabia Saudita, Betlemme, Din, Gerusalemme, Israele