Zeri, furori e passioni d'un critico

Zeri, furori e passioni d'un critico Incauti acquisti, mancate sorveglianze, scempi edilizi: esce postuma un'intervista di sorprendente attualità Zeri, furori e passioni d'un critico «Il nostro modo di tutelare il patrimoniofa ridere il mondo» Liliana Matteo L, inesausto amore di Federico Zeri per il / nostro patrimonio artistico. E le sue rabbie. Le apocalittiche previsioni. I beffardi giudizi in cui si sommano i I ricordi e letture, esperienza e gusto della provocazione. Gli strali feroci. Contro gli errori e le latitanze della pubblica amministrazione, la disinvoltura morale di molti storici dell'arte, l'estinguersi di quell'elite colta che un tempo contava, la scuola incapace di educare all'arte, l'Università dai concorsi truccati e dalle cricche a sfondo politico o commerciale coi professori che preferiscono ammannire agli studenti le parole ex cathedra invece di rendergli familiare ia relazione con le opere d'arte o le loro copie o i falsi stessi. La voce di Zeri, a un anno dalla sua morte, torna a farcela sentire Bruno Zanardi - uno dei più noti restauratori italiani, che con il Maestro ha avuto lunga consuetudine e amicizia e rapporti di collaborazione. Un "dialogo" lo definisce l'autore. Una delle 24 interviste - a conservatori, storici dell'arte, archeologi, architetti, giuristi, economisti, restauratori - che compongono il volume Conservazione, restauro e tutela, edito da Skira: la storia delle aspettative mancate e delle iniziative promesse, negli ultimi trent'anni in Italia, per varare una nuova legislazione urbanistica, far convivere economia e cultura, tutelare proprietà privata e proprietà religiosa, ripensare i nessi fra restauro e scienza, centri storici e architettura contemporanea, tutela e legislazione. Università e lavoro ... La storia delle infinite battaglie che Zeri ha condotto, anche attraverso le pagine della Stampa: il "suo" giornale, che dell'intervista di Zanardi pubblica questi stralci in anteprima. Federico Zeri NTELLEGHENZIA E POTERE. «Nei nostri musei ci sono solo opere che lo Stato si è trovato in mano al momento dell'Unità. Dopo, nessun re, duce, presidente della Repubblica, ministro è mai stato sfiorato dall'idea di acquistare qualche pezzo importante per integrare secondo un disegno razionale quello che già possedevamo. Quando lo abbiamo fatto, abbiamo fatto ridere il mondo intero. Basti la grottesca vicenda della Madonna della palma: una ridicola crosta da bottigliaro, che l'allora Consiglio superiore delle Antichità e Belle Arti scambiò p^rùn'óperà dl'SSffaélld'e la fece comprare allo Stato... Negli anni Trenta Firenze era piena di quadri formidabili di impressionisti e post-impressionisti... I Cézanne della collezione di Charles Loeser sono finiti all'ambasciata americana di Parigi; ed erano capolavori assoluti. La bellissima versione del Déjeunersur Ifierbe di Manet che era a Milano: sparita, anche quella... Quando nel 1920 si tenne a Venezia la grande mostra di Cézanne, uno dei massimi rappresentanti déil'intellighenzia italiana, Emilio Cecchi, dedicò la sua attenzione a Ignacio Zuloaga e non al pittore francese; come allora si disse, "gli piacevano più gli impressionanti degli impressionisti"!». SORVEGLIANZA ZERO. «Potrebbero svolgerla benissimo gli ispettori centrali, ma il Ministero non glielo consente preferendo tenerli ad ammuffire dentro gli uffici...In Sicilia ci sono luoghi in cui le soprintendenza sembrano non essere mai arrivate. Per esempio, la zona montana della provincia di Messina, dove ho visto delle sculture lignee policrome lascia¬ te sotto la pioggia battente in chiese prive di tetto! Vogliamo poi parlare delle centinaia di affreschi che senza mai essere stati fotografati cadono a pezzi nelle moltissime chiese ormai abbandonate a se stesse nelle campagne e, soprattutto, nell'Appennino?». PROVINCIALISMO E IGNORANZA. «Via con i balletti "gonzagheschi" al Palazzo Ducale di Mantova, con i concerti alla Galleria Nazionale di Parma o con le sfilate di moda agli Uffizi e nelle Tombe Medicee, mettendo sullo stesso piano Michelangelo e la troupe di Armani, Versace, Valentino!... Grave è il desolante spettacolo di una nazione che rinuncia alla radice storica d'ella propria straordinaria culturaj per ridursi a provincia piccolo-borghese dei Paesi anglosassoni, se non a una Disneyland per il turismo d'arte... E' la solita viltà della classe media italiana, la sua mancanza d'una vera coscienza civile, meno che mai presente nel cosiddetto ceto intellettuale. Quanti sono stati i professori universitari che non hanno giurato per il fascismo? Undici. Quanti sono gli intellettuali che hanno denunciato pubblicamente le atrocità del comunismo? Forse nemmeno undici». U STOMA DELL'ARTI, IN ITALIA. «E' rimasta alla filologia. Non ha cioè superato la prima fase, peraltro indispensabile, della classificazione delle opere... In altri Paesi, soprattutto sotto l'effetto della scuola tedesca e poi anglosassone della prima metà di questo secolo, vi sono stati invece studi di iconografia e di iconologia, studi sui rapporti tra arte e società, tra arte ed economia. Tutti approcci metodologici che da noi hanno avuto una vita molto stentata e quasi sempre discutibile». SCELTI E PREFERENZE MIRATI. «Ci sono intere scuole pochissimo studiate e pubblicate, perchè manca il nome di grido. Come la pittura ligure del Quattrocento... Per non parlare dell'arte nell'estrema punta meridionale dell'Italia, ancora di fatto ignota. Quasi che pittura e scultura fossero solo quelle delle grandi corti di Roma o di Firenze, e si potesse rimuovere dagli studi qualsiasi altra forma d'arte ritenuta periferica o minore. E ciò non solo in ossequio a una collaudata tradizione di studi, ma anche in funzione puramente mercantile». EXPERTKES E MERCATO. «Non vedo niente di male nel commercio dell'arte. La cosa grave è che venga privilegiata una fetta della produzione artistica unicamente perchè è là sola che si può commercializzare. Ed è scandaloso che a far questo siano studiosi che svolgono le loro ricerche soprattutto al fine di promuovere il tal gruppo di quadri o di disegni che si trovano in commercio. Come ha (atto per primo Adolfo Venturi, seguito poi al galoppo da Longhi, Fiocco e tantissimi altri». DEVASTAZIONI DI STATO. «Un altro mostro sono le catene più o meno intemazionali di soccorso dedicate solo ;id alcuni grandi centri come Venezia, Firenze e anche Roma. Il polverone che queste catene; di Sant'Antonio sollevano oscura di fatto l'agonia del preziosissimo tessuto connettivo fuori dal le grandi città: cioè quell'insieme di piccole e piccolissime località dove si lasciano morire opere d'aite anche insigni. In Abruzzo, per esempio, negli ultimi cinquant'anni sono stati commessi veri e propri scempi. Ci sono infiniti monumenti rovinati non già dal tempo, nè dai terremoti o dalla guerra, ma da restauri sbagliati, oppure iniziati e mai finiti, eseguiti dalla stessa amministrazione dei beni culturali. Vi sono casi incredibili di somme enormi spese dallo Stato per devastare monumenti pubblici: veili la chiesa tli Santa Maria di Collemaggio a L'Aquila, o quella di San trancesco a Tagliacozzo... Gli altari demoliti riflettevano tutta la storia di quel paese e delle principali fantiglie che lì avevano abitato per secoli. Quelle demolizioni hanno avuto come risultato di rendere una chiesa colma tli storia un assurdo hangar medevale tutto in pietra mula illuminata al neon, con i dipinti degli altari privati delle loro cornici originali e appesi a fili di ferro. Una serie di tragedie, queste dei nuovi allestì menti di musei e chiese, causate dal numero infinito di architetti che credono di essere innovativi perchè copiano le illustrazioni d'un qualche libro sul design americano piuttosto che tedesco o finlandese: cosi fanno la Finlandia a Tagliacozzo». LO SCEMPIO DELLE PERIFERIE E DELLE COSTI ITALIANE «E l'articolo 9 della Costituzione che pone la tutela del paesaggio come obbligo elico e morale della nazione? Se ne sono fregati tutti, compreso il Ministero dei Heni culturali e ambientali. Per poi far finire ogni cosa a tarallucci e vino, secondo l'immodificabile immoralità ita liana, le forze politiche! hanno chiuso la questione votando come un sol uomo la legge sul condono edilizio, e così si e reso legale lo scempio dell'Italia. Un'autentica vergogna». " Santa Maria di Coflemaggio all'Aquila, esempio di devastazione d'un monumento da parte dello Stato: al centro una versione del Déjeunersur l'herbe di Manet. capolavoro che l'Italia si è lasciata sfuggire per insipienza: a sinistra Federico Zeri, ip Lasso Roberto Longhi: certe sue ricerche avevano anche lo scopo di tmciare sul mercato precisi filoni aitistici