VOLEVA AL GOVERNO IL PCI...

VOLEVA AL GOVERNO IL PCI... FANFANI, UN'INTERVISTA INEDITA E UNARIMOSSA VOLEVA AL GOVERNO IL PCI... Aldo Rizzo AMINTORE l'anfani è morto quando un ex dirigente del Pei, o un dirigente dell'ex Pei, siede sulla poltrona di presidente del Consiglio. Ma, ventidue anni fa, che un leader democristiano parlasse di partecipazione diretta dei comunisti al governo, era uno scandalo politico. Eppure, il M dicembre 1977, Fanfani mi disse che quella era la soluzione appropriata e urgente |ier la crisi italiana. Poi ci ripensò e mi chiese di non scriverlo. I comunisti (diventati postcomunisti) sarebbero entrati al governo solo diciannove anni dopo, e io mancai uno «scoop» clamoroso. IT un episodio lontano, ma nella storia della Repubblica italiana, come si veile da tante cose e da tante polemiche, niente è abbastanza lontano. E se quell'episodio fosse andato in un altro modo, il corso della politica nazionale sarebbe stato comunque diverso. Fanfani era allora presidente del Senato e con Moro e Zaccagnini, rispettivamente presidente e segretario della De, oltre che con Andrcotti presidente del Consiglio (con la formula della «non sfiducia» da parte comunista), faceva parte del cerchio più stretto del potere democristiano. Andò cosi. Dopo l'assassinio di Casalegno, e con Trovati trasferito da Roma a Torino come vicedirettore, io, che ero approdato da pochi anni alla Suim/ia, mi ritrovai capo della redazione romana. In questa nuova veste, fui invitato a colazione da Fanfani nella sua casa di via Platone, col direttore Arrigo Levi. C'erano anche la signora Maria Pia e il portavoce-braccio destro Gian Paolo Cresci. Fanfani entrò subito in argomento. Disse che, in quella situazione d'emergenza, col terrorismo che infuriava, non si trattava più di cambiare un governo, ma «l'insieme della situazione nazionale»: bisognava «fornire un'indicazione di marcia diversa e sicura», e ciò non era possibile senza la partecipazione diretta al governo di «tutte» le maggiori forze politiche. Ma Moro, con i suoi tempi lenti, col suo gradualismo, era d'accordo? Rispose sostanzialmente di sì, riferendosi soprattutto, ma non solo, alle «conversazioni private». D'ai tra parte) osservò, bisogna agire «quando minore è il costo politico di una collaborazione di governo con i comunisti», un costo «destinato ad aumentare col passare del tetri|>o, con l'aggravarsi dei problemi». Precisò che «pagare a rate e sempre stato più costoso che accordarsi subito su un prezzo equo». Domandai; ma sarchile un viaggio di andata e ritorno, o l'avvio irreversibile del «compromesso storico» di Berlinguer? Rispose: «Nessuno può dire quando potrà finire l'emergenza. Ma, se il governo funziona, si va verso la normalità» e ognuno riacquista il suo ruolo. Con Levi, commettemmo ['«imprudenza» di chiedergli di approvare il testo del mio articolo. Probabilmente, questo gli sembrò troppo (dopo un colloquio con Moro, the aveva il «polso» degli umori generali della De). Tre mesi dopo, l'agguato di via l'ani, il nuovo governo Andrcotti col Pei nella maggioranza ma senza responsabilità diretta, una formula che durò appena un anno. La storia della Repubblica riprese il vecchio corso. 1 comunisti ricominciarono i loro «stop and go». bisognò aspettare la caduta del muro di Berlino per un principio di sblocco dello stallo italiano. Poi, nel 1998, D'Alema è diventato presidente de! Consiglio e ora Fanfani è morto.

Luoghi citati: Berlino, Roma, Torino