Merzagora, elegia del «tecnico» di Aldo Cazzullo
Merzagora, elegia del «tecnico» Il ricordo del «ragioniere» nelle parole di Bettiza davanti a Ciampi, Cossiga e Scalfaro Merzagora, elegia del «tecnico» Aldo Cazzullo UN giorno, trovandosi in un gruppo di senatori, Croce li apostrofò così: «Sapete perché Cesare Merzagora è superiore a tutti voi politici di professione? Perché è un ragioniere». Certo, poi fu anche: banchiere, suonatore di violoncello, direttore di giornali, viaggiatore, arbiterelegantiarum, editorialista, disegnatore di medaglie. Nonché ministro del Commercio estero, presidente del Senato per 14 anni, supplente del capò dello Stato per cinque mesi. Eppure la definizione citata più volte alla commemorazione di Merzagora - ieri mattina, sotto gli affreschi della Sala cuccan del Senato - è stata quella coniata da don Benedetto: «ragioniere». Nostalgia di un personaggio. E di una categoria - i tecnici - che alla politica si accosta in rari momenti, i quali sulle prime appaiono di emergenza ma, quando sono passali, vengono spesso ricordati come i migliori. Raccontando il Merzagora «uomo economico settentrionale prestato alla vita politica romana, che disprezzava», Enzo Bettiza ha evocato le «Prediche inutili» di Luigi Einaudi. Altri hanno citato Paolo Baffi e Guido Carli. Molti hanno pensato al capo dello Stato, seduto in prima fila con Giovanni Agnelli e i predecessori Cossiga e Scalfaro (ma Ciampi, germanista divenuto garante della politica, ama ricordare di «non essere un economista», e quindi neppure, o almeno non solo, un tecnico). Il presidente non ha avuto una giornata facile - alle 6 e 30 la prima telefonata, con il numero 2 del Quirinale Gifuni, alle 8 incontro con i sindacati, poi in borgata, quindi a Foggia, infine, a sera tarda, ritorno alla prefettura di Roma per l'incontro con i rettori e con 24 associazioni di volontariato -. Ma si è voluto fermare a visitare la mostra delle medaglie disegnate da Merzagora (tra i soggetti. Pio XII, Giovanni Agnelli, Grace Kelly) in compagnia della vedova, la signora Giulia, e del figlio Nicola. Tre ministri - Amato, Folloni, Scognamiglio -.quattropresidenti • Cingano di Mediobanca, De Rita del Cnel, Desiata delle Generali, Tronchetti Proverà della Pirelli -, e Nicola Mancino, che siede sullo scranno che fu di Merzagora dal '53 al '67, hanno rievocato il suo percorso dalle trincee della Grande Guerra alla direzione della Comit Bulgaria - sette anni a Filippopoli, oggi Plovdiv -, dalla fondazione de «La Voce d'Italia», presto zittita da Mussolini, alla Resistenza. Fu De Gasperi, nel '47, a chiamarlo al governo. Il leader democristiano vedeva in lui il simbolo di quello che considerava il «quarto partito» (dopo de, pei e psi), il partito dell'establishment, degli uomini d'affari, insomma dei tecnici che avevano viaggiato e all'estero avevano imparato le'lingue e comprato stoffe importanti, come quelle con cui erano tessute la giacca nera e i pantaloni a righe che Merzagora indossava per arbitrare le sedute pomeridiane del Senato. Fino a quando i partiti, quelli veri, prevalsero. Si arricchirono. Disgustarono il «ragioniere», che nel '75 coniò per loro, sul Giornale di Montanelli e Bettiza, il termine «bustocrazia». Quando di quel morbo si ammalarono e morirono, per il novantenne Merzagora era troppo lardi: in quanto «nessuna compagnia di assicurazione - come scrisse a Pettini, per invitarlo a non ricandidarsi al Quirinale - può coprire il rischio invisibile della senescenza». Peitini fu colpito dal consiglio: anche perché veniva dal presidente d'onore delle Generali.
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