Dall'Ovra alle Brigate nere il volto più buio del fascismo di Angelo D'orsi

Dall'Ovra alle Brigate nere il volto più buio del fascismo Dall'Ovra alle Brigate nere il volto più buio del fascismo RECENSIONE Angelo d'Orsi RECENAnd'OIN questi tempi di assai dubbi dossier giungono opportuni saggi storici che se da un canto fanno luce su fatti e momenti drammatici della nostra vicenda nazionale, dall'altro possono indurre a meditare più seriamente sullo stesso presente. I volumi di Franzinelli e Gagliani hanno in comune - oltre alla casa editrice, che sta realizzando un programma editoriale assai coerente e di notevole valore culturale - lo sforzo di mostrarci fette del regime mussoliniano finora rimaste in ombra. Tutti sappiamo che il fascismo ò stato per antonomasia un regime di polizia: il fatto che Mussolini abbia sempre conservato per sé il ministero dell'Interno - ceduto per ragioni di opportunità a Luigi Federzoni, all'epoca della crisi Matteotti, dal giugno '24 al novembre '26 - significa pur qualcosa. Così, è opportuno ricordare che il personaggio di gran lunga più potente del regime, dopo il Duce, ma con un grado di autonomia che spesso sfuggiva al controllo dello stesso Mussolini, fu per tutta la lunghissima durata del suo mandato, Arturo Bocchini, capo della polizia dal 1926 al 1940. Ciononostante prima d'ora nessuno studioso si era dedicato sistematicaniennte all'analisi della più potente «organizzazione di vigilanza e repressione antifascista», ossia, dalle iniziali: IONE lo si OVRA. Per la verità, nessuna certezza si ha sul significato della parola, e nemmeno se effettivamente essa sia un acronimo, o semplicemente una parola misteriosa, che si rivelò capace, fin dal suo primo apparire, di esercitare «un'inquietante forza di condizionamento dell'opinione pubblica, richiamando nell'immaginario collettivo qualcosa di proteiforme e di terribile». Insomma, Ovra come Piovra: e in effetti il controllo «preventivo» esercitato dalla potente polizia politica del Fascio fu capillare, non esente da tratti ossessivi e paranoidi. Nel suo documentatissimo lavoro - forse un po' disorganico, ma di piacevole lettura pur nella sovrabbondanza di casi esaminati -, Franzinelli sottolinea il ruolo svolto dai confidenti e delatori professionali e no: gente ricattata, o semplicemente assoldata, o ancora desiderosa di rivincite personali, politiche, persino sentimentali. Nel vasto, incredibile panorama - fatto di esasperati controlli polizieschi, di raffinate provocazioni, di pesanti ricatti non mancano le spie per puro piacere: i soldi, spesso elargiti a piene mani, certo potevano essere un ottimo condimento; ma talora il gusto dello spionaggio, il diletto del doppiogioco, la possibilità di avere un «doppio», di se stessi, protetto e garantito, che inguaia amici o ex amici, può avere qualcosa di irresistibile, almeno su certi tipi di personalità. E nella ricerca di Franzinelli di autentici «bei tipi» ne troviamo a iosa, molti perfettamente sconosciuti, altri noti, taluni notissimi. I capi della polizia fascista furono bravissimi a insinuare i loro uomini in seno ai gruppi antifascisti, i cniali si contraddistinguevano sovente per un misto di ingenuità e di settarismo, due tratti che li rendevano facilmente abbordabili. Colpisce l'alto numero di transfughi, di «pentiti» insomma, che per vendetta e'o per denaro, passavano al nemico gettando ùi galera persone con cui avevano condiviso ideali, esperienze, passioni. Non fu esente dalla tragica esperienza del tradimento il Partito comunista. Il nome di Ignazio Silone basti per tutti, anche se si tratta di un caso assai peculiare che vide ad un certo momento lo scrittore abruzzese, ormai espulso dal Pei, pentirsi del suo pentimento, ritornando su posizioni nettamente antifasciste. Esce confermato da questo libro, ad ogni modo, il carattere totalitario elei regime fascista, che in tal senso si mosse sempre seguendo le direttive del suo capo. Non fu del resto lo stesso Mussolini di Salò, patetica caricatura di se stesso, a creare le «Brigate Nere?», procedendo ad una forzata e rapida militarizzazione del partito? Anche qui si tratta di un aspetto sinora sottovalutato dalla ricerca, o comunque rimasto abbastanza in ombra, e bene ha latto Dianella Gagliani, allieva di Claudio Pavone, a gettare un cono di luce su questo aspetto dell'estremo fascismo: un saggio che andrebbe letto in parallelo con l'eccellente lavoro di Luigi Canapini {La ripubblica delle caini eie nere. Garzanti, già segnalato su TL, n. 1155). L'esigenza di fondo sembra essere quella di reintegrare pienamente la vicenda dell'effimera Repubblica di Salò all'interno della storia del fascismo: non si tratta di una vicenda a sé, ma dell'esito inevitabile di una serie di scelte sciagurate, i cui prodromi stanno nelle origini stesse del movimento delle camicie nere e nella personalità del suo duce. Se la Rsi non fu dunque il pozzo delle nequizie di un regime per il resto immacolato, o quasi - come talora ci si vorrebbe far credere - è vero altresì che da questa ricerca ampia e rigorosa emerge, comunque, nell'analisi della progressiva militarizzazione delle strutture dello Stato-fantoccio, tutta l'esasperata, nichilistica violenza di cui esso era intessuto. I contrasti, già striscianti lungo l'intero arco del regime, tra partito ed esercito, partito e apparati dello stato, giunsero al massimo grado nei drammatici venti mesi di Salò, i quali furono davvero «il tempo dell'odio e della violenza», come recita ora il sottotitolo del libro di divulgazione, ma anche di discussione storiografica, firmato da Aurelio Lepre (1m storia della Repubblica di Mussolini, Mondadori, pp. 353, L. 34.000). Di quell'odio e di quella violenza i «briganti neri», come venivano chiamati, furono i protagonisti spesso efferati, travolti dal fanatismo totalitario che poco o nulla aveva a che spartire con l'idealismo dei militi dell'onore. La fine ingloriosa di questo partito-esercito, che abbandona al suo destino il «Capo», il quale, a sua volta, sintomaticamente, cerca salvezza fra i tedeschi in fuga, piuttosto che fra gli uomini che gli avevano giurato fedeltà «fino alla morte». Non ci fu eroismo nella tragica conclusione di Salò, ma solo «il chiudersi violento di iuta storia violenta». La ricerca storica conferma la continuità totalitaria e violenta del regime di Mussolini h dll Arturo Bocchini, capo della polizia fascista. Nella foto accanto è con Heinrich Himmler, capo della polizia tedesca. L'incontro avvenne a Como nel 1939 Mimmo Franzinelli I tentacoli dell'Ovra, pp. XIX-745, L. 75.000 Dianella Gagliani Brigate nere, pp. XIV-305, L. 48.000, entrambi Bollati Boringhieri SAGGI

Luoghi citati: Como, Salò