L'ultima carta di Al Gore Il suo passalo da reporter

L'ultima carta di Al Gore Il suo passalo da reporter :PUeMOPi.PlUTtUZZAK£ IL PASSATO IN POLITICA L'ultima carta di Al Gore Il suo passalo da reporter analisi Augusto Misttolinl inviato a NEW YORK Lg ETÀ', anno in più anno ™ in meno, è la stessa. CoI me pure l'ambizione di governare. Ma non solo questo accomuna Al Gore, vicepresidente Usa in corsa per la Presidenza, e Massimo D'Alema, premier italiano in cerca di riconferma: entrambi possono aggiungere alla professione di politico, solo un altro titolo, quello di giornalista. Anzi, per Gore che deve vedersela con un excampione di basket come Bill Bradley, un eroe di guerra come John McCain e un petroliere, sia pure molto sfortunato, come George Bush, il mestiere è diventato un'ancora di salvezza per colorire una grigia biografia di politico a tempo pieno. Tant'è che nelle ultime apparizioni in pubblico il numero due di Clinton, consigliato dai suoi consulenti immagine a cominciare dall'abile Naomi Wolf, condisce i suoi discorsi con ampi riferimenti alla sua esperienza di cronista. Un passato di tutto rispetto dovuto - notava ieri il New York Times - «non tanto alla grazia del suo scrivere», quanto ad una certa caparbietà nel cercare le notizie. Nel giornale degli esordi, The Tenessean, dove passarono anche il figlio di Bobby Kennedy, David, e dello storico Arthur Schlesinger, Andrew, il poco più che ventenne Gore raccontava con un certo divertimento dell'attacco di una volpe malata di rabbia ad una colonia di nudisti («il dottore ha declinato di dire -scriveva - dove sono stati morsi»); oppure, cooperando con altri colleghi e un procuratore distrettuale, tentava di sorprendere, con tanto di microfono nascosto, un consiglere comunale mentre incassava una tangente. L'uomo fu prosciolto al processo perchè il suo avvocato usò la linea di difesa che era stato vittima di una trappola dei reporter. Dopo qualche mese come ragazzo di bottega al New York Times Gore fece, come giornalista di una rivista dell'esercito, la>sua esperienza nella guerra del Vietnam: le cose vanno allo stesso modo in tutto il mondo e come figlio di senatore gli fu assegnato quel posto da non combattente. Oltre a parlare di decorazioni e medaglie riuscì, però, anche a descrivere uno scontro a fuoco al confine cambogiano pubblicato anche su The Tenessean. Con trascorsi di questo tipo è comprensibile che il candidato alla presidenza Usa parli con un certo orgoglio non solo del suo passato ma anche, più in generale, del mestiere di cronista. Cosa che come noto D'Alema non fa. 1 punti in comune tra Al Gore e il premier italiano si riducono, infatti, solo alla circostanza che entrambi possono definirsi, a stare alle regole formali, dei giornalisti. Per la verità non è giusto neppure metterla così. A ben vedere D'Alema più che il giornalista ha fatto subitQ.il.direttore: quando ha sostenuto gli esami per la professione già aveva i gradi cuciti addosso. Invece di cimentarsi nella gavetta del cronista accettando di fare lo schiavo in qualche redazione, il nostro Premier si è subito ritrovato a dare ordini, a scrivere editoriali, a dissertare su quale giornalismo è buono e quale no. Insomma, pur parlando molto di giornalismo in realtà D'Alema ha fatto un altro mestiere. Ecco perchè non bisogna meravigliarsi poi tanto se Gore su quei dieci anni impiegati a correre appresso alle notizie ci sta impostando parte della campgnn elettorale, mentre D'Alema, da premier, ricorda in pubblico al suo ministro degli esteri la vecchia battuta che «fare il giornalista è sempre meglio che lavorare» o ripete il motto che i giornali «bisognerebbe lasciarli in edicola». Sono punti di vista che nascono da esperienze diverse. Chi, come Gore, ha fatto il cronista per strada, appresso alla gente, non si sognerebbe mai di quere¬ lare Fòrattini per una vignetta, oppure di abolire il breafing settimanale a palazzo Chigi per una ripicca facendosi richiedere indietro, per giunta, la tessera da giornalista. La differenza è tutta qui. Eppure entrambi si sono avvicinati alla professione per lo stesso motivo. Al Gore, figlio d'arte, destinalo sin dalla culla alla carriera politica (i colleghi del Tennessean lo fecero arrabbiare predicendogli la candidatura per le presidenziali del 2008) si è provato a fare il giornalista - lui non lo nega anche per non rientrare nello stereotipo, molto penalizzante negli Usa, del politico privo di ogni esperienza nella società. Un discorso simile si può tirare in ballo pure per D'Alema, aneli'egli figlio d'arte;-anch'eglf' programmato sin dalla nascita per la politica. Solo che il premier ha fatto il giornalista a suo modo, un modo molto diver¬ so da quello di Al Gore. Un modo che appartiene a molti politici italiani, ai vari Mastella, Fini, Cossutta, che sono diventati giornalisti facendo il loro mestiere di politici. Cosa, diciamoci la verità, che aldiquà dell'oceano non è permessa. Da queste parti, infatti, quello del giornalista non è un titolo, non è uno status, semmai quello che conta è se lo hai fatto davvero, e come. Ragione per cui anche chi come Gòre aveva nel suo codice genetico la carriera politica, per poter usare un argomento del genere nella sua campagna elettorale, da giovane ha dovuto fare tutta la trafila del mestiere, partire dal gradino più basso. Non gli è bastato - come ai nostri - l'accogliere degli - «rticoli scritti per qualche giornale di partito, per andare davanti agli americani e dire: «Non sono solo un politico di professione». L'opposto di D'Alema che non ama ricordare il suo passato da direttore La differenza è che in America fa colpo chi pretende di aver fatto un po' di gavetta Il vice di Clinton sfrutta gli anni giovanili da giornalista per migliorare l'immagine opaca di politico professionista Un giovanissimo Al Gore redattore al quotidiano «The Tenessean» E a destra Massimo D'Alema

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