I dilemmi al supermercato Frankenstein

I dilemmi al supermercato Frankenstein I dilemmi al supermercato Frankenstein «labi transgenici? Più sicuri perché controllati» alimentazione inviato a PIACENZA ■ MMAGINATE un panino di car! ne senza la carne? 0 un pacchetI to di riso con le vitamine d'una bottiglia di latte? Sono ormai quasi pronti per essere allineati negli scaffali del supermercato Frankenstein dove la genetica sconfigge la fantasia. Gli stessi banchi dove potremo presto trovare, lucidi e gonfi di salute (salute?) oltre a mais e soia inattaccati dai parassiti, anche la barbabietola che produce zucchero dietetico, il pomodoro che non marcisce, la ciliegia senza nocciolo, l'uva priva di vinaccioli. In principio fu la scienza: un gene estraneo, mi microscopico elemento spesso di origine animale, che, inserito nel Dna d'un vegetale, punta a migliorarne il valore nutritivo. Magari tentando di ottenere un frumento con le stesse proteine del filetto o di trasformare una ciotola di riso in un pasto quasi completo. Ma in principio fu anche l'etica. Che ingiunge: queste manipolazioni devono produrre alimenti che non influiscano od interferiscano in alcun modo con la salute del consumatore e la sicurezza dell'ambiente. Etica e scienza sono in contrasto almeno fin dai tempi degli specchi ustori di Archimede, se non dall'«invenzione» della clava. Figurarsi, allora, quando tra i litiganti s'inserisce un business calcolabile in migliaia di miliardi di dollari. Il cibo in quest'ultimo scorcio di secolo sta subendo una trasformazione tecnologica paragonabile a quella che ha consentito di passare dalla matita al computer. Ma l'alta tecnologia non è, in questo caso, applicata a scienze fredde come la fisica o l'informatica: tocca organismi biologici come cereali, frutta, verdura, ammali. In pratica tutto ciò che è il nostro cibo. E se noi siamo davvero ciò che mangiamo, cosa rischiamo d'essere oggi e, più ancora, domani? La discussione sulla biotecnologia diventa scelta dfi campo. 4#f: In senso metaforico e, visto l'argomento, anche in senso reale: con chi è pronto a giurare che il Mutante è assolutamente sotto controllo, cornucopia di benessere, filantropica arma per contrastare la fame nel mondo; e chi, invece, teme il Mostro e lo vede come untore, reale o potenziale, d'irreversibili guasti e malattie. La fine del millennio appare come un disc rimi ne. Romani Prodi, presidente della Commissione europea, ha stabilito di creare un'Agenzia per la sicurezza dei cibi, una sorta di risposta del Vecchio Continente alla mitica Food and Drugs Administration americana. A fine mese, poi, i Grandi del pianeta s'incontreranno, e probabilmente si scontreranno, nel meetimg oreanizzato a Seattle dall'Organizzazione mondiale del Commercio per dare il via libera o imporre uno stop a questi alimenti della nuova frontiera. Professor Lorenzoni, lei è docente di genetica delle piante all'Università Cattolica di Piacenza: esistono basi scientifiche per considerare la biotecnologia in agricoltura come una sorta di Vaso di Pandora pericoloso da scoperchiare? «Partiamo da un dato. Ogni anno vengono prodotte centinaia di nuove varietà in modo tradizionale: con innesti ed incroci. Bene, gli organismi trangenici, gli ogm come sbrigativamente si definiscono, comportano gli stessi rischi di queste varietà naturali». Vale a dire che è sbagliato parlare di eventuali "geni cattivi"? «Beh, non si può affermare con assoluta certezza che, in alcuni individui, non possano, magari, determinare qualche allergia. Anche se...». Dica, professore. «Mentre le varietà in cui si introduce una trasformazione genetica sono controllate dal primo passo a quando si trasformano in cibo, quelle nuove costruì ie in modo tradizionale non sono sottoposte a nessun controllo sanitario-nutrizionale». Significa, forse, che i cibi prodotti con aumenti transgenici non soltanto non fanno male, ma fanno, per così dire, "meglio"? «Sì, se la genetica migliora la qualità del prodotto e diminuisce i rischi di impatto ambientale. Ricordiamoci, poi, che è sbaghato dubitare per principio». Eppure c'è chi dubita, e molto. Gli ecologisti, ad esempio. In tutta Europa sostengono che le varie specie vegetali potrebbero subire danni impre ve dibili anche a causa di incro- Il nd«la effe ci spontanei con mais e soia e colza manipolati dalla biotecnologia. E dall'Inghilterra, Paese dove, pure, s'è dimostrata maggior apertura per le nuove frontiere della genetica, alcuni ricercatori lanciano l'allarme: sostanze chimiche pericolose ed allergeni rischiano di entrare nello catena alimentare umana «con effetti potenzialmente disastrosi». Lorenzoni è scettico: «Non credo che questo sia possibile jerchè i cambiamenti sono minimi 3 nessuno ha interesse a introdurre varianti die diano luogo a forme sconosciute. Ma mi lasci rispondere con un paradosso neppur troppo campato in aria. Per poter affermare che un prodotto è innocuo un verde vorrebbe un controllo di due anni su un milione di topi. Poi, non contento d'una richiesta così assurda, ti impe- disce anche di utilizzare i topi come cavie perchè sarebbe una crudeltà». Dopo le critiche, le proposte, professore. «Il nodo vero è mantenere un comportamento lineare. Prendiamo ad esempio gli Stati Uniti: c'è chi li accusa di operare con leggerezza nel campo degli ogm. Non è vero, la loro è soltanto efficienza: se guardiamo l'iter per stabilire l'innocuità di un prodotto trasgenico vediamo che, in America, i tempi sono molto più rapidi rispetto a quelli europei sia nella raccolta dei dati sia nell'emanazione dei regolamenti». Sarà anche vero, ma nel Vecchio Continente l'opinione corrente è quella di andare con i piedi di piombo: semplice inefficienza? «Il problema vero è che l'Europa prima ha deciso (in un momento che per alcuni è di chiaroveggenza e per altri di debolezza) che gli ogm hanno diritto di cittadinanza neìl'Ue, poi è tornata sui suoi passi. Sino a stabilire un non senso corno il divieto temporaneo. Ma temporaneo in attesa di che cosa, se esiste già un via libera?». Soltanto slogature politiche? La Monsanto è un colosso dell'alimentazione presente in 100 Paesi che ha investito, nel 1998, 1,2 milioni di dollari per ricerca e sviluppo. Parla di progresso bloccato da «espedienti amministrativi che, in realtà, sono soltanto mezzi per acquisire consenso». E fa anche l'esempio dell'Italia: la legge prevede che certe coltivazio¬ dita i e bili mo» ni biotecnologiche vengano verifica te in campo, ma è proibito importare i semi per realizzare tali esperimenti. «Ci dicono che manca una normativa per stabilire quanti chili di sementi possono essere introdotti nel Paese. Ma non è il ministero dell'agricoltura a dover fissare certi criteri?». Il dicastero retto da Paolo de Castro passa di mano: proprio in questi giorni ha demandato al governo la decisione definitiva che riguarda alcune specie di super cereali che pure avevano ottenuto il sì di Bruxelles e del ministero della Sanità: «Voglio che per queste e per altre sperimentazioni la responsabilità sia politicamente condivisa. Anche con le regioni».Dietro l'angolo delle scelte dilatorie si nasconde, però, il signor Kafka con il suo corredo d'assurdo: è vero che non possiamo importare vegetali modificati attraverso biotecnologie e, quindi, neppure produrre alimenti transgenici. Ma possiamo mangiarli: il 30 per cento deila soia e del mais che arriva dagli Usa è, appunto, di origine transgenica e, in parte, inevitabilmente finisce, come amido o lecitina, in certi cibi confezionati' biscotti, com flakes, latte di soia, cioccolato, maionese... E' possibile sapere quali articoli, sicuramente, contengono vegetali «ritoccati»? No, almeno sino ad ora. Le grandi ditte alimentari italiane si approvvigionano attraverso canali che assicurano materie prime "ogm free", ma la rivista Altroconsumo ha esaminato 42 prodotti venduti in Italia ne ha trovati 4 con ingredienti transgenici. Secondo la Monsanto, questa legislazione così incerta e contradditoria può diventale alibi "per le speculazioni di chi mira a sfruttare la propria immagine, attraverso operazioni di puro marketing e offrendo garanzie che non garantiscono nulla se non il nulla stesso». Il riferimento è a Coop Italia che, imitata dalla Esse-lunga, ha scelto una strada percorsa anche dalla Carrefour francese e dalla Mork's & Spencer inglese: non vendere alimenti che contengano sostanze geneticamente modificate. La spiegazione di Vincenzo Nigro, presidente di questa che è la maggior catena di distribuzione del Paese, parte da un leggero ed ovvio colpo al cerchio: «Le nuove tecnologie possono rappresentare una grande opportunità per l'umanità». La chiusura del discorso è, però, un ben fragorosocolpoallabotte: «E', tuttavia, indispensabile approfondire le conoscenze in merito ai potenziali effetti sulla salute dell'uomo e dell'ecosistema. Occorre, inoltre, che i consumatori siano adeguatamente informati anche attraverso una corretta etichettatura». E' nato su questa filosofia un progetto che dall anno prossimo, con un investimento di 20 miliardi, garantirà non soltanto l'assenza di ogm nei prodotti Coop, ma anche la loro «non derivazione» da coltivazioni biotecnologiche. L'iniziativa coinvolgerà 100 mila ettari di cereali e leguminose, 450 mila capi di bestiame, 1,5 milioni di quintali di ortofrutta. E fa esclamare a Tassinari: «Valutazioni serie, cifre importanti: altro che marketing, altro che operazione di pura immagine». L'intreccio è scientifico, sanitario, ecologico, politico, economico, ma anche "papillo-gustativo". Non è piccola cosa in un'epoca nella quale gli antichi sapori sono cercati come pepite nel fiume del «tutto uguale». Il professor Lorenzoni brandisce il microscopio ed assicura ciie «il profumo e l'aroma del bel tempo andato li abbiamo persi almeno da 50 anni". E si reinterroga: chi può assicurare senz'ombra di dubbio che i vegetali tradizionali siano oggettivamente superiori? "Ci dimentichiamo che, spesso, grazie a metodi sbagliati o approssimai ivi di coltivazione celano al loro interno una carica di microrganismi altamente tossici?". Gran pan e del mondo agricolo italiano si schiera, comunque, contro il «liberismo esasperato che pone il menato e le sue esigenze al centro e al di sopra di tutto»: l'imperativo è difendere i «giacimenti» tipici della nostra tradizione rurale e della culture alimentare, Perchè, come filosofeggia Edoardo Raspelli guardando con rammarico a queste stagioni improntate slle globalizzazione dei sapori, «l'arrivo dei cibi transgenici non potrà che contribuire all'omologazione definitiva. E questo avverrà anche se, per assurdo, il gusto sani migliore. 11 punto è die se tutto si trasforma in oro, niente più sarà oro». Un docente di genetica: «Si migliora la qualità del prodotto e si riducono irischi ambientali» Il no della Coop alla vendita di prodotti manipolati «Bisogna approfondire la conoscenza dei possibili effetti sulla salute dell'uomo» Ma il 30 per cento della soia e del mais che arriva dagli Usa è modificata «I vegetali tradizionali grazie a metodi di coltivazione sbagliati possono essere altamente tossici* Gregor Mende) «pone taleggi «WtWhai^L, delle scienze »»^d^mn. In Austna n -, .. . <S Mendel, nascita dette f delle prime tecrechedi cultura in me, cr«apr©r» Jtpówaj&detla mokiplicaiiongflprprm f. : -':/;' Watson e Cridc Illustrano k struttura a doppia«8cadel Dna un i ni' ii i immimtimmmii: Scoperà degli «mimi <8 restrizione, capaci di tagliane B Dna e che rendono possibile stabilire una mappa dei croflKSoml Ué^lpe di George Morti scopre la proprietà é alcuni batteri del terreno di indurre ì* comparsa di determinate caratteristiche nei vegetali l'equipe di Jeff Sene» e Mare yan Mortugu. m Belgio, mette a fuoco 8 ruoto del pbsfnjdr Nascita del (jori la messa a punto detta donazione di geni L'equipe di M^d'eBOiSton (Usa) dimostra die la trasformazione delle cellule vegetaB risulta dall'integrazione ne) loro genoma di una parte del genoma di un batteri", e perfeziona una tecnica di yWÌ9lìfm\Ù> del gene da una specie all'altra Mrmtr*t*ì§ertesi vegetale, tu una pianta di tabacco COLZA'(t funziona/; Produzione digrassiHM nellapiantj/OHo per frittura «falbi temperature, a basso tenore di grassi Insaturi FONT6: Ministero delta Sariita-Qfp&rtfmento della Prevenzione. 1998 «I vegetali tradizionali grazie a metodi di coltivazione sbagliati possono essere altamente tossici*