«Faremo le barricate per non dormire con i neri» di Pierangelo Sapegno

«Faremo le barricate per non dormire con i neri» LA RABBIA DI CHI DIVI ANDARSENE DAI PALAZZI PERICOLANTI DI FOGGIA «Faremo le barricate per non dormire con i neri» «Non vogliamo morire in quel posto infame, meglio le macerie» reportage Pierangelo Sapegno inviato a FOGGIA n L signore avanza arrancanti do sulle stampelle. Sopra il ■ tavolo, un piatto con il sugo di pomodoro. «La notte non si dorme per la paura». Fuori dal pianerottolo, i rumori di una trivella. L'acqua sgorga come da un rubinetto. Sulle pareti tinte da poco, le fotografie della famiglia: i figli, i matrimoni, i nipotini. Sulla credenza di finto legno, una foto ricordo dai colori vecchi: Romano Mario Stango sorride come in un disegno. «E' venuto il sindaco. Ci ha detto: tranquilli, martedì vi sgombro via». La moglie gli afferra il braccio: «Stai buono». Voi dove andate? «Ci ha detto che ci dobbiamo arrangiare. E allora noi non ce ne andiamo. Ci barrichiamo in casa». Via Bellucci 2, Foggia, una casa dello sgombero. E' da 4 anni che pregano: questa casa sta cadendo, aiutateci. Nessuno li ha mai ascoltati. Adesso che hanno deciso di portarli via, non vogliono più andarsene. Ma perché? «Ci hanno proposto Borgo Mezzanone, dove ci sono gli extracomunitari». Il pavimento di mattoni lucidi. Il profumo della pasta. La signora Maria Assunta che spolvera le foto. La piccola dignità dei poveri. Romano arranca tenendosi alla parete. «Abbiamo speso 60 milioni per fare bella la casa. Abbiamo dato tutto quello che avevamo per comprarla. Perché dobbiamo andare a morire in quel posto infame? Preferiamo morire qui sotto». Quando il cittadino diventa un extracomunitario. Da via Bellucci a via Patierno, al numero 9 e all'8, un po' più in là, dietro l'ospedale. La scena, in fondo, è sempre la stessa, queste case che incombono su una piana di periferia, sui campi abbandonati, fra la polvere, le strade sconnesse, e queste quinte piatte e lugubri, con i colori tetri. Gli inquilini stanno nel cortile di asfalto, le donne con il cappotto sopra il grembiule, gli uomini fermi davanti ai portoni come sulla soglia di un bar, in piedi, le mani in tasca. Palazzo Iacp del '75. Le colonne portanti sbrecciate, le crepe che si arrampicano dalle fondamenta al tetto. Dieci famiglie, 40 persone. Tonino Lomele: «Stanotte sono venuti i tecnici del Comune. L'ingegnere Di Leo ci ha detto che dobbiamo sgombrare subito. Dove ci mandate? Andate dai vostri figli, cercatevi una casa, ci hanno detto. Se no? Se no niente. E allora noi facciamo le barricate, qui davanti ai cancelli». Antonio Marasco, operaio: «Se ci vogliono mandare a Borgo Mezzanone, non se ne parla neanche. Non è per gli extracomunitari. E' perché quello è un posto infame. Non ci possono trattare così. Due anni fa venne il geometra Sponsillo del Comune, a fare un sopralluogo. Ci disse: deve venire urgentemente il genio civile. Urgentemente? Non è mai venuto nessuno. Adesso è come se ci dicessero: via, sloggiate. Noi che colpa abbiamo? Ora voglia-' mo l'uscita con l'entrata. Se no, sigilliamo i cancelli e non ce ne andiamo. Fatelo capire a tutti». Giuseppina Bruno, al numero 8, lotto 405, scala E/14, 12 famiglie, 60 persone: «Da noi non è mai venuto nessuno. Guardi quella crepa, sale fino al sesto piano: divide la casa in due. Ci hanno dato un palazzo fatto con il burro. Noi non possiamo andare a stare nelle ville, nelle case dei signori. Però, dovevano darci un tetto da cristiani». Continuano tutti a fare assemblea nel cortile di periferia, fra questi palazzi galera, figli degli scempi e degli orrori di quell'Italia che arricchiva pochi e costruiva per tutti. Alle 6 di sera non è ancora venuto nessuno. Telefonano in Comune. «Faremo gli sgomberi dopo i funerali», rispondono. Lomele: «E noi cosa facciamo?» .«Passate un'altra notte in casa». Gli inquilini scrivono un telegramma al prefetto e al Procuratore della Repubblica: «Noi dormiamo in casa. Se ci accade qualcosa, la responsabilità è del Comune e dello Iacp». Accerchiano una macchina dei vigili urbani, vociano, urlano. Qualcuno si affaccia dai balconi. Grida: «Salvateci!» Ma salvare da che cosa. Questo sembra un piccolo viaggio in un inferno che ci siamo fatti anche con le nostri mani. Si va da via Patrione a via Candelaro, le due case di Antonio Delli Carri, costruttore simbolo, l'impresario che tirò su il palazzo di viale Giotto. Una signora che sbatte la porta. Rabbia e paura: «Però, è facile dire che bisogna sgomberare. Per andare dove? Ad accamparci assieme ai marocchini? Loro ci hanno dato queste case di burro, loro ci devono togliere di qui e darci un tetto giusto». In fondo, a vederla da fuori, la palazzina di via Bellucci è la meno orribile, lunga e bassa, un po' di decoro alle finestre e i quattro fili d'erba che spuntano sullo spiazzo di terra in mezzo alla strada. Sul pianerottolo gli inquilini attorniano l'avvocato Paolo Ferragonio, che da 5 anni segue la loro causa. Lui dice: «AJjbiamo fatto tanto per arrivare a questo punto, e ora non volete più andar via. Ma perché?» Consiglia Piccirilli urla: «Ma porche non ci danno niente. Qui c'è gente che non ha una lira, come farà a campare?» Una signora: «Il sindaco è venuto. Ci ha detto: cercatevi una casa. In due giorni? Con gli extraco¬ munitari?» Maria Vallaria dice che questa casa è il frutto di una vita. L'avvocato: «Ve l'avevo detto di non comprarla». Romano Stango caracolla verso di noi: «Avvocato, lei una casa l'ha sempre avuta». Lui invece faceva il facchino alla stazione. Ha 4 figli. Trascina le gambe: due operazioni alle anche. Racconta che lo Iacp gli scrisse una lettera nel '96: c'era un'occasione per riscattare l'alloggio di questo palazzo costruito nel '55. Lui ci abitava da allora, da quando lo avevano fatto. «Non ci avevano detto che era marcio». Lo acquistò. Andò al catasto. Gli dissero: «E' impossibile che l'avete comprato. Non esiste». Quelli come Stango non si stupiscono di niente. Non impazzì. Tornò allo Iacp e poi andò all'ufficio tecnico del Comune. Lì presero dei fogli, glieli fecero vedere: «No, quel palazzo proprio non esiste. Guardi, è sbarrato». Che vuol dire? «Che è stato abbattuto. Nel '75». Allora, lui parlò con tutti, e fece un pandemonio. Ma noi siamo gente che si arrangia. E diluiti dopo un po' lo richiamarono: «Tutto a posto». Ali sì? Il palazzo era stato ricostruito. «Avevano fatto finta di rifarlo di nuovo, nel '75», dice Stango. Però, era felice lo stesso. Anche se cade, gli hanno fatto il pavimento bello di mattoni lucidi. Hanno tinto i muri. Anche se cade, la loro vita è passata di qui. Questa è casa loro. «1 tecnici mandati dal sindaco ci hanno detto che dovevamo sgombrare subito e andare dai nostri figli. Ci hanno dato queste case di burro, se ne occupino loro» «Ci hanno detto che ci dobbiamo arrangiare e proposto Borgo Mezzanone, dove vivono gli extracomunitari. Quelli del Comune devono darci un tetto da cristiani» I parenti vegliano le vittime del crollo del palazzo di Foggia

Luoghi citati: Borgo Mezzanone, Foggia, Italia