Ansia di giustizia, tornaconti poco nobili

Ansia di giustizia, tornaconti poco nobili Chiudere con il passato senza colpi di spugna e prevenendo la corruzione Ansia di giustizia, tornaconti poco nobili Giovanni Maria Flick E' sconcertante assistere alle reazioni che seguono le dichiarazioni di D'Alema: reazioni di due tipi, entrambe inaccettabili e forzate. Da un lato, l'inno alla cancellazione di Tangentopoli. Non basta più il colpo di spugna, occorre addirittura la riabilitazione dei personaggi coinvolti; e troppa grazia se non si comincia subito il processo: questa volta però ai magistrati di Mani pulite. E vedo con perplessità il giusto processo - cioè un'affermazione di civiltà appena raggiunta, nell'interesse di tutti - usato disinvoltamente come argomento difensivo in sede politica per quella riabilitazione. Si dimostra così che forse non aveva tutti i torti chi (io fra gli altri) chiedeva di occuparsi prima (o contemporaneamente) dei problemi dell'efficienza della giustizia, che di quelli delle sue garanzie per l'indagato, le quali nella Costituzione già vi erano in buona parte. E si dimostra che non aveva tutti i torti chi temeva che dietro l'ansia di giustizia potesse nascondersi un obiettivo molto più concreto e meno nobile di strumentalizzazione, da parte di chi era interessato alla sorte di certi processi, più che alla sorte dei diritti umani. Ma a ciò si può in qualche modo rimediare, se la politica saprà applicarsi a completare le leggi ordinarie sull'efficienza, la durata del processo, l'effettività della pena, la professionalità e la Flick laboriosità del magistrato, con lo stesso impegno che essa ha impiegato per arrivare alla riforma del giusto processo; e se la politica saprà da subito raccordare quest'ultimo con le leggi ordinarie per poterlo celebrare effettivamente, oltre che proclamarlo. Dal lato opposto, la requisitoria contro la difesa dei partiti in quanto tali, come premessa per l'«inciucio» o come cosa inutile e ovvia, appare altrettanto inaccettabile. E credo che il problema della moralizzazione e della democrazia nella vita dei partiti, del finanziamento alle esigenze della politica (magari attraverso contribuzioni volontarie e deducibili fiscalmente), dei rapporti tra politica ed economia, vada affrontato un po' meno alla garibaldina di come esso è proposto da Di Pietro. Così come va affrontato finalmente il problema della prevenzione della corruzione e del clima in cui essa prospera, della lotta veramente globale ad entrambi, invece di continuare a parlarne soltanto; e a limitarsi poi in concreto ad affidarle alla repressione giudiziaria, quando i buoi sono già scappati dalla stalla. Scalfaro avverte che non può esserci riconciliazione senza verità. E' profondamente vero; ma in questo benedetto Paese sembra che sia sempre troppo presto o troppo tardi per denunziare i problemi e per trovare le soluzioni. Ed arrivare alla verità non vuol dire invocare in teoria processi impossibili, quando sappiamo benissimo tutti che la prescrizione non lo consentirà; come arrivare alla riconciliazione non vuol dire arrivare ad un inammissibile colpo di spugna. E allora? Chissà se qualcuno si ricorda quello che già a fine del '96 e poi nel settembre '98 con il governo Prodi abbiamo proposto: chiudere con il passato in modo serio e non indolore; predisporre strumenti incisivi di prevenzione e repressione per il futuro. Era un modo per arrivare appunto a contemperare verità e riconciliazione; e mi sembra che sia tuttora attuale.

Persone citate: D'alema, Di Pietro, Flick, Giovanni Maria Flick, Scalfaro