Il libro nero del capitalismo un Manifesto per i dannati della Terra di Aldo Rizzo

Il libro nero del capitalismo un Manifesto per i dannati della Terra Il libro nero del capitalismo un Manifesto per i dannati della Terra RECENSIONE Aldo Rizzo RECENARiDUE anni fa ci arrivò dalla Francia una poderosa e ponderosa sintesi della storia del comunismo mondiale, vista essenzialmente attraverso i suoi esiti negativi e spesso criminali (nel senso dell'uso sistematico di una violenza non solo politica, ma materiale, volta ad annullare fisicamente gli avversari, reali o supposti). C'era anche un calcolo approssimativo del numero delle vittime, nelle varie parti del globo, della rivoluzione marxista-leninista: tra i 90 e i 100 milioni. Era «Le livre noir du communisme», dell'editore Robert Laffont, tradotto in Italia da Mondadori. Ora, dalla stessa Francia, ci giunge una replica quasi altrettanto voluminosa e non meno, anzi ancor più ambiziosa: «Le livre noir du capii a lisineedita da Le Temps des Cerises e in Italia da Marco Tropea. Come dire: vediamo chi ha fatto peggio, se il comunismo o il capitalismo, in questo drammatico secolo SIONE o o che sta per finire. E c'è anche qui un bilancio statistico, ancora più tragico di quello delle vittime del comunismo: partendo dalle ultime repressioni degli indiani d'America e dalla guerra anglo-boera per il controllo del Sudafrica e arrivando ai conflitti nella ex Jugoslavia (ma manca il Kosovo), i morti ammazzati del capitalismo sarebbero oltre 98 milioni, mentre, a voler essere precisi, quelli del comunismo supererebbero di poco i 94 milioni. Perché questo secondo «libro nero» è più ambizioso del primo? Perché, parlando di comunismo, si prende in esame un fenomeno grandioso ma circoscritto storicamente e geograficamente, dal 1917 al 1991, inizio e fine della rivoluzione sovietica e delle sue propaggini europee ed extraeuropee (a parte i casi residuali, in senso ideologico, tipo Cina e Corea del Nord, e se si vuole anche Vietnam e Cuba). Invece, parlando di capitalismo, non si sa bène dove corninciare e dove finire, nel tempo e nello spazio. Di più: se il comunismo ha (ha avuto) una sua precisa definizione, nell'accoppiata collettivismo-totalitarismo, il capitalismo ha conosciuto e conosce un'infinità di varianti storiche e politiche, pur avendo sempre alla baso la proprietà privata dei mezzi di produzione (peraltro non necessariamente tutti). E infatti questo «megapamphlet» anticapitalista, a cospetto di quello anticomunista, risulta generico: non sempre infondato, certo, e anzi a volte puntigliosamente documentato, ma complessivamente poco credibile, per la vastità incontrollabile delle situazioni in esame. Una folla di autori di varia estrazione professionale e politica (storici e poeti, giornalisti e avvocati, di fede goscista, pacifista, ecologista, anarchico-libertaria) cerca più che altro spunti per un manifesto di una nuova rivoluzione mondiale, che, meditando sul fallimento del «socialismo reale», punti a rimettere insieme i «dannati della Terra», risollevando le vecchie bandiere terzomondiste. E in questa ricerca entra tutto, dalla guerra russo-giapponese del 1904-1905 ai massacri indopachistani del 1947-1948, dal genocidio degli armeni in Turchia del 1915 alla guerra civile spagnola, dal Vietnam al conflitto Iran-Iraq, passando naturalmente attraverso le due guerre mondiali, il colonialismo e il neocolonialismo, fino ad arrivare alla «globalizzazione», vista come «ricolonizzazione del mondo ad opera delle forze dominanti dei Paesi ricchi». Al di là dei riferimenti e delle analisi di questo o quell'episodio, a volte interessanti, più spesso superficiali se non provocatorie, il libro ha una pecca di fondo: la sostanziale identificazione del liberalismo, e della moderna economia di mercato, compresi i suoi «ammortizzatori» sociali, col capitalismo «tout court». A parte che, storicamente, anche il capitalismo più rude segnò nel complesso un avanzamento delle condizioni sociali, non si può prescindere dalla costante capacità di autoriforma della «società aperta», per dirla con Popper, almeno a partire dalla grande crisi dogli Anni Trenta e dalla terapia rooseveltiana. Questo è un dato fondamentale: il capitalismo democratico, cioè coniugato col liberalismo politico, rappresenta una società, oltre che aperta, consapevolmente «imperfetta», e quindi perfettibile, in senso sempre relativo, mediante il consenso. Questo è il «modello occidentale», oggi, non la guerra anglo-boera, U modello che, dopo la sconfitta del comunismo, seguita a quella del fascismo, mostra di non avere alternative apprezzabili. Un megapamphlet che superficialmente identifica liberalismo e sfruttamento Il libro nero del capitalismo Marco Tropea Editore, pp.545, L. 34.000 SAGGIO

Persone citate: Marco Tropea, Popper, Robert Laffont