C'è un servo felice che smaschera l'orrore di Bruno Quaranta

C'è un servo felice che smaschera l'orrore C'è un servo felice che smaschera l'orrore RECENSIONE Bruno Quaranta Euna novella esemplare questa «Cronaca di un servo felice», strappata dalle viscere, scavata a mani nude, terrifica e insieme soave. Ne è artefice Francesco Permunian, anche poeta, natali veneti, ora cittadino di Desenzano sul Garda, quarantotto anni, un volto stranito, un crocevia di visioni, di antiche piaghe, di feroci cimenti. «Appartiene - lo identifica nella prefazione Luca Doninelli, esperto, non da oggi, di sottosuoli - alla schiva tradizione di scrittori crudeli per obbligo». E sciorina i nomi di Piovene, Comisso, Parise, Berto, Zanzotto. Impeccabile elenco, a cui bisognerebbe aggiungere Antonio Fogazzaro, in particolare la sua vocazione a disprezzare, «fieramente, i disprezzi del mondo», come fu detto. Qui si narra - allegorico affresco - di una contessa sottratta al circo da un generale, una nobiltà posticcia, quindi, acciuffata per caso. Più vecchio di mezzo secolo e oltre, il pettoruto medagliere non uscì salvo dal viaggio di nozze, tali e tante prove veneree gli impose la consorte. La quale, smarrito il coniuge, non depose le furie erotiche, spengendole e rinfocolandole con una selva di giovani rustici. Accolti nel talamo - e ivi sottoposti a estenuanti esercizi - superata la prova delle clementine. Ovvero: veniva incoronato fidanzato il contadinello che, le mani legate dietro la schiena, per primo riusciva a divorare il paiolo stracolmo di arance postogli davanti. Il «fortunato» (in realtà si arricchiva) restava in carica sei mesi. Uno su tutti folgorò la Circe lombardo-veneta, già settantenne («Il buio avanza attraverso le mura di questo palazzo [...]. Che io possa riscaldare le stanche membra con il fanciullo più bello del mondo»): Celeste, Celestino, infine dementino, decompostosi in una sfida automobilistica. La voce guida è il genero, il RECENBruQua IONE o nta servo felice, «un indagatore del caos», obbedientissimo a un superiore disegno: raccontare «la trama di quel delirio divino che è la vita umana». Quel Dio che solo a nominarlo - tanto è assurdo, bislacco, buffone, medioevalmente buffone - scompagina le menti, detta gesti che varcano inesorabilmente la soglia. Del lecito, della decenza, della geometria, ecco: dell'immaginazione. Questa «Cronaca» allevata in un estremo giardino del Male (sono ormai rari, abbondano le caricature, i falsi) porge stupori a iosa: pie signorine che autoflagellandosi raggiungono il climax, donne sollazzate da cani e scimmie educate alla bisogna (i cervelli delle scimmie saranno assaporati all'alba, Peter Greenaway è il regista ideale della grottesca parabola), intellettuali d'accatto («Mentre le bestie si piegano a certe recite solo a prezzo di percosse e torture, gli intellettuali invece la vocazione alla recita ce l'hanno nel sangue»), bimbe malefiche di cui si invoca la beatificazione, preti bolsi, vecchi indecenti... Francesco Permunian incede sfoderando inchiostri astuti, esatti, sapidi. Talvolta sfiora la razionalità fantastica di un Piovene, talvolta il passo fantastico tout court di un Buzzati. La Grazia (le avvisaglie non difettano) potrebbe, un giorno, perforargli le mani. Sacro è il profano. Francesco Permunian Cronaca di un servo felice Meridiano Zero, pp. 189, L. 22.000 ROMANZO

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