«Nella casa è tutto a posto» di Pierangelo Sapegno

«Nella casa è tutto a posto» LA RABBIA DEI SOPRAVVISSUTI «Nella casa è tutto a posto» reportage Pierangelo Sapegno inviato a FOGGIA Ivivi. Davide Raio, gli occhi spenti. Due ferite sopra le labbra. La camera buia. «Mia moglie non c'è più». Eccoli, i vivi. «Avevo due cose fuori dalle mace rie che mi coprivano. Il piede sinistro e la bocca. Antonio, mio figlio, era vicino a me, ma non lo potevo vedere». I vivi. Salvatore Taronna, quarto piano di viale Giotto 120, un letto d'ospedale, le lenzuola sul corpo ferito. «Sono rimasto cosciente 4 ore e mezzo. Non riuscivano a togliere i mattoni davanti a me. E io non avevo nemmeno la forza di avere paura. Questa cosa terribile ricordo, che non riuscivo a provare niente». I vivi. Le sirene delle ambulanze che non portano più via i feriti. Un grido roco, straziato, «Raffaé, Raffaé...», l'ambulanza che parte, «Raffaele mio...», il pianto che la insegue. Davide Raio: «A un certo punto mi ha preso una gioia infinita, mentre ero lì sotto, la bocca aperta fuori dai mattoni per poter respirare. Ho sentito di morire». Ma perché una gioia? «Perché andavo via da quel buio, andavo via da quel dolore, perché cancellavo tutto». I vivi. I lamenti che venivano da sotto quei calcinacci, da quella polvere di casa, da quelle rovine. Paolo Moccia, comandante dei vigili del fuoco: «Da ieri, purtroppo, non sentiamo più niente. Abbiamo paura. Forse troveremo solo morti, là sotto». Eccoli, i vivi. Davide Raio, 24 ore dopo, questo sguardo che sembra spegnersi: «Sentivo uno scalpiccio sopra la mia testa. Mi sono accorto che vivevo. Un vigile del fuoco stava tirando via qualcosa da sopra di me. Non so perché, ma gli ho detto grazie. Sentivo solo il mio piede sinistro e con la bocca stavo gridando il mio nome». Mariella Rizzi, la mamma di Aldo, 9 anni, morto. «Le crepe in quella casa c'erano da mesi. Il mio bimbo è morto nel sonno: aveva 9 anni e 5 mesi. Io dicevo: lasciatemi qua. Andate da lui. E pensare che era venuto un perito quest'estate per controllare la casa». Chi è? Sa come si chiama? «Io non l'ho visto. Sono cose che hanno fatto gli uomini. Quel perito ha detto che era tutto a posto». La cognata: «Ma chi era quel disgraziato? E' questo menefreghismo che ha ucciso questa gente. Ma com'è possibile? Ma che perito è quello lì. Neanche uno spazzino avrebbe fatto una cosa del genere». Il cognato: «Ad agosto io ero ospite a casa Guidoni. Faccio il fabbro, gli ho fatto dei lavori. Lui mi parlava di questi scricchiolii. Gli dissi scherzando, saranno i topi». Raio: «Sentivo di gente che si lamentava. Perdite d'acqua, crepe. Nel mio alloggio però non ho mai visto niente». Taronna: «Al primo e secondo piano parlavano di strani rumori, di cose che non andavano». Mariella Rizzi: «La casa l'abbiamo comprata sei anni fa. Era grande 120 metri quadri. L'avevamo pagata 200 milioni, adesso ne valeva molti di più. Avevamo fatto il mutuo. Ci mancavano due rate. Abbiamo perso i soldi, perso la casa, perso il figlio». Ancora le sirene. La foto di un matrimonio, un abito bianco e un abito nero. I sorrisi. Un pupazzo celeste che resta in piedi sull'asfalto. I ricordi di una vita li hanno ammucchiati nel cortile, dietro le ruspe e dietro le transenne. Dopo la morte, restano tutte le piccole cose che avevano forse dimenticato, una foto di famiglia, la piccola Laura che apre le mani per camminare, la foto della prima comunione di Angelina, una giacca di lino beige a tre bottoni, una camicia da notte celeste, il libro degli esami di Istituzione di diritto privato, un biglietto che era stato infilato nello stipite di una porta: «Siamo usciti. Ciao». E' una grafia infantile. Il poliziotto con la tuta e la mascherina schiaccia tutto in un bidone giallo, con gesti meccanici. Restano fuori la lucidatrice Philips, un paio di mutande bianche da donna strappate, un cartone di latte fresco, un buono acquisto da lire 13900, una coperta verde, e un messaggio che viene da una vita finita: «Sabato 16 nov '96. Rinasce la passione». Dietro il palazzo, lontano da questi segni di vita, c'è la vita vera. Il buio che scende sulla polvere, Agostino il ruspista che da quaranta ore scava senza interruzioni sopra le lacrime, fra le voci che mancano, i corpi anneriti, il dolore che ancora deve venire. Giuseppe lancili, 12 anni, che è venuto qui con il vestitino buono della festa per cercare il suo amico Dario Padalino, disperso sotto queste macerie, dentro questo disastro. Lo cercano i giornalisti stranieri che sono arrivati qui, dalla Francia, dall'Inghilterra, persino dal Giappone: «Due case che crollano in un anno nello stesso Paese. Pensiamo che non sia più un caso», dicono. Noi non lo pensiamo. Noi lo sappiamo. Eccoli, i vivi. Paolo Agostinacchio, il sindaco di Foggia: «Abbiamo fatto sgombrare il palazzo gemello di quello caduto in viale Giotto. E forse altri edifici dovremo fare evacuare». Il palazzo gemello è questo qui, uguale a quello che non c'è più. Cinque piani più l'attico. Una tipografia di Antonio Goffredo a pianterreno, «GaRos», le ultime due saracinesche sulla destra. Le altre cinque serrande sono ingressi privati. Ventinove famiglie che ci abitavano. Un cartello sopra il portone, in materiale zincato, colorato in nero: «Ordinanza di sgombero» Cinque gradini. Le cassette della posta sulla sinistra. Piccole piastrelle color panna. Travertino sul rosa a terra. I passamani, il marmo. Nulla è concesso al lusso, ma la casa è molto ben tenuta. Pulita. Nessuna crepa fino al secondo piano. Ogni pianerottolo ha quattro ingressi. Porte in legno. Una mano di smalto sulle pareti fino a metà, colori di pastello tenui. Fino al secondo piano non abbiamo visto crepe. L'ingegner Ercolino sulle scale assieme a un ispettore di polizia. Vedono l'intruso. «Lei cosa fa qui?» Giornalista. «Se ne deve andare subito». Perché? Voce stizzata: «Noi qui dobbiamo fare un sequestro» Fuori. Le famiglie della casa, dietro le transenne. Avete paura? «Sì», dice una donna. «Tutti abbiamo paura, per forza». Matteo Di Bari, 26 anni: «Ci sono crepature, certo. Ce n'è pure qualcuna sulla scalinata. Ci sono sempre state, più o meno grandi. Ma non abbiamo mai protestato». La casa. I panni stesi al primo piano, sei paia di calzoni, una tuta viola, un pigiama granata. Un allarme che si mette a suonare al quarto piano. Matteo: sua mamni?, Rosa Di Bari, è diabetica ed è invalida. «Ha bisogno delle medicine. Ma non mi lasciano neanche andare su a prenderle». Azzaroni, quinto piano, papà ferroviere, sei figli: «Noi abbiamo lasciato tutto là dentro. Da trent'anni abitiamo qui». Signora, terzo piano, 110 metri quadri, duecento milioni: «Mia figlia deve sposarsi fra 15 giorni».Eccoli i vivi. Però, la casa la guardano in piedi. Matteo dice che si sente un po' il cuore strappato. Taronna Salvatore diceva che sentiva questo rumore venire da sopra il buio che aveva sugli occhi. «Ogni tanto sentivo anche delle voci», dice. Ma non riusciva a pensare niente. Poi all'improvviso le voci gli sono venute sopra la testa e lui sugli occhi ha visto il buio che veniva dall'aria. «Ho cercato di tirarmi su. Mi parlavano. Ho detto: sono vivo». «C'era chi denunciava perdite d'acqua e crepe Al primo e secondo piano parlavano di strani rumori. Ma nessuno è intervenuto» Ordinanza di sgombero per gli inquilini del vicino edifìcio «Lungo le scale da tempo abbiamo visto fenditure» Anche ieri sono proseguite le operazioni di ricerca di possibili sopravvissuti

Luoghi citati: Foggia, Francia, Giappone, Inghilterra