Un soldato spacciò l'ecstasy-killer di Fabio Poletti

Un soldato spacciò l'ecstasy-killer Brescia, ventiduenne confessa. Nella sua stanza trovate 730 pastiglie. Gli inquirenti: «Cerchiamo i fornitori» Un soldato spacciò l'ecstasy-killer «Da quando Jannick è morto non dormo più» Fabio Poletti inviato a BRESCIA Quindici notti da incubo, quindici giorni con il rimorso di aver messo sulla piazza la partita di ecstasy che ha ammazzato Jannick. Ma quelle due settimane non hanno fermato Giuseppe Romanini, 22 anni di Brescia, militare di leva, un segreto in testa e uno nel sottoscala del distretto, dove teneva 730 pasticche che intendeva vendere già questo fine settimane, ai tanti ragazzini delle discoteche della zona. Dicono che sia stato arrestato per caso. Solo dopo che un ufficiale si è accorto di quel pacchetto con la droga, nemmeno nascosto troppo bene. Ma è chiaro che da quel 31 ottobre, quando Jannick è morto davanti alla discoteca Number One di Corte Franca, la polizia, i carabinieri e i magistrati cercavano solo lui. E a tutti i balordi della zona, ai giovanissimi fatti di musica hard e di ecstasy, agli amici di Jannick a Collebeato, da settimane veniva chiesta una cosa sola: «Chi ha messo sul mercato quelle pastiglie assassine?». I risultati dell'autopsia sul corpo di Jannick non hanno ancora stabilito se sia morto per aver ingerito una sola pastiglia avvelenata o se ne abbia prese troppe, magari mischiate all'alcool, alla cocaina, al Valium per tenersi su dopo una notte a ballare. Quei risultati non ci sono ancora, ma Giuseppe Romanini ha già confessato tra le lacrime, dopo una notte di interrogatori davanti al magistrato Paolo Savio: «Sì, sono stato io a vendere le pastiglie ad Alessandro Zani. Adesso sono quasi contento che mi abbiate preso, da quando Jannick è morto non dormivo pivi.:.». '•• Una confessione che non chiude ancora le indagini. Per i magistrati di Brescia, per adesso, Giuseppe Romanini è sotto inchiesta per spaccio di stupefacenti, non per omicidio colposo come Alessandro Zani, il coetaneo di Jannick che quella sera, prima di entrare al Number One, aveva ceduto l'ecstasy all'amico. Ma è da provare che la pastiglia di quella notte sia passata proprio tra le mani del giovane militare, che per paura dei controlli di polizia solo negli ultimi giorni aveva trasferito la droga al distretto, in un luogo che pensava sicuro. «Che sia stato lui a mettere sul mercato la pastiglia di ecstasy che ha ammazzato Jannick è solo una sua deduzione. E' certo perché lo ha ammesso, invece, che abitualmente rifornisse Zani», dicono i carabinieri di Brescia, lo stesso giorno in cui Alessandro Zani viene scarcerato su decisione del Tribunale della libertà, con il solo obbligo di non allontanarsi da Collebeato. Mentre il procuratore capo Giancarlo Tarquini, invita ad andare oltre, a non fermarsi a questi arresti: «Dobbiamo andare avanti, dobbiamo cercare di arrivare ai livelli più alti, a chi fa arrivare sul mercato le grosse partite». E allora si cercano i fornitori di Giuseppe Romanini. Quelli che gli avevano venduto ottocento pastiglie di ecstasy - settanta delle quali aveva già smerciato - per otto milioni, diecimila l'una, tariffa all'ingrosso. Otto milioni che con questo investimento sarebbero diventati quindici, rivendendo le pastiglie a quasi ventimila lire l'una. Altre diecimila su ogni pillola, sarebbe stato il guadagno dell'ultimo anello della catena, quello che materialmente avrebbe portato le pasticche di «Eva», di «Mitsubishi», di «Smile» dentro alle discoteche del bresciano, per i tanti ragazzini che «calano» l'ecstasy per far salire il batticuore. Una catena abituale nel mondo dello spaccio. Ma il procuratore capo di Brescia assicura che bisogna guardare più in alto: «Questi sono giovani che, per quanto sapessero di guadagnare dallo spaccio, sono anch'essi vittime di un sistema. Giovani disperati, ma anche colpevoli: meritevoli di tutta la comprensione sul piano umano e responsabili su quello giudiziario». Una comprensione che non ha chi inizia a polemizzare come l'Associazione dei genitori dei soldati di leva - su come fosse possibile, che all'interno di un distretto mili¬ tare, ci fosse un deposito di ecstasy. Tanto che i carabinieri hanno dovuto precisare che non era all'interno di quei locali che avveniva lo spaccio, che il soldato Romanini li aveva scelti solo perché pensava di essere più al sicuro dai controlli di polizia. Un posto insospettabile, insospettabile come lui. Con un diploma di perito tecnico alle spalle, la divisa indosso da poco, la madre a casa da sola, vedova da tanti anni, in una palazzina con i cipressi a fianco di un quartiere residenziale vicino all'ospedale. «Un ragazzo per bene, sempre buongiorno e buonasera», dice un vicino, l'unico che risponde al citofono adesso che a casa di Mirella Romanini non c'è nessuno e il telefono suona a vuoto. «Massi, un ragazzo per bene. Non saprei cosa altro dire...», ripete senza aprire il portone e nelle sue parole c'è il ritornello di sempre, in questi casi. In una vicenda che vede tre ragazzi «per bene» che fanno sessanta anni in tre, uniti dalla voglia di trasgredire e divisi da un diverso destino. Quello di Alessandro che ha diciannove anni ed è uscito dal carcere ieri, dopo aver venduto l'ecstasy che ha ucciso un amico. Quello di Giuseppe, che sognava i soldi facili a ventidue anni, vendendo ecstasy e adesso è in carcere. E quello di Jannick, che non avrà vent'anni nel Duemila, morto una notte mentre ballava la sua musica preferita. Le pillole di ecstasy sequestrate a Brescia

Luoghi citati: Brescia, Collebeato, Corte Franca