I nipotini del Grande Progetto

I nipotini del Grande Progetto I NEO RIFORMATORI TROPPO LONTANI DALLA VITA REALE I nipotini del Grande Progetto Smarriti nella pericolosa bonaccia europea Barbara Spinelli SI discute degli Universali, simulando governabilità planetarie non poco reniote. Ci si compiace innanzitutto, perché gli antichi tempi polverosi non sono più, e nessuno può accusare i presenti di far parte del mondo di ieri. I convitali non son piti né comunisti, né post comunisti, né collettivisti, né statalisti. Non si sa bene quel che siano, e per che scopo alla lunga si battano, ma un fatto e certo: pur essendo sproporzionatamente fieri della rinascila socialdemocratica in line secolo, i riformatori europei hanno un rapporto difficile, tortuosamente ossessivo, con il passato. Per questo vogliono esser tulli assolutamente moderni, e hanno bisogno di Clinton come garante ih un'incessante rigene razione. Per questo vivono le prove di maturità - l'Euro, o la guerra Nato in Kosovo - come esami vinti una volta per sempre, non destinati a ripetersi come succede nei fatti e nella vita politica ordinaria. Son verni ti a Firenze soprattutto per diro questo progetto di modernità realizzata. Ma i riformatori europei hanno dimenticato di immettere le realtà e gli eventi del nostro mondo, nel loro piano altisonante di modernità realizzata. Manno riempito il Grande Progetto di questioni astratte, decisive appunto per il riesame del proprio passato: se si debba accettare o no il mercato, se si debba accettare o no la globalizzazione - il che è come chiedere ad un individuo se debba camminare sul marciapiede oppure no, se debba scambiare merci oppure no - ma hanno trascurato l'essenza odierna del nostro continente, che non è fermo ma sta mutando con sbalorditiva celerità. Sta disordinatamente mutando dal 1989-90, quando cadde il Muro di Berlino e i regimi comunisti si ritirarono volontariamente dal potere in Europa Centroorientale. Sta estendendo verso Est i propri confini e riunificandosi con l'altra parte del continente, che a Yalta fu svenduta al dispotismo comunista. Sta minacciosamente scoprendo, lungo tali modificate frontiere, la verità di nuove guerre e nuovi crimini contro l'umanità: prima nel decennale conflitto dei Balcani, ora nella seconda guerra che i russi conducono contro il popolo caucasico in Cecenia, Su lutti questi eventi i riformatori apparentemente vogliono tacere, per vergogna apatia o indifferenza. Moltiplicano non senza qualche ipocrisia l'appello ai Valori che trasportano nelle rispettive bisacce - il senso dell'equità, i diritti dell'uomo, la liberazione dal dominio arbitrario, dalle guerre d'aggressione, dal colonialismo - ma questi innumeri valori sono come congelati, sono come le parole sparse nello stagno ghiacciato del Gargantua di Rabelais. Sono parole che non dicono più nulla: flebili ombre di quel che un tempo significavano. E' come se la caduta del Muro non avesse insegnato strade veramente inedite, ai progressisti europei che tanto si affaccendano attorno a una «terza via» tra liberismo e stato sociale immutato. E' come se l'Ottantanove non avesse alzato il sipario su una civiltà europea di pensieri, meditazioni, revisioni, che sconvolgono ben più radicalmente le sinistre occidentali e le loro idee tradizionali attorno alla volontà generale, all'interesse collettivo, all'idea di Nazione, di sovranità statale inviolabile. Gli ex dissidenti dell'Est hanno avuto modo di meditare a fondo e sulla propria pelle le perversioni di queste idee generali, le perversioni doi collet¬ tivi e dei divieti di ingerenza negli affari interni nazionali. Hanno avuto modo di rivalutare l'individualismo, la persona umana tirannicamente assistita, la necessità di riapprendero la libertà-responsabilità. Ma ((nel che hanno da din* uomini come Havel non ha peso, a Firenze. Ha più peso quel che dice D'Alema quando si felicita per il «fallimento delle ricette ultra liberiste nei Paesi dell'Europa orientale», e per la «nascita di formazioni di ispirazione social-democratica alla guida delle tumultuose trasformazioni di quei Paesi». Un'analisi monca, che finge di ignorare il capitalismo delle nomenclature comuniste, e gli opportunistici travestimenti socialdemocratici di numerosi partiti unici colpevoli di grandi misfatti. La riunificazione dell'Europa costituisce in realtà un nonevento, a Firenze. E questo malgrado le professioni di fede unitarie, e i ripetuti festeggiamenti dell'Ottantanove. Malgrado la questione sia di massima urger, za, nei tempi di crisi russo-occidentale che si stanno preparando. Eppure il Presidente della Commissione Prodi è stato assai esplicito, il 10 novembre al Par¬ lamento Europeo: ha detto che l'Unione deve darsi al più presto un? Costituzione più salda ed efficace, se vuole estendere i propri confini alla data che si è prefissata che è il 2002. Ha messo in guardia contro la pratica abituale dei rinvii, che manderebbe a monte l'allargamentoriunificazione. E' un impegno dunque, che le sinistre europee sono chiamate a prendere, fin da ora, sulla rinnovata Costituzione Europea. E' improbabile che abbiano l'ardire di assumerselo, tanto forti sono le tendenze alla rinazionalizzazione dei socialismi in Francia, Germania, oltre che Inghilterra. E' più probabile che Prodi abbia ragione di temere; «I nostri concittadini reagirebbero con fastidio e perplessità di fronte ad un'Europa che sembra passare il tempo ripiegata su sé stessa, alle prese con una riforma istituzionale che non finisce». Così come è improbabile che i convitati di Firenze abbiano alcunché da dire sull'ultima guerra coloniale del secolo, che i Russi combattono in Cecenia con l'approvazione degli americani e in prima linea degli europei. Non è una guerra diversa da quella che i francesi condussero in Algeria, c che si concluse con la lungimirante concessione dell'indipendenza da parte di De Gaulle. Anche il popolo caucasico lotta per l'indipendenza da più di un secolo, e basta leggere il piccolo splendido racconto di Tolstoj, Hadj Murai, per scoprire le radici e l'immensa potenza di un antico, nobile combattimento. Anche il popolo caucasico è estraneo alla Russia, come gli algerini si sentivano ed erano ormai estranei alla Francia. Scrive Zbigniew Brzezinski, ex capo del Consiglio di sicurezza Usa, che l'obiettivo finale dei dirigenti russi è un genocidio, e che non è esclusa una guerra chimica contro le popolazioni civili. L'autodeterminazione della Cecenia, aggiunge, è nell'interesse di Mosca: è la sola maniera per evitare che nel Sud del Paese si formi una durevole, militante ostilità anti-russa tra 200 milioni di musulmani, e tra i 20 milioni di musulmani che vivono in Russia stessa {Herald Tribune, 20-11-99). Proviamo a immaginare un vertice democratico-socialista durante la guerra d'Algeria. E' probabile che si sarebbe concluso con un appello anti colonialista, accompagnato forae da qualche riserva di Mitterrand che per anni difese l'Algeria francese. Decenni dopo, a Firenze, le sinistre mondiali taceranno sulla liberazione della Cecenia. Perché avranno scordato tutto della propria storia, tutto della ceduta del Muro, e i loro ostentati Valori saranno finiti nel lago ghiacciato di Rabelais. SPIRITO DELLA SINISTRA, SE CI SEI BATfl UN COLPO Il presidente del Consiglio Massimo D'Alema con la moglie Linda Giuva ieri a Firenze Qui accanto: il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder A sinistra: una vignetta pubblicata su «Le Monde»