Portogallo, il cinema invisibile di Lietta Tornabuoni

Portogallo, il cinema invisibile A Torino una ricca retrospettiva per scoprire i «colleghi» di Manoel de Oliveira Portogallo, il cinema invisibile 9 Dodici film l'anno, molti geni epoco denaro Lietta Tornabuoni TORINO Un multirnmardario del petrolio amico dell'arte e un seducente produttore-distributore coraggioso sono due personaggi-chiave di quel cinema portoghese a cui il Torino Film Festival dedica quest'anno una sua retrospettiva (1970/1999), curata da Roberto Turigliatto con la collaborazione di Simona Fina: 53 lungometraggi (anche di Manoel De Oliveira, di Botelho, Monteiro, Rocha, Seixas Santos, Teresa Villaverde), 13 corti o mediometraggi, una ricchezza. Quello portoghese è un cinema speciale, unico in Europa per vitalità e fecondità artistica, «un l'elice mistero di longevità, diversità e qualità», dice Jean-Michel Frodon: da Oliveira a Oliveira, si moltiplicano gli autori, vincenti in tutti i festival internazionali, d'un cinema che pure non produce più di dodici film l'anno per un mercato in cui 200.000 spettatori rappresentano un trionfo, e che non realizza alcun film senza il sostegno finanziario dello Stato. Due uomini testimoniano di quanto peso possano avere le singole persone persino in un'attività assolutamente collettiva. Calouste Sarkis Gulbenkian, petroliere, mecenate e collezionista d'arte morto vecchissimo nel 1955, è il creatore della famosa Fondazione culturale che, finanziandone i film, offrì la possibilità nei Sessanta, detti «gh anni Guibenkian», di formare un collettivo di cineasti. Ne uscì una generazione d'autori dotati di un'idea estetica ambiziosa del cinema. Dopo il 25 aprile 1974 e l'avvento della democrazia in Portogallo, il collettivo si frammentò in gruppetti rivali; ma negli anni della dittatura aveva potuto comunque prendere corpo un'idea di cinema abbastanza forte perchè lo Stato dovesse occuparsene; paradossalmente, l'angustia dèi mercato portoghese, minimizzando le possibilità commerciali dei film nazionali, contribuiva al prevalere delle opere d'autore. Gli Anni Ottanta sono invece queui di Paulo Branco. Ardito, innamorato dei bei film, affascinante, abile operatore finanziario. Branco diventa il produttore fisso del cinema d'autore portoghese (e anche d'una parte crescente del cinema d'eautore europeo), il sostenitore dei cineasti artisti, il distributore, l'esercente delle loro opere. E' con lui che Manoel De Oliveira, espropriato a Porto (Oporto) dei beni della sua aristocratica famiglia, impoverito dalla «rivoluzione dei garofani», stabilì un accordo leggendario: tu pensi ai soldi, io ti dirigo un film all'anno. E' grazie a lui che il geniale novantenne De Oliveira, dopo aver realizzato dal 1978 quindici film in ventanni, lavora adesso a un grande affresco storico dedicato al sacerdote missionario e predicatore Antonio Vieira, e che Monteiro girerà una versione cinematografica de «La philosophie dans le boudoir» di Sade. E' grazie al suo esempio che il produttore france¬ se Jacques Bidou ha deciso di organizzare «Capitani d'aprile», primo film diretto a trenta tré anni da Maria de Medeiros, l'attrice di Oliveira, di Tarantino, di Monteiro e di Chantal Akerman, rievocazione della rivolta dei militari che rovesciò la dittatura in Portogallo un quarto di secolo fa. A provvedere al cinema è intanto subentrato lo Stato con le sue leggi lambiccate, con le sue riserve e i suoi interessi politici. La Fondazione Gulbenkian non finanzia più film, soltanto cortometraggi o opere di studenti; il programma statale di sovvenzioni passa in parte attraverso realizzazioni destinate alla televisione. Dice Jean-Michel Frodon, al termine d'una sua inchiesta: «La sfida è quella di rinnovare il cinema portoghese straordinario che oggi conosciamo; altrimenti i grandi cineasti che lo rappresentano sembreranno presto gli ultimi dei Mohicani». Maria de Medeiros, l'attrice simbolo del cinema portoghese

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