La strana coppia «Artullo e Baffino»

La strana coppia «Artullo e Baffino» NELLA DIFFICILE CAMPAGNA ELETTORALE I DUE LEADER SI GIOCANO LA MAGGIOR La strana coppia «Artullo e Baffino» Si odiano, ma questo voto li condanna all'alleanza personaggi Filippo Ceccareiii OUESITO malizioso: quanLa voglia aveva ieri D'Alema di girare per i mercati di Bologna e far campagna elettorale proprio per il professor Parisi? La risposta può suonare scontata e per due professionisti perfino rassicurante - riservandosi di norma la politica un'ampia quota di verità inconfessabili. Per cui il presidente del Consiglio, verosimilmente, non ne aveva nessuna voglia, ma l'ha dovuto fare. Così come l'inventore dell'Ulivo avrebbe evitato volentieri quella sponsorizzazione, ma non ha potuto. Allo stesso modo, con qualche anche spropositata immaginazione, il giro elettorale di ieri pomeriggio poteva ambientarsi tanto a Canossa quanto a Malebolge, luogo che nella Divina Commedia raccoglie le più varie forme di tradimenti: passati, presenti e futuri. E tuttavia palesi espiazioni ed evidenti riserve mentali non riescono ad oscurare il punto politico di tutta la faccenda, che è molto semplice. Se Parisi, infatti, viene trombato, il governo D'Alema viene giù, e buonanotte ai suonatori. Per il presidente del Consiglio significherebbe tornare a casa e metterci una pietra sopra. Ma per il professore vorrebbe dire associare il proprio nome alla caduta di due governi in poco più di un anno. La fine del primo, nell'ottobre del 1998, proprio D'Alema la mise in conto a Parisi, responsabile non solo di aver esasperato la situazione, ma anche di aver sbagliato nel fare i conti con il pallottoliere. «Dilettante» disse (e glielo disse pure in una lunga telefonata). L'altro incassò, sia pure con una mezza scusa sul fatto che i dilettanti hanno passione e i professionisti meno. Ma il veder D'Alema al posto di Prodi alleviò senz'altro i sensi di colpa di Parisi; e anzi lo confermò nell'idea che l'Ulivo doveva resistere, a scapito dei ds, e possibilmente anche del governo guidato dal loro ex segretario, l'« usurpatore». In qualche modo, il colpo basso dalemiano era prevedibile. Ad aver insospettito Parisi non erano tanto le voci di Palazzo: il fatto che D'Alema, scherzando, chiamava lui, Prodi e gli altri «la pericolosa banda anticomunista di Palazzo Chigi»; né tantomeno il fatto che a Botteghe Oscure si divertivano con la storia che assomigliava al Negus Hailè Selassiè, che oltretutto gli stava pure simpatico. No, il professore (di Sociologia politica, già direttore del Mulino e del Cattaneo) si era convinto delle smanie restauratrici di D'Alema al castello di Gargonza, nel marzo del 1997. Convinto com'era della superiorità morale dell'alleanza sui partiti, e del radioso futuro dell'Ulivo, aveva sentito definire la sua creatura «un luogo di raccolta», «un'aggregazione instabile», senza avvenire. Ma se il politologo aveva qualche motivo per essere diffidente, il leader diessino era sospettoso con altrettanta ragione. Ai suoi occhi Parisi era stato il consigliere di De Mita, e quindi del nemico storico; e poi lo era stato di Segni e del nuovismo referendario più sgangherato. Non pago, ora consigliava Prodi, che nel frattempo era diventato il suo rivale.A D'Alema non piacevano affatto le polemiche di Parisi contro i partiti - «storie tardo-sessantottesche» le aveva definite - né poteva condividere il culto fondamentalista dell'Ulivo, che appunto esiste- va perché esistevano i partiti. Il professore inoltre dava l'impressione di attizzargli contro Prodi, di spingerlo sulla cattiva strada dell'Asinelio. Proprio a Bologna s'era visto come finivano queste cose, queste vendette. Insomma: vederli insieme sull'autobus, ieri pomeriggio, lasciava un po' sgomenti. Ma come? Vabbò il maggioritario, vabbè il teatrino, vabbè l'Ulivo 2, vabbè tutto, ma questi due «Baffino» e «Armilo» (o «Antunno» secondo una diversa lectio cossigbiana) - fino a due mesi fa si facevano i dispetti. In particolare «Artullo», che pure non è cattivo, ma è sassarese, e perciò tignoso e beffardo. Come dimostra l'aver posto per primo la questione cruciale della leadership alle prossime elezioni. Così, per mesi, un giorno Parisi diceva che D'Alema doveva dimostrare una capacità progettuale e un altro giorno lo richiamava alle sue responsabilità di governo; un giorno lo invitava a farsi «amare» dagli italiani - che per D'Alema non è esattamente la cosa più semplice - e un altro gli ricordava che aveva ancora tantissima strada da fare; un giorno gli riconosceva dei progressi e un altro giorno si compiaceva perché tali progressi, guarda caso, coincidevano con la circostanza che D'Alema diceva adesso «quel che noi dicevamo un anno fa»; e la «conversione» del premier era stata addirittura «spettacolare». Il vero spettacolo, comunque, dopo le elezioni al collegio bolognese numero 12. Se il professore che inventò l'Ulivo venisse battuto finirebbe fatalmente per cadere anche l'esecutivo

Luoghi citati: Bologna, Canossa