«Terza via», mito lungo un secolo

«Terza via», mito lungo un secolo IL PENDOLO DI BERLINGUER TRA COMUNISMO DI MOSCA E SOCIALDEMOCRAZIA «Terza via», mito lungo un secolo Parola d'ordine: superare il dualismo ideologico analisi ierluigi Battista inviato a FIRENZE CERTO, ThM Way suona meglio edemana un sapore di frizzante novità e un tocco di seducente cosmopolitismo. Ma l'inesausta ricerca della «terza via» ha alle spalle una storia lunga almeno quanto il sectntTTBFTOEWBEI^ E chissà se nel wwk-end fio*$htir,, no g^lj^j8^' a^ja^0^^! sm° stanza e credibilità all'intuizione «terzaviistica» del 4uru di Tony Blair, Antony (Bddens, eviteranno di lasciarsifabbacinare dall'atmosfera Mondana dell'Evento per rendere formale omaggio a un concetto che nel Novecento ha spesso assunto una valenza mitologica, incarnandosi di volta in volta nei più disparati profeti. Il mito del «terzo» nasce come insoddisfazione e protesta contro la drastica ultimativi tà delle alternative secche. Solitamente punta a conciliare l'inconciliabile, si prefigge programmaticamente il «superamento» di dualismi troppo rigidi. La sua parola d'ordine, andando al nocciolo, è sempre una: «coniugare». Sposare principi che sembrano irrimediabilmente opposti. Hegelianamente sintetizzare ciò che è smembrato e diviso. La ricerca della «terza via» non è stata e non è necessariamente di destra o di sinistra. Ha potuto condizionare fascisti e comunisti, cattolici e laici, liberali e socialdemocratici. La sua formula segreta è un «né, né». La sua ambizione è di mettere d'accordo gli elementi discordi, talvolta inseguendo la chimera della quadratura del cerchio. Storicamente è il fascismo tra i primi a rivendicarsi come «terza via» articolando la propria identità su un duplice rifiuto: né il modello capitalistico, né quello bolscevico. Secondo lo storico israeliano Zeev Sternhell la formula della «terza via» fa parte addirittura il Dna originario dell'ideologia fascista in tutta Europa, nello stesso tempo antiborghese, antiparlamentare, anticapitalista e antimarxista, antimaterialista e anti-economicista. Anzi, il corporativismo, con la sua pretesa di sintetizzare in sé il buono della proprietà privata e il buono della «socialità» è un monumento alla «terza via». Ma una «terza via» di segno radicalmente opposto è quella che viene delineata in una delle componenti più vivaci dell'antifascismo militante, quella che si forma attorno al socialismo liberale di Carlo Rosselli, matrice di ogni architettura liberal-socialista che si prefigge di non adeguarsi «né» al conservatorismo classista di chi non vuole declinare in senso «sociale» l'economia di mercato, «né» alla deriva illiberale della nuova società nata con l'Ottobre sovietico. Il richiamo della «terza via» è del resto il carburante ideologi- co e morale di quella tendenza cattolica che assumerà come guida spirituale Giuseppe Dossetti e che si incarnerà nella sua variante fanfaniana delle Partecipazioni statali, finalizzata alla costruzione di un'economia mista che né sopprima ogni forma di proprietà privata, né rinunci a una destinazione «sociale» delle risorse create dal modello capitalistico. E, su un versante opposto, non si è rivelata impermeabile alle sugge¬ stioni della «terza via» nemmeno la velleità laica e laico-socialista di una «terza forza» che si interponesse con efficacia nel dualismo tutto italiano tra Democrazia cristiana e Partito comunista. Ma è a sinistra che la seduzione della «terza via» attecchisce, anche se con significati diversi dalle più tradizionali mitologie «terzaviistiche». Esaurirtasi la «spinta propulsiva» dei sistemi comunisti, nasce e prende for¬ ma nel Pei, in piena epoca berlingueriana, la spasmodica ricerca (detta anche «eurocomunismo») di una via che non fosse né quella del «socialismo reale» di marca sovietica né quella delle socialdemocrazie, accusate di aver rinunciato alla progettazione di una «società diversa» non riconducibile al modello capitalistico. Molti obiettarono che non era affatto persuasiva l'equidistanza tra comunismo e socialdemocrazia implicita in quella «terza via». Ma l'obiezione più forte è venuta dalla storia, che ha convinto gli eredi del Pei a diventare parte integrante dell'Internazionale socialista. Con mille dubbi, però. E con una certa disponibilità, in Italia rappresentati con maggiore continuità più da Walter Veltroni che da Massimo D'Alema, a condividere gli impulsi a una nuova «'.erza via» tracciata in particolare da Tony Blair anche se avversata dal più tradizionale socialismo latino di Lionel Jospin. Una «terza via» che ha di mira, a detta di Blair, un duplice conservatorismo: quello del «neoliberismo» e quello di una sinistra abbarbicata al muro del Welfare State e che mostra di non capire che «la guerra di classe è finita ma la lotta per la vera eguaglianza è appena cominciata». Oggi che i profeti della nuova «terza via» sono tutti al potere ò più difficile confinare progetti e ambizioni nella sfera delle teorie astratte. E chissà se il ritratto di gruppo a Firenze con Clinton e Schroeder, Jospin e Blair, D'Alema e Cardoso riuscirà ad accrescere le seduzioni di una «terza via» sottoposta a un robusto intervento di lifting. Ma è anche una tendenza cattolica che ha come guida spirituale Dossetti e vuole un'economia mista che non elimini la proprietà privata, né rinunci a una destinazione sociale delle risorse create dal capitalismo Non necessariamente l'alternativa che si vuole sfuggire è destra-sinistra I primi furono i fascisti, articolavano la propria identità su un duplice rifiuto: né il modello capitalistico, né quello bolscevico A sinistra il primo ministro francese Lionel Jospin A destra il premier Massimo D'Alema con il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton

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