La neonata dell'Allende abbandonata in una scatola di Angela Bianchini

La neonata dell'Allende abbandonata in una scatola La neonata dell'Allende abbandonata in una scatola RECENSIONE Angela Bianchini ■ SABEL Allende o I del piacere di racI contare. Isabel Allende come raconteuse nata: come qualcuno che non soltanto sa raccontare, ma (e questo ho già avuto occasione di osservarlo quando, due anni fa, la Allende ottenne il riconoscimento del Premio Donna Città di Roma por tutta la sua opera narrativa) come qualcuno che dal raccontare trae conforto. Il raccontare, la storia, la vicenda propria si trasforma allora in una zattera su cui attraversare il tempo e approdare altrove: comunque più lontano da dove si era partiti. Raconteuse è, insomma, la persona che sa annodare le storio: sue e degli altri. Due anni fa, la Allende non aveva ancora scritto La figlia della fortuna, appena tradotto in italiano (trud. eli Elena Liverani) e aveva allo spalle, oltre il celeberrimo la casa degli spiriti, parecchi romanzi, sposso a sfondo politico, nonché altre opere come l'aula, che sublimavano in forma narrativa uno strazio e una perdita del tutto personale. Vorrei diro elio, paragonata ad altre opere dell'Allende, compreso qucll'/l/mciifa che RECENAngBian SIONE ela hini mescolava sapientemente ricordi, erotismo o ricotte, la figlia dalla fortuna è una sorta di cavalcata a briglia sciolta in cui sembra che l'autrice si sia lasciata alle spalle tutto il bagaglio di memorie che, in qualche modo, l'aveva sorretta finora. O meglio, della propria vita, che l'ha portata circa un dieci anni fa a trasferirsi dal Cile e poi dal Venezuela alla California, abbia conservato soprattutto la dimensione geografica: di spostamento da un'America all'altra. Una sorta di percorso ideale quale, in circostanze fortunosissime, fa compiere alla sua eroina. Un'eroina d'altri tempi, calata deliberatamente in circostanze romanzesche di altri tempi: tant'é che si tratta di una neonata, abbandonata in una scatola il 15 marzo 1832. A trovarla ò una coppia di inglesi benestanti, fratello e sorella, trasferitasi da poco a Valparaiso in Cile. L'inizio ò, naturalmente, da feuilleton. E la prima a saperlo è la Allenilo stessa: non soltanto perché questo libro contiene abbastanza materiale non por uno, ma per dieci feuilletons (nonché cinque libri di viaggio sul Cile e sulla California), ma perché, astutamente, a un certo punto, viene messo in scena un giornalista da strapazzo che, scrivendo «un vero e proprio polpettone», è però colui che, in certo senso, olirò la chiavo, vera 0 presunta, della vicenda. In realtà, chiavi della vicenda ne esistono molte, e non manca una vera e propria agnizione che la Allende, però, sempre in modo sottile, evita di mettere in scena e che noi, per gli stessi motivi, non riveleremo. Tutto il romanzo, infatti, è una mescolanza assai abile di motivi noti, guardati però un po' di sguincio, come a avvertire il lettore di vederli anch'egli nello stesso modo. Ma contiene anche corposa documentazione sull'America Latina e la California della prima metà del secolo XIX. La parte più interessante e anche più autentica riguarda i personaggi di Valparaiso: gli inglesi, fratelli o sorella che alla trovatella danno il nonio di Eliza Sommers, e le offrono un'educazione perfetta, divisa tra lo tradizioni anglosassoni e quello cilene, e altre figure, assai vivaci, di comandanti di velieri, venditori di Bibbie, aristocratici di origine spagnola, e, sempre di scorcio, altro storie, altre figuro del passato dei Sommers. Per esempio il tenore viennese che anni prima aveva sedotto Rose, la sorella Sommers che in realtà e tutt'altro che zitella e tutt'altro che single e, per la sua passionalità, sia puro tenuta a bada, prefigura il destino della sua figlia adottiva. Infatti, appena adolescente, Eliza scopro, nonostante la stretta sorveglianza esercitata su di lei, l'amore e l'avventura e, per seguire le sorti di Joaquin di cui è rimasta incinta, seguo anche quella che è diventata in Cile, come nel resto del mondo, una vera e propria follia: vale a dire la corsa all'oro della California. Di li un imbarco clandestino, un viaggio su veliero dal Cile a San Francisco che dura un anno intero: il tutto in una stiva dove, sinceramente, almeno a leggere le descrizioni dell'Allende, nessuno avrebbe resistito più di due giorni. Come fa a sopravvivere la piccola Eliza, che nella stiva abortisce, si ammala e sbarca, sempre clandestina e mezza morta, in vista del Golden Gate? Diciamo che si tratta della fortuna che l'ha assistita fin dalla nascita e che prende le sembianze di un guaritore cinese, Tao Chi', capitato in Cile proprio ir. tempo per far imbarcare Eliza, aiutarla in tutti i modi e, naturalmente, innamorarsi di lei. Inserita nella storia di Eliza c'è dunque la storia di Tao che s'intreccia con la vicenda principale e, seppure un po' lunga e, in certi momenti, anche gratuita, si trasforma, grazie al piglio dell'Allende, in una specie di inserto: «Tao Chi' non aveva sempre- avuto quel nome. A dire il vero non ne aveva avuto uno fino a undici anni; i suoi genitori erano troppo poveri per potersi occupare di dettagli come questo: lui era semplicemente il Quarto Figlio...». E, riflettendo su questo gioco narrativo, il lettore scopre che La figlia della fortuna è un romanzo di peripezie: (male esisteva nel mondo classico e nel mondo medievale. Teatro delle peripezie degli amanti era allora il Mediterraneo. Ma oggi la rotta è mutata e il periplo va da un'America all'altra. «La figlia della fortuna» una trovatella salvata e educata da una coppia inglese Appena adolescente scoprirà l'amore... Isabel Allende (foto Giovannetti) e un bimbo cileno. Il suo nuovo romanzo contiene una corposa documentazione sull'America Latina e la California del primo Ottocento Isabel Allende La figlia della fortuna Feltrinelli, pp 333, L. 30.000 ROMANZO