Storie di Città

Storie di Città Storie di Città ■ fascicoli che il nostro giornale I ha dedicato alla storia del GranI de Torino hanno suscitato ondate di emozioni e ricordi. Anche quando sembra di aver detto tutto, salta fuori una testimonianza inedita. Sono grato al professor Franco Testore, che ha rievocato alcuni episodi della sua adolescenza e ha ricostruito un inno di cui si è persa memoria. «Mio mamma era la sorella di Ferruccio Novo, il presidente del Grande Torino, con lo zio ho seguito i granata e varie partite della nazionale. Ho assistito ad alcune gare del campionato del mondo del 1934 e ho visto nettamente il famoso gol di pugno di Piola contro l'Inghilterra nel 1939 a Milano. Dopo una brillante promozione nel ginnasio, mio zio per premio mi portò per la prima volta in aereo a Roma nel '39 per assistere a Lazio-Torino, finita lai. Nel 1942 Ferruccio Novo comprò Loik e Mazzola per vincere lo scudetto. L'attacco era quello classico, non c'era ancora Ossola, c'era Ferraris, ma la difesa era ancora quella vecchia. L'inno che si cantava diceva: A sun dui bot e mesa / l'ora dan dè a giughè, / cominsa la partia / el tifo as disvia / giachetta l'a subià / la partìa l'è n'camminà. // Gabet gioga la baia / e Loik la pasa a l'ala / Ferraris la cuca al voi / e tic tac a la campa an gol. // Sa tache col Sistema / aie niun ca poi giughé, giughé, giughé / Ferrini marca l'ala / e Baldi la mesala / se Centro a voi tire as trova Ellena ansi pé. // Cume la sanghsùa / A t'iu mola pa 'n moment, moment, moment / t'iu lasa pi nen vive / a l'è propi in'asident, in'asident. / Mes camp a l'è da vende / ai na fan pi che pende / Bodoira a guarda e rii / Ma aie niun cai fa el gatign. // Per quant ca ta scarpunu / ale tut nost turnacont, nost tornacont. / Giachetta a subia el fallo / e Meo a lé già prunt, già prunt, già prunt. / Caressa an poc la baia / fa finta ad passe a l'ala. / A tira ad sura d'iu sbarament / E el gol l'è fait da preputent. // Finia a l'è la partia / finì a l'è el godiment, el godiment. / Ma prima d'andè via / ciamuma el president, el president: / Disumnie an ti n'uria / Che el Tor quand c'as disvia / es tira su i causet / poel d'co vince lo scudet». Due partite in particolare sono rimaste incise nella memoria di Testore. Una a Marassi, contro il Genoa, nel '46. Il Torino dopo venti minuti vinceva per due a zero e si era messo poi a giocherellare. Nel secondo tempo dopo pochi minuti eravamo tre a zero. Molti giocatori del Torino, per deridere il pubblico che li fischiava, si misero a giocare passandosi la palla da seduti. Dopo quattro passaggi la perdevano, si alzavano e la riprendevano. Il pubblico era inferocito. Al 25esimo del secondo tempo, Ferraris, che aiutava il suocero nella gestione dell'albergo Savoia a Vercelli, dice all'allenatore: «Oramai la partita è vinta, io esco prima e faccio in tempo a prendere il treno». Così il Torino giocò in dieci, e al 39esimo il Genoa segna un gol. Al 43esimo l'arbitro concede un rigore al Genoa: tre a due, con i tifosi urlanti che incitavano i nostri avversari: gli ultimi tre o quattro minuti sono stati terribili. L'altra partita per me memorabile si giocò a Roma; nel '45-'46 il campionato italiano fu diviso in due gironi eliminatori per la difficoltà dei collegamenti. Le prime quattro squadre di ogni girone preliminare furono ammesse a giocare quello finale. La prima partita era Roma-Torino, due squadre divise da una grande rivalità, alimentata dall'episodio delle forbicine. I giornali romani scrivevano: il Torino sarà famoso ma abbassi le ali e noi gli daremo una lezione. Morale: il Torino segna al 5', al 6' al 7' e all'8'. Sei a zero al 12'. Dopo di che mio zio diede ordine di non fare più gol, se no la partita sarebbe diventata una pagliacciata. Al primo minuto del secondo tempo c'è un calcio di punizione da fuori area per il Torino, tira Grezar, fa sette a zero e si prende subito una bella sgridata. L'anno successivo il campionato era ritornato a girone unico e ai romani bruciava ancora quel 7 a 0. C'erano manifesti sui muri dello stadio che dicevano: magari vincerete ma non segnerete più sette gol. Allora non c'era il controllo antidoping e i giocatori meno bravi si caricavano. La Roma gioca alla morte e alla fine del primo tempo vince 1 a 0. Nel secondo tempo i giallorossi crollano e i granata dilagano e si fermano solo dopo aver realizzato il settimo gol. Chiedo al professor Testore di raccontarmi la storia delle forbicine: la Roma viene a Torino nel maggio 1943 per giocare la finale di Coppa Italia indossando maglie con cucito lo scudetto vinto l'anno precedente, scudetto molto contestato dal Torino. Nel frattempo però il campionato '42-'43 si era già concluso con la vittoria del Torino che però aveva diritto di fregiarsi dello scudetto soltanto dal 1 ° giugno. Il pubblico torinista non gradì l'esibizione del trofeo sulle maglie avversarie e nel catino del Filadelfia fischiò i giocatori romani per tutto il primo tempo (concluso con il Torino in vantaggio). Nell'intervallo questi trovarono nello spogliatoio undici forbicine, implicito invito a scucire lo scudetto e ciò accrebbe il loro nervosismo. Al rientro in campo con lo scudetto sulle maglie i fischi del pubblico crebbero ancora d'intensità; dopo pochissimi minuti di gioco il portiere capitano Masetti, furioso, scagliò il pallone oltre le graduiate popolari, in via Giordano Bruno. Alla ripresa del gioco, altro pallone in strada; l'arbitro redarguì Masetti domandandogli se aveva intenzione di proseguire o meno. Risposta negativa. Partita sospesa, vittoria assegnata al Torino che si aggiudica così campionato e coppa. mi