Wildt & C.

Wildt & C. Wildt & C. un secolo di scultura LÀ MOSTRA DELLA SETTIMANA Marco Val Ima UNA volta tanto la famigerata formula pubb 1 i c i t a r i a "da...a", che funziona abitualmente da specchietto per le allodole onde poter abbindolare il pubblico più facilone, sventolando la bandiera di nomi celebri ed acchiappafolle, ha un significato ragionevole e giustificato. Questa consigliabile mostra, che si intitola appunto Da Wildt a Martini, insegue un vero percorso, che parte dalle pendici del secolo scorso per addentrarsi nel primo Novecento, tentando di capire le novità che un nuovo modo di concepire la scultura hanno portato nel cuore dell'arte moderna, e non solo d'avanguardia. Cèrto, i 9 artisti qui presentati e selezionati con intelligenza, oltre a metabolizzare ed assimilare «sonno- LÀ MODSETTIMarco namente» alcuni stilemi basilari del linguaggio avanguardistico (il vero fantasma assente di questa mostra è Boccioni, col suo dinamismo futurista) non smettono di guardare comunque alle novità che provengono dal gusto internazionale. E quale meraviglioso cosmopolitismo incarnano in quegli anni! Wildt, pur nato a Milano, passando por Monaco di Baviera, con le sue splendido maschere d'avorio, assorbo del tutto il gusto secessionista, come del resto Casorati, che fu a sprazzi pure scultore. Qualcuno avanza l'ipotesi di un alunnato di Martini presso Hildebrand. Libero Andreotti, di cui sono in mostra alcuni formidabili stiacciati, soggiorna a lungo a Parigi, soggiogato dalle influenze tempestose di Rodin e Bourdelle, che rafforzano il suo guardare divisionista, nutrito a Nomellini e Gnibicy. Insospettabilmente il corposo e STRA LLA MANA al Ima monumentalo Rambelli, con le sue portentose figure tagliate e boccheggianti come feti subacquei, è molto più legato di quanto si potrebbe pensare all'espressionismo vernacolare di un grande eccentrico come Viani. Infine su molti di loro pesa il magistero di un personaggio ancora sottovalutato come lo jugoslavo Mestrovic. Ovvio, sono artisti che filtrano e costeggiano le avventure d'avanguardia; ma il loro interesse è proprio quello di essere degli innovatori segreti e talvolta poco riconosciuti, nell'illusione di continuare una tradizione che viene dalle botteghe artigiane, da Arnolfo di Cambio a Donatello, da Nicola Pisano al Collini (come il toscano Romano Romanelli, autore qui di alcune notevoli icone forti e wagneria- ne, quale la volteggiante Brunii de, artista di regime prescelto da Piacentini per decorare il Palazzo delle Corporazioni, o il potente Rambelli, anche lui «macchiato» da troppi monumenti imbarazzanti e spesso distrutti, come il Duce Arnmto oppure il musicista futurista Balilla Pretella o ancora il letterato Orioni). Artisti reazionari o innovatori malgré tout? In verità, forse, questa mostra insieme scenografica ma anche didattica, avrebbe dovuto chiamarsi Da Medardo Rosso a Martini, perchè è lui (in mostra con pochi pezzi) il vero iniziatore eh tutto. Anche se, apparentemente (solo apparentemente, perchè Martini è sempre doppio, in contrasto con se stesso, in perpetua smentita con quanto sostiene nei suoi luminosi, collerici Colloqui teorici, urlati in quasi-dialetto) la via maestra di Martini sembra in perfetta opposizione con la non- scultura, impressionistica e vibrante, pittorica, di Medardo Rosso. E' vero, Medardo sfalda la materia, la stempera nel fragile vibrare della luce, che si posa sulle sue forme smangiate e colanti, come im macabro insetto disintegratore: evoca spiriticamente l'aria, l'aura intorno a delle figure che hanno perduto il loro contomo, che si sciolgono collassate nell'atmosfera, sotto l'occhio dello spettatore. Arturo Martini, al contrario, predica il ritorno alla plastica più annata e tornita, vuole ripartire primordialmente dal «sasso», pensa più a Michelangelo, al titanico contrasto tra l'idea e la materia, che non al vibratile, sfuggente tremare dei tutù delle ballerine, sfiorate dalla creta, di Degas. Eppure, anche lui, in un Aforisma del 1944 conviene che: «quando la scultura si sarà liberata da ogni vincolo e passerà allo stato di indipendenza, allora soltanto le sarà aperta la porta alla libertà di ogni soggetto e uscirà dalla deprimente prigione del nudo e della figura umana, ancor oggi unica sua risorsa, per entrare nel mondo eh tutta la Natura». E' singolare, questo schiudersi di una porta metafisica: scultura non è più soltanto il prevedibile nudo d'accademia o il fantoccio da monumento, quello che con disprezzo Medardo diceva essere «giustamente definita "statua", la vera espressione della negazione della vita». Scultura è quel «grembo plastico» che avvolge l'idea di una figura, quel gioco di vuoti e di ombre che sta intomo al fantasma di una sagoma e che annunzia i capolavori deglutiti di Giacometti: quell'invenzione leggerissima dello Spa ventapasseri Innamorato, che sembra sfuggire alla ragionevole gravità della materia biscottata, o quell'anulare assembramento di figure che si raccolgono intorno ad un vuoto, che diventa il vero motivo di Collegiali. Da Wildt a Martini. Milano. Museo Mìnguzzi Tutti i giorni, dalle 10 alle 19 Chiuso lunedì. Fino al 7 febbraio 2000 h^inrrw» «La lupa» di Arturo Martini (particolare) è una delle opere in mostra a Milano AL MUSEO MINGUZZI LE AVVENTURE PLASTICHE DI NOVE ARTISTI CHE COSTEGGIANO L'AVANGUARDIA CON IL TALENTO DEGLI INNOVATORI SEGRETI

Luoghi citati: Milano, Monaco Di Baviera, Parigi, Stra