Luomo è un animale più ridens che sapiens di Giorgio Calcagno
Luomo è un animale più ridens che sapiens Luomo è un animale più ridens che sapiens RECENSIONE ' Giorgio Calcagno CORAGGIO, una risata ci salverà. Governanti, moralisti, predicatori di virtù civiche stanno cercando da secoli di renderci la vita noiosa, stretta nei binari, penitenziale. Hanno pianificato un mondo nel mito borghese dell'ordine, dove tutto deve andare al suo posto, per l'edificazione di una tetra felicità comune. Ma ci sono i buffoni, per fortuna, che vengono in nostro soccorso. I vecchi fools della festa medievale, cacciati dalla strada, messi al riparo in letteratura, sono ancora lì, a scombinare i calcoli del Grande Sistematore, con i loro lazzi imprevedibili, i guizzi dell'umorista, le esplosioni del comico, le piroette del clown. L'homo sapiens socratico, che la civiltà moderna aveva ridotto a homo faber, si prende la rivincita * ■srarrdinandolff'rrìaglie delfiarmatura, e si trasforma in homo . ridens: C'è speranza, c'è speranza. E chi lo dice? Lo dice ' unu persona molto seria. E' Peter Berger, sociologo all'università di Boston, già autore di irreprensibili saggi sulla difesa della famiglia o sulsacro nella società contemporanea; un luterano tedesco nel Massachusetts, figuriamoci. E proprio lui ci regala un «Homo ridens», che accogliamo con gratitudine. Berger sa legger di greco e di latino, naviga disinvolto sull'Internet dei presocratici e dei postkantiani; cita, senza imbarazzo, lo status ontologico dell'ironia, le scuole funzionaliste dell'antropo¬ logia sociale. Ma, tutte le volte che non è necessario per i colleghi di accademia, preferisce approfondire il tema raccontando barzellette; con apologhi yiddish, koan del maestro zen, battute di Wilde, aforismi di Kraus, girovagando attraverso l'intera geografia del comico. Homo ridens è una brillante definizione; ma anche una tautologia. Perché, come Berger ci informa subito, non esiste uomo che non rida. E, insieme, non esiste riso fuori dall'uomo: che è diventato tale quando ha riso per la prima volta. «Le scimmie possono fare smorfie, ma è improbabile che lo facciano perché hanno sentito una buona barzelletta». L'umorismo è universale, in tutti i Paesi; è invasivo, in ogni - sfera della società; è projyytorante, in tutti i tempi. Ed effimero, svagolante, distruttivo, contro le RECENGioCalc linee troppo sicure della storia. E perché si ride? Ah, qui comincia il difficile. Il perché non lo ha ancora chiarito bene nessuno. I filosofi, per secoli, hanno sdegnato il riso, e pour cause. La storia della filosofia, scrive Berger, comincia con una risata alle spalle del filosofo: Talete di Mileto, finito in un pozzo mentre cercava di osser- IONE ' gio gno vare il cielo. A noi lo avevano presentato come il primo dei sette savi, che aveva identificato l'essenza dell'universo con l'acqua. Berger preferisce additarcelo come protagonista di quel ruzzolone di fronte alla servetta tracia, che «si prese gioco di lui perché si affannava a conoscere le cose celesti, ma si lasciava sfuggire quelle che gli stavano di fronte, fra i piedi», come riferì Platone nel «Teeteto». Sono stati tanti, i filosofi caduti nel pozzo: e hanno sempre trovato, mentre erano giù, una servetta tracia a canzonarli. Quella donna, venuta dalla terra dove è nato il culto di Dioniso, è alle origini del comico: parola derivata dal komos, «la folla delirante che prendeva parte ai riti dionisiaci». Naturale che facesse paura al potere costituito, eaquantifacevano affidamento suìTordine dell'universo. Il guaio è che l'univer- so non è così ordinato come la Dea Ragione vorrebbe: e i comici, nella loro sospetta follia, lo hanno capito assai meglio di tanti bravi razionalisti. Solo di recente i pensatori più acuti, come Bergson, hanno scoperto che l'umorismo può essere strumento di conoscenza: perché ci mostra l'altra faccia, tanto più vera quanto più nasco¬ sta, della realtà. Ma nessuno di questi studiosi ha penetrato il segreto del riso: perché, se lo avesse fatto, avrebbe «svelato anche il mistero fondamentale della natura umana». Di fronte al comico avviene la stessa resa che di fronte al sacro. Anzi, il comico stesso è una anticamera del sacro, come ha inteso prima di ogni altro Kierkegaard: perché è il linguaggio dell'alterità, lo stesso di cui abbiamo bisogno per uscire dalla prigionia del reale, e attingere il trascendente. Certo, questo sarebbe un argomento scandaloso per i padri della Scolastica, che intendevano la comicità «come uno scarto riprovevole rispetto al compito cristiano di piangere sui peccati». E l'autore che si professa credente evoca con dispetto la lunga lista dei «cupi maestri di teologia». Ma la storia della cultura cristiana è un'altra. Parte da Gesù, incoronato «re dei folli»; é da san Paolo, che si proclama «stolto in Cristo», contro i sapienti del mondo. Aiie soglie dell'età moderna Erasmo da Rotterdam scrive l'Elogio della follia, che rovescia tutte le prospettive. Cento anni dopo Cervantes affida a Don Chisciotte il più alto messaggio di comicità: la fede in un contro-mondo, da opporre al disordine della nostra vita. E non è detto che la vera realtà sia dalla pane di Sancio Panza. La Dea Ragione, con il suo rullo progressivo, hn cercato di eliminare dal mondo il comico come il religioso: senza riuscirci. «La processione dei fools avanza da un secolo all'altro, da un continente all'altro: non finirà fino a quando durerà la storia dell'Uomo». IL SOCIOLOGO BERGER STUDIA NATURA E ORIGINI DELL'UMORISMO, DAI PRESOCRATICI Al MAESTRI ZEN, DA ERASMO A CERVANTES. DA KIERKEGAARD A KRAUS Filosofia, psicologia e teologia del comico, una via della conoscenza alternativa e ribelle alla dea Ragione, un'anticamera del sacro e della trascendenza ,# L'arte della comicità: un esempio in quattro tempi, protagonista Stan Laurei, l'inseparabile compagno di Oliver Hardy in tantissimi film Peter L. Berger Homo ridens La dimensione comica dell'esperienza umana Il mulino, pp. 310,1.30.000 SAGGIO
Luoghi citati: Boston, Massachusetts, Mileto, San Paolo
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