L'ultimo canestro di Bradley

L'ultimo canestro di Bradley SFIDA SENZA ESCLUSIONE DI COLPI PER LA CASA BIANCA L'ultimo canestro di Bradley L'ex stella del basketfa paura a Gore reportage Augusto Zinzolini inviato a NEW YORK Ni EI sedici anni in cui ricoprì la carica di senatore del New Jersey Bill Bradley tentò di parlare il meno possibile del suo passato di campione di basket, di stella dei Knicks di New York. Un po' come il nostro Rivera a Montecitorio, pensava che fosse poco serio rivangare quei tempi nei corridoi del Congresso. Ma il sogno di passeggiare nel giardino della White House può far perdere le abitudini più radicate a chiunque. Così in questa corsa alla nomination democratica quel signore alto quasi due metri ha ritirato fuori con orgoglio gli anni passati a far rimbalzare la palla sul parquet. Era l'unico modo per allontanare da sé l'immagine ingessata che fa arrabbiare dalla mattina alla sera i suoi consulenti. I poveretti, infatti, faticano sette camicie per strappargli le etichette che gli avversari gli hanno appiccicato addosso: da quella di Sgt. Friday, il personaggio di un serial televiso che ha un'aria da funerale; all'accostamento ancora più insidioso ad Adlai Stevenson, un raffinato intellettuale che negli Anni 50 perse il treno per la Casa Bianca perché l'America profonda lo bollò come un indeciso congenito. Per scelta o per necessità, quindi, i trascorsi gloriosi sono diventati lo strumento più efficace di Bradley per «entrare in sintonia con la gente», tanto che domenica scorsa il candidato ha raccolto sul parterre del Madison Square Garden tutte le stelle della pallacanestro stelle a strisce: da Kareem Abdul'-Jabbar stratosferico pivot dei Lakers di Los Angeles all'indimenticabile Julius Erving, il dott. «J» dei Philadelphia, all'intero team con cui i Knicks vinsero il campionato nel '73. A questi ha aggiunto altri nomi come gli attori Harvey Keitel e Ethan Hawke, il regista Spike Lee, il tennista John McEnroe. Testimonial con un passato ribelle, magari fin troppo liberal, ma che fanno presa su un partito come quello democratico dato che alla kermesse hanno partecipato 7000 persone e un milione e mezzo di dollari hanno rimpinguato la cassa del comitato elettorale di Bradley. Sono le magie del basket, della potentissima Nba. Un canale di comunicazione talmente valido, quello del pallacanestro, che anche lo staff di Al Gore, rivale di Bradley per la candidatura dei democratici alle presidenziali del 2000, ha cominciato a distribuire ai media notizie sul passato da cestista del vice di Clinton: «Anche lui era un buon giocatore all'università. Aveva una media di due punti». Un punteggio da pippa clamorosa, specie se confrontato con l'album d'oro di Bradley: due campionati Nba vinti con i Knicks, con una media di 12.4 punti a partita. Per non parlare dell'anno in cui vinse la coppa dei campioni con la Simmenthal di Milano, mentre frequentava l'università di Oxford. Nello sport, comunque, l'importante è partecipare ed Al Gore si è convinto che per vincere deve contrastare l'insidioso rivale su tutto: all'inizio della campagna, infatti, il vice-presidente lo aveva preso un po' sottogamba. Aveva addirittura scelto la strategia masochista di ignorarlo. E l'altro, che è una vecchia volpe, ha sfruttato con sagacia il vantaggio di correre da solo: gli ultimi sondaggi danno Bradley vincente nello Stato di New York e nello Jowa, dove il 24 gennaio si svolgerà il primo test elettorale, ha colmato di 10 punti in percentuale lo svantaggio nei confronti di Al Gore rispetto al giugno scorso. Bradley, di fatto, potrebbe rivelarsi la sorpresa delle elezioni del millennio. «Può battere Al Gore osserva Bill Schneider, attento politologo della Cnn -. Sta facendo una campagna inusuale che punta al serbatoio del non voto». Giudizio condiviso da Joseph Mercurio, consulente politico dei repubblicani, affascinato dalla strategia elettorale di Bradley: «Può raggiungere un numero di donni; e di uomini che normalmente non partecipano alla politica». Appunto. Bradley, come pure McCain - eroe di guerra, prigioniero in Vietnam - che ambisce alla nomination dei repubblicani, potrebbero far vedere i sorci verdi ai delfini dei due partiti, cioè Al Gore e Bush, che pensavano di avere la vittoria in tasca o per linea diretta nella successione (il primo) o por motivi di eredità (il secondo). Il numero due della Casa Bianca nel suo confronto con Bradley, paga lo scotto di apparire finto, di plastica. Un pollo di batteria per usare il linguaggio della nostra politica. Se ne è accorto lui stesso e sta correndo ai ripari: racconta di essere un uomo del Tennesse anche se ha trascorso gran patte della sua vita in una suite di qualche hotel di lusso a Washington, per seguire il padre senatore di lungo corso; ha ingaggialo come consulente per l'immagine una nota femminista, Naomi Wolf, e da qualche tempo predilige lo stile country all'abito grigio. Infine, sta tentando di scrollarsi di dosso l'etichetta di secondo di Clinton per sottrarsi dalla scia di un presidente che solo il 20% dogli americani rieleggerebbe. Con queste contromosse riuscirà Al Gore a tenero a baila Bradley? L'impresa non è facile, Il personaggio da almeno quattro anni, cioè da quando si è dimesso da senatore dopo aver litigato con Clinton, pensa alla Presidenza. Si è costruito una candidai uni da out- li sider: ha lasciato il Senato spiegando che la politica era «broken», rotta, perche i partiti erano lontani dalla gente. Un suo vecchio argomento di battaglia visto che da senatore, ogni estate, percorreva a piedi tutte le spiagge del New Jersey con ai piedi i calzini ilei Knicks, vecchi di dieci anni. Sembrerà paradossale ma Bradley, tipico «self made», sembra ritagliarsi in queste presidenziali lo stesso molo del Clinton, prima maniera, quello del '92 precedente alla svolta moderata. Dice Bradley: «L'economia va bene, ma i suoi benefici debbono coinvolgere più gente. Abbiamo 14 milioni di bambini al di sotto della soglia di povertà e 44 milioni di americani non hanno l'assicurazione sanitaria». Il personaggio sta corteggiando l'elettorato nero («per fare contento Reagan i suoi collaboratori dovevano tagliare ogni giorno una tassa, per fare contento me dovrebbero risolvere il problema razziale»! e ha conquistato l'anima più liberal del partito. Il senatore ilei Minnesota, Paul Wellstone, il Bertinotti americano, è con lui. Forse il vero problema di Bradley è quello di apparire troppo «progressista». Proprio per sfruttare questa «debolezza» e il carattere un po' ingessato del rivale davanti all'americano medio, Al Gore sta sfidando Bradley in una serie infinita di pubblici dibattiti a New York. Ieri addirittura j;li ha spedito al Madison Square Garden un supporter vestito da pollo con una scritta sul petto: «Chicken Bradley; Why won't you debaie in N.Y.?». Sono metodi di qui. Ha portato al Madison tutti i grandi della pallacanestro Usa Spike Lee e McEnroe Al suo comitato arrivano contributi per due miliardi Adesso il vice di Clinton cerca di correre ai ripari ricordando a tv e giornali che anche lui era un buon giocatore di college Punta al grande serbatoio del non voto, a chi di solito snobba la politica Bill Bradley al Madison Square Garden, nella serata per la raccolta di fondi elettorali