YEHOSHUA

YEHOSHUA Il nuovo libro dell'israeliano, con un consiglio agli aspiranti scrittori: così si arriva a scrivere un romanzo YEHOSHUA Racconto senza/retta Abraham B. Yehoshua SONO solito vantarmi con gli amici di aver rimandato la stesura del primo romanzo fino all'età di quarantun anni, e questo nonostante abbia cominciato a scrivere relativamente presto, intorno ai ventuno. Con ciò non intendo suggerire ai giovani autori di aspettare i quarant'anni per pubblicare il primo romanzo, ma consiglio loro comunque di non aver fretta e di consacrare i primi anni di attività letteraria alla scrittura di racconti. L'esigenza, propria alla scrittura del racconto, di un lavoro lento e capillare sulla prosa, può dare allo scrittore principiante la possibilità di affinare e perfezionare gli strumenti del mestiere, risparmiandogli più tardi di cadere nei luoghi comuni di una scrittura automatica e funzionale, caratteristica di tanti romanzi di oggi. Il racconto bre • ve esige una maggior concentrazione della frase, una sua maggiore espressività, che si ottiene con l'uso preciso di aggettivi e predicati e attraverso una perfetta coesione tra forma e contenuto. Vorrei ricordare un aneddoto riferito a Isaak Babel', l'autore ebreo russo, che scrisse intorno agli Anni Venti dei meravigliosi racconti brevi, poi riuniti nell'ormai classico volume intitolato L'Armata a cavallo. Il suo editore insisteva che scrivesse dei racconti di più ampio respiro. Quale non fu la sua soddisfazione quando Babel' gli si presentò un giorno con un grande plico di cartelle dattiloscritte! Ma all'editore Babel' consegnò una sola pagina. «E gli altri fogli?» chiese 1 editore stupito. «Quelli - rispose lo scrittore - contengono soltanto le venti precedenti versioni di questo racconto, prima cioè che riuscissi a ridurlo alle sue attuali dimensioni». Due sono le fonti cui ho attinto nella scrittura dei miei racconti. La prima rimanda ai feuilleton e agli sketch umoristici che scrivevo per i miei compagni di scuola e dei movimenti giovanili, o più tardi per i miei commilitoni dell'esercito; la seconda invece è costituita dalle novelle sentimentali per l'infanzia e l'adolescenza che mio padre soleva leggermi la sera, scegliendo per me le storie più belle di alcuni classici, primo fra tutti Cuore di Edmondo De Amicis. Mi sembra che questi due modelli siano ancora percettibili nella mia opera, nonostante tutti i cambiamenti che da allora ha subito la mia scrittura. Per le feste del liceo e per i venerdì sera organizzati dai gruppi giovanili redigevo di solito una specie di breve feuilleton umoristico, fondato sulla particolare combinazione di due elementi opposti. Da una parte prendevo un episodio della vita studentesca, designando esplicitamente per nome i personaggi e mettendoli in scena in luoghi e tempi ben definiti, dall'altra descrivevo lo stesso avvenimento in termini surreali portandolo ai limiti dell'assurdo, in modo da avvolgere il realismo di un quotidiano a tutti noto col manto fantastico di conflitti immaginari. Gli oggetti* più banali della classe come i banchi, le sedie, il cestino o il cappello del maestro prendevano parte attiva a queste scenette, intervenendo con lunghe perorazioni e stabilendo fra loro complicati rapporti, con il dichiarato proposito, che mi faceva allora da guida, di ottenere un effetto comico. Quanto più riuscivo a provocare il riso dei miei compagni, tanto più mi sentivo realizzato come autore. Dal momento che queste storielle non erano destinate alla stampa, ma solo a essere lette ad alta voce davanti a una combriccola di amici, non solo dovevo ricorrere a tutto il mio talento di attore, ma anche al mio istinto di immedesimazione. Si trattava di un esercizio difficile, ma ricompensato, quando lo era, da una gratificazione immediata e proporzionale alla fatica investita. Ho scritto i racconti con grande lentezza e credo anche con una difficoltà non indifferente. Per ogni racconto mi ci sono voluti spesso alcuni mesi di lavo- ro, e ad alcune novelle di questa raccolta ho consacrato un anno intero. Il motivo potrà sembrare banale. Nell'Israele di quegli anni non c'era un solo scrittore che si guadagnasse da vivere con la sua penna. Fin da giovane mi sono trovato a dover mantenere una famiglia, con mia moglie anch'essa impegnata in un'importante carriera. Per questo sono stato costretto a destreggiarmi con la lentezza della mia scrittura in mezzo a innumerevoli altre occupazioni quotidiane. Tuttavia, ripensandoci meglio, mi sembra che non sia questo il vero motivo. Ho scritto i racconti con una straordinaria lentezza, forse, in quanto il mio mondo spirituale, sentimentale e intellettuale non era ancora completamente maturo e pronto alla scrittura di un romanzo. Ho cercato di ricavare il massimo dalle risorse che avevo allora a disposizione, per non disperdermi in una prosa al di là delle mie forze. Il surrealismo e l'astrattezza dei racconti non solo si adeguavano allo stato d'animo letterario diffuso degli Anni Cinquanta e Sessanta, nell'immediato dopoguerra tanto in Europa che nel resto del mondo, sulla scia di Beckett, Kafka, Camus, Suzzati e altri, ma corrispondevano anche a una personale volontà di staccarsi in modo netto dall'intensa esperienza collettiva e dal realismo socialista che avevano permeato la generazione precedente, quella della Guerra d'indipendenza. Questo era l'unico e il miglior modo di realizzare il distacco. Sebbene all'inizio mi sia opposto alle convenzioni, scegliendo per i miei personaggi nomi grotteschi e infondendo alle mie storie un'at¬ mosfera onirica e irreale, a poco a poco e per vie traverse sono ritornato alla realtà israeliana. (...) Nel 1974 lio scritto il mio ultimo racconto, poco dopo aver concluso due opere teatrali che mi avevano preparato, attraverso il trattamento di diversi personaggi e non di un solo eroe, ad affrontare la scrittura del mio primo romanzo L'amante, costituito da una serie di monologhi, Da allora non ho più scritto un solo racconto. Non pochi sono gli amici che se ne dispiacciono e me lo rimproverano. In particolare mia figlia, che considera i racconti la parte migliore della mia opera. Ignoro se abbia ragione o no. In ogni modo la raccolta è dedicata a lei, e spero sinceramente che nell'ultima parte della mia vita, ormai non più lontana, mi sia concesso di dedicargliene un'altra. ACCOSTARSI ai racconti di Abraham B. Yehoshua è come spiare dentro un'officina da una fessura. L'esercizio non è disdicevole. Al contrario è utile, poiché qui, in questo luogo un po' remoto e magari notturno, percorso da fantasmi e da visioni, si custodisce l'apprendistato di uno scrittore divenuto famoso con romanzi grandi e belli. Vi ricordate L'amante, o II ritorno dall'India? Senza i racconti, forse non ci sarebbero stati neppure i romanzi. Lo dice lo stesso Yehoshua nella Nota che chiude il volume in imminente uscita da Einaudi e che pubblichiamo qui sotto. I racconti sono una scuola dura e indispensabile, richiedono disciplina e sintesi, vogliono essenzialità di fraseggio, non ammettono divagazioni. Apprendisti scrittori, esorta Yehoshua, non trascurateli. Lui, di sicuro, li ha coltivati con tenacia e fedeltà. Einaudi li pubblica tutti e tredici, nella traduzione di Alessandro Guetta e Alessandra Shomroni [Tutti i racconti, pagine 449, lire 34 mila). Alcuni sono inediti, altri sono apparsi in varie occasioni. Quasi tutti superano la durata del lampo narrativo e si distendono in un passo già lungo. A leggerli, si percepisce chiaro il cammino dalle rive umoristico-visionarie della letteratura ebraica occidentale verso l'oggettività di cui saranno intrisi i romanzi. Non a caso il volume si apre in un clima kafkiano, con la storia gelidamente buffonesca di quel vecchio che, sebbene in eccellente salute, è costretto ad affrontare la propria sepoltura perché con la sua vitalità «dà fastidio» agli altri. Seguono storie di intellettuali perplessi, di innamoramenti, di vite vuote e stremate. E quando si giunge al racconto Di fronte ai boschi ci si accorge di avere dinanzi un grande scrittore, che ha ormai preso coscienza dei propri mezzi e della realtà civile e politica in cui agisce. Leggiamo dell'intellettuale disoccupato israeliano che va a lavorare come guardiano in un bosco dove è costretto a fare ì conti con il nemico di sempre, con un arabo, e in quel momento comprendiamo quanto sia complesso, sfaccettato, lucido e denso di pietà il talento di Yehoshua. [o. g.] PAGINE SCELTE Edmondo De Amicis: Yehoshua ricorda ancora '<le novelle sentimentali per l'infanzia e l'adolescenza che mio padre soleva leggermi la sera, scegliendo per me le storie più belle di alcuni classici, primo fra tutti Cuore» Abraham Yehoshua pubblica da Einaudi il volume che raccoglie Tutti i racconti Lo scrittore ebreo russo Isaak Babel': «Negli Anni 20», dice Yehoshua, «scrisse meravigliosi racconti brevi, poi riuniti nell'Armato a cavallo. Ma l'editore insisteva perché scrivesse romanzi»

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