«Parigi vale un altro Foglio» di Alain Elkann

«Parigi vale un altro Foglio» «Cerco sempre una ragione per alzarmi al mattino e per me non è facile, pesando quasi 200 chili» «Parigi vale un altro Foglio» Ferrara: e con Internet sono dovunque Alain Elkann GIULIANO Ferrara, lei è in esilio in Francia? «No, del resto non sono affatto in Francia! Bisogna convincersi che, con un piccolo 'powerbook' anche di non ultimissima generazione e con un piccolo Nokia e un cavetto, dovunque uno sta è come se stesse in ufficio a Milano oppure a Roma. Poi ci sono i canali tv... Il lavoro giornalistico oggi si fa soprattutto al telefono. Apro il computer e sono a Milano e a Roma contemporaneamente. Certo, si può dire che un po' manca il contatto umano. Diciamo che io non sono a Parigi, sono internettisticamente ubiquo». Però si dice che lei a Parigi voglia fare un nuovo giornale. «Sì, è vero. Potrebbe darsi che abbia senso creare un giornale che cerchi di valicare l'unica barriera ancora rimasta che è la lingua. Voglio quindi fare un "Foglio" francese in francese, una versione europea di un giornale italiano che non sia la traduzione del "Foglio" italiano. Non può avere senso a Parigi, per esempio, una serie di articoli sulla differenza di umori a differenti ore del giorno di Cossiga. Si tratta invece di reinventare un giornale. Il primo a parlare di questo progetto fu Francois Furet». Ma lei questo giornale lo sta facendo? «Sto cercando, sto facendo un piano industriale, su dove e come si distribuisce. In Francia c'è per esempio un problema che è la tassa sulle copie invendute...». Avrà dei soci francesi? «Non ho ancora affrontato questo problema. Del resto il "Foglio" partì con 400 milioni messi da Sergio Zuncheddu, immobiliarista di Cagliari». Dicono che ci sia come azionista Veronica Berlusconi. «Sì, adesso sì. Certo, si può partire cercando vasti capitali, mangiandosene una parte prima del varo e poi spenderli in promozioni e pubblicità. Noi invece siamo partiti con il principio che chi fa il giornale non deve portare in rovina il finanziatore. Io credo di aver fatto l'esperienza riuscita, anche se con la sovvenzione dello Stato, ma il "Foglio" è un giornale austero, poco costoso. Qui in Francia tra dieci giorni avrò un piano industriale e capirò se si può sostenere un'impresa di questo genere. Bisogna naturalmente che le caratteristiche mi piacciano e poi non sono così sicuro che lo farò». Lei deve sempre cercarsi nuove imprese, perché? «Ho cambiato spesso banco di lavoro. Non sono "routinier". Però non so dare spiegazioni». Fondamentalmente, lei si considera un giornalista? «E l'unica tutela corporativa che ho e sarei ingrato se dicessi che non è così. Sì, sono un giornalista». E la politica? «Non esiste differenza fra giornalismo e politica. Sono la stessa cosa condotta in modo diverso. C'è un patto trasparente con il lettore e con l'elettore». Lei è un cinico? «No». Come vive? «La mia vita funziona così. Ho, diciamo, un commando redazionale a Milano che è il mio punto di riferimento. Fare un quotidiano vuol dire che si aliena quasi completamente il proprio tempo. Cerco di ricavarmi spazi per leggere, parlare, fare e ascoltare qualche pettegolezzo e capire come va il mondo: chi vince, chi perde, chi merita di vincere. Perdo forse meno tempo a differenza di altri a cercare dove stia il bene o il male. Li ho visti sempre congiunti in un abbraccio passionale ogni volta che ci ho provato». Lei però politicamente è schierato, è così? «Sì, sono un uomo di sinistra che milita, come tutti gli uomini di sinistra, per le sue idee fondate sulle libertà civili. Poi l'Italia è così paradossale che c'è un senatore di sinistra come Di Pietro che elenca tre problemi: il lavoro, la sicurezza e la legalità. Allora è ovvio che io stia con Berlusconi. Quando è caduto Craxi lo spazio per militare a sinistra si è ridotto a Berlusconi». Ma Berlusconi non è una persona di sinistra. «Senta, al governo con lui si sono liberate duemila persone con un decreto, il decreto Biondi. E come prima pietra del riequilibrio antigiustizialista abbiamo messo un magistrato, Di Pietro, in condizione di uscire dalla magistratura. Anche Craxi era considerato molto di destra e poi diceva: "Io sono l'uomo più di sinistra in Italia"». Esistono ancora la destra e la sinistra? «Forse, ma non per me». Lei ama i paradossi e le polemiche, no? «Sì, le polemiche certo. Perché sono interessanti se ben condotte». Perché se l'è presa con il povero Benigni? «Povero! Ha avuto tre Oscar e tutto quel che voleva. Non ha avuto il 100%, il suggello di un abbraccio universale. Ci voleva un bambino che scalciava. Non era possibile che tutti, tutti, tutti, fossero dalla sua parte! Non importa sapere chi ha ragione o torto. La critica tanto non finisce mai». Il film l'ha visto? «Non tutto. Se non amo molto un film esco. Mi è successo anche alla Fenice di uscire durante un bel concerto. Io rivendico il diritto a uscire». E i libri li legge fino in fondo? «Sì, se mi appassionano, se no li leggo in lettura diagonale». Per un giornalista che cos'è importante? «Per un giornalista politico come me è importante la sfida attorno al comando dello Stato. Tutti invece dicono che sono importanti la società, la vita privata, l'economia globale. Io penso però che morirò, se non sono già morto, ancora con la grande ombra di Machiavelli e dei moralisti francesi come Richelieu sulla politica. Per politica intendo anche il denaro, che è un grande soggetto e oggetto della politica». A lei piacciono la finanza e l'economia? «Sì, m'interessano molto». Se Berlusconi torna a governare, torna anche lei al governo? «No, ho fatto una piccola testimonianza all'epoca del primo governo Berlusconi, nel '94. I miei amici socialisti allora erano in carcere o in esilio. Il partito era stato chiuso nel '93 in un commissariato e quindi il loro interlocutore forte, ricco e potente che era Berlusconi ha detto: "Mi ribello e provo a mettermi in navigazione". Io tra fare e non fare preferisco fare. Non sono mai stato uomo di partito, però devo riconoscere che Forza Italia è stato un progetto riuscito in parte». Craxi tornerà in Italia? Non lo so. Mi sembra che l'unico modo serio sia il varo di una legge di amnistia. Se non si sblocca la menzogne "he la De era un partito di mafia e il Psi una banda di ladri, rimarrà tutto come oggi, avvelenato in un'atmosfera opaca. Così non decolleranno mai le riforme e le nuove istituzioni. La cultura della stabilità di cui parla il mio amico Ciampi, se posso dire così, con rispetto, rischia di decomporsi nella subcultura della stagnazione. Con 40, 75 o chissà quanti altri parliti». Lei è un figlio di comunisti. D'Alema è il primo comunista a Palazzo Chigi. Che cosa ne dice? «Intanto il primo comunista a Palazzo Chigi sono stato io e lì ho fatto la mia parte. Ci sono andato con un grande movimento populista e democratico». Però non era il presidente del Consiglio. «E' vero. D'Alema è il primo presidente del Consiglio comunista. Quando è nato questo governo, io, che sono l'alter ego del professor Giovanni Sartori, pensavo che D'Alema potesse fare le riforme perché il suo era un governo politico e non tecnico. Però Sartori si è preso una cotta, la mia era una scommessa. E D'Alema non ha la forza e il coraggio di fare alcunché. Vuole solo restare fino alle elezioni. Vuole durare». Perché? «Perché per realizzare i suoi disegni, per mantenere tranquillo il suo esercito, pensa di realizzarsi se resta tino al 2001. In questo desiderio non è diverso da uno dei tantissimi governi Rumor». Lei in questo balletto si diverte? «Non so se la parola giusta è divertirsi. Ma uno cerca sempre una ragione che lo induca la mattina ad alzarsi (cosa per me non facilissima perché peso quasi 200 chili). Uno si alza per incontrare gli altri e realizzare delle opere e lo dico cristianamente perché sono figlio di comuni sti, ma allora i comunisti battezzavano i bambini». Sta tornando alla religione Ferrara? «No. Se dovessi farmi monaco farei in modo che non lo sappia nessuno per non entrare nella categoria degli atei pentiti. Sparirei come il professor Caffé o come Majorana. Non voglio come Bocca o Guttuso che si dica che anch'io ho scoperto Dio su due pagine di un settimanale. Andrei nella steppa, in qualche monastero freddo e sperduto». Intanto, però, vive una vita matrimoniale felice? «Si, sacrifico molto al Dio della famiglia che mi dà forza e energia». Vede sovente i suoi genitori? «Sì, abbiamo un legame di ferro e ini sento ancora figlio». La sgridano di tanto in tanto? «Sì, per qualche disattenzione o perché sono preoccupati per la mia salute». Trascura la sua salute? «No, è lei che purtroppo mi trascura». Lei vive lunghi periodi in Francia e in America. Perché? «Da un paio di mesi vivo in un luogo dove voglio realizzare un progetto, come ho già detto prima. Senza essere un internettomane non c'è modo più importante di usare un computer che spostarsi. Mestando nel luogo dove si ò. L'ubiquità ò stata finalmente concessa, cosa che non è stala concessa nemmeno a Padre Pio nel processo di beatificazione». Che cosa fa a Parigi oltre a lavorare? «Incontro un numero sterminato di persone, funzionari, giornalisti, lo lavoro cinque o sei ore al giorno, perché scrivo editoriali, rispondo alle lettere, parlo con il condirettore, poi seguo le riunioni, leggo i giornali italiani, francesi, inglesi. Poi giro per librerie e ho visto una bellissima mostra di Chardin. Poi vengono gli amici a trovarmi». Non ha nostalgia di Roma? «No, Poma ò una città con la quale mantengo un legame abbastanza forte». Guardando da Parigi si sente l'Europa? «L'Europa è inafferrabile, è un fuoco fatuo nell'inutile facondia geodemenziale usata nel dibattito italiano. Da Parigi invece si sente che l'Europa esiste. La Germania ha un grande problema nazionale da risolvere, l'Inghilterra è una nave corsara, mentre la Francia è un Paese che ha una sua politica estera, ha la sua bomba atomica, è uno Stato centralizzato e funzionante. Per questo credo che la Francia sia il Paese centrale dell'Europa, al quale può attaccarsi facilmente l'Italia che in effetti è un po' come il giardino della Francia. Per questo credo che sia possibile un giornale italofranccse. Insomma la Quinta Repubblica francese con il giardino italiano ò l'unica vera istituzione europea». Per lei la tv è finita? «No, sta lì. Di tanto in tanto faccio delle chiacchiere, ma non posso essere ubiquo. Sono stato due volte dopo l'assoluzione di Andreotti dal mio amico Vespa e forse sarebbe stato più interessante se avessero condannato Andreotti. Ma insomma è ovvio è molto meglio che non lo abbiano fatto». Come si chiamerà il suo giornale francese? «"Le Foglio", ma forse è troppo raffinato e lo chiamerò "Feuille quotidien"». «Se io dovessi farmi monaco, farei in modo che non lo sappia nessuno per non entrare nella categoria degli atei pentiti. Andrei nella steppa, in qualche monastero sperduto» «Benigni ha avuto tre Oscar e tutto quello che voleva. Non era possibile che tutti fossero dalla sua parte. Se non amo molto un film, esco. Rivendico il diritto a uscire, anche alla Fenice» DOMENICA CON TOC HWH18 II Iti Nome Natoli .7.WlM!0..M5fc o ..Uffii!^. » rittodmoniaflSMfty,.,.. residenza WHft stato civile 0*$fl*Jfc CONUMUM tc^i# professione fSIWJWMIM*.. jhobb. .W.IIHSW. I Rrrrmdeltilotere-. Giuliano Ferrara a sinistra, sopra Roberto Benigni: il suo ultimo film, «La vita è bella», è stato duramente criticato sul «Foglio» La moglie del giornalista-opinionista, Anselma Dell'Olio