Aspasso con Anselm di Giuseppe Culicchia

Aspasso con Anselm Aspasso con Anselm UNA volta, tempo fa, più o meno in questo stesso periodo dell'anno, quando ancora Anselm non voleva saperne di uscire di casa, ero riuscito a convincerlo a seguirmi per qualche giorno a Venezia raccontandogli che in quella città era quasi sempre Carnevale: vedrai, gli avevo detto, tutti penseranno che adesso hai un costume da formichiere e ti faranno un sacco di complimenti. Naturalmente a Venezia il Carnevale non c'era, ma Anselm nella città lagunare si era lo stesso trovato benissimo: molti lo scambiavano per una carampana, altri lo ignoravano del tutto in quanto forestiero, e lui passava i suoi pomeriggi felice dando la caccia ai piccioni di piazza San Marco (arrivando al punto di comprare mangimi a chili per usarlo come esca contro i detestati volatili: non vi dico gli scatti dei giapponesi, tutti lì fermi con i loro teleobiettivi sotto il campanile nel tentativo di immortalarlo tra una sciabolata di lingua e l'altra). Ma la cosa che in assoluto ad Anselm era piaciuta di più oltre alle strette calli del ghetto e al Belimi dell'Harry's Bar pieno di universitari americani ubriachi e varia umanità - erano stati i bacati. Ogni sera facevamo insieme il giro dei bacari, che comprendeva tre tappe fondamentali più alcune accidentali: quelle fondamentali prendevano parecchio tempo, e andavano sotto i nomi di Alberto (bacaro dallo splendido Tocai e dalle meravigliose polpettine di tonno), Fiore (bacaro dall'insuperabile Spritz e dalle imperdibili acciughe) e De' Mori (bacaro dei bacali dal celestiale Cabernet e dalle subhmi olive ripiene, per tacere delle cipolle). Questa cultura veneta del bacaro, devo dire la verità, aveva affascinato anche me: tant'è che fin dal mattino, mentre ce ne stavamo sul vaporetto per la Salute o nei prati di Torcello o sotto il Ponte dei Sospiri, sospiravo pensando ai bacari, e mi auguravo che la sera calasse presto - possibilmente con la nebbia, che a Venezia in assenza totale di automobili non è per niente pericolosa e fa sempre la sua figurona - giusto per cominciare il suddetto giro. Tant'è che sul treno del ritorno con Anselm ci dicevamo quanto bella fosse la civiltà dei bacari, e che peccato fosse per Torino non avere mai fatto parte della Repubblica ai tempi dei Dogi, così da poterci fare un bacaro ogni tanto anche sotto la Mole. Be', ci sono voluti anni (anzi, secoli), ma il bacaro adesso c'è, in piazza della Consolata. Ad Anselm, quest'estate, non ho detto nulla: il posto aveva appena aperto, ma io volevo portarvi il mio amico a novembre, così, tanto per commemora- re quella bella vacanza veneziana. E quando l'altra sera gli ho detto: «Mettiti la giacca, che andiamo a Venezia», lui subito mi ha guardato strano. «Lo sai che queste partenze improvvise a me non piacciono: altro che giacca, se dobbiamo andare fm là devo prepararmi le valigie, recuperare le pinne in garage in caso di acqua alta, e poi sono rimasto senza shampoo, deodorante, cotton-fioc, avresti dovuto avvertirmi con un po' di anticipo, ho anche finito il burro di cacao e lo sai che a Venezia mi si seccano tutte le labbra, e poi...». «Va be'», l'ho interrotto, «scherzavo: andiamo solo dalle parti del Bicerin, dove hanno aperto un bacaro». «Un bacaro? A Torino? Un bacaro bacaro?». «Già. Non c'è bisogno di fare nessuna valigia. Se vuoi possiamo anche andarci a piedi, come si usa in Laguna per il giro dei bacari...». Non mi hai dato il tempo di finire di parlare: era già giù per le scale, in preda a un furore agonistico-alcolico-gastronomico-triveneto-goloso. «BACARUS, BACARUS, UN'OMBRA DE TOCAI E UN CICHETTO POR FAVOR, BACA- RUS, BACARUS!», l'ho sentito gri- dare m stradi3 infilandomi l'im- nermeabile. Quando sono sceso. permeabile. Quando sono sceso, non c'era già più: a sei o sette isolati di distanza, però, potevo sentire la sua voce. «BACARUS, BACARUS, I LOVE YOU BACARUS, BACARUS, ARRIVO BACARUS, RUS, UN CABERNET E UN POLPETTONI». Ora: non so se avete mai provato a correre dietro a un formichiere di due metri e mezzo sotto la pioggia, al buio e senza le scarpette di Michael Johnson. E' tremendamente frustrante. Comunque, in piazza della Consolata l'ho raggiunto. Anche perché se ne stava beato a uno dei tavolini del bacaro, in religioso silenzio davanti a un bicchiere di rosso è a un piattino colmo di pesci fritti (checché ne dicano, il rosso col pesce funziona benissimo: almeno nei bacari). «Dio mio, Anselm, potevi almeno aspettar...». «Schhh», mi ha interrotto una cameriera. «Mi scusi, sa, ma credo proprio che il suo amico sia in trance, temo che svegliarlo bruscamente sia pericoloso». Io mi sono avvicinato lentamente al tavolino di Anselm, ho preso in mano il suo bicchiere, ho fatto il gesto di portarmelo alla bocca. «Ehi, aspetta», si è risvegliato immediatamente lui, «quella è la mia ombra, mica la tua!». Giuseppe Culicchia i

Persone citate: Michael Johnson, Torcello

Luoghi citati: Torino, Venezia