LANTERNINA ROSSA

LANTERNINA ROSSA LANTERNINA ROSSA Guido Ceroneiti NELLA mia lunga, appassionata frequentazione di vivi (non avendo fatto l'anatomopatologo o il medico legale) ho imparato questo, sperimentalmente non solo intuitivamente: che proprio del tutto vivi non siamo, che buona parte degli umani sono morti che camminano. E Sofocle lo dice chiaro nell'ultimo coro dell'£'dipo re: i mortali, viventi che non vivono. Davvero strana la loro smania di vivere così da semimorti il piti a lungo possibile, il loro aspirare frenetico ad una non-morte materiale garantita da un'organizzazione onnipotente impropriamente ancora chiamata Medicina, esperta soltanto di semivita, di vita dnbole, di lenire, bloccare, togliere, ri aggrega re, su e giù per i corridoi interminabili della prigione della NonVita. Nei poemi di Lautréamont, più rivelatori di una Bibbia, Odetto che le mute di cani che latrano vagando per le campagne hanno «sete d'infinito» allo stesso modo di chi li sta ad ascoltare con angoscia dentro le case. E se la sete d'infinito può esprimersi nel latrato di un randagio, che cosa dire delle emissioni vocali degli esseri parlanti, della furbizia estrema con cui dire la sete d'infinito parlando d'altro, di elezioni, benzina, preservativi, fistole, gasdotti, muri di Berlino, furti, abbandoni, bambini, bancomat, pensioni? La sete d'infinito, non d'immortalità, è il male specifico dei viventi che non vivono, durare per dire, per latrare di più, consumare tutta l'acqua della terra per sete non di acqua, per lavare non lenzuola sporche ma l'ingombrante e infettante cadavere del finito. La democrazia e l'economia moderne hanno messo l'infini¬ to alla portata di tutti, e tutti è metafora di cretino. Non si tratta dell'infinito che fa latrare i randagi o sgattiglia' l'estro dantesco, ma di un surrogato possibile. La travolgente presa di possesso di territori psichici sempre più estesi da parte di Internet è un segno netto: l'infinito al cretino. Indubbia, come in qualsiasi tempo, la sincerità del latrato, però la risposta è un osso povero, di derelizione. C'era, c'è tuttora, nel telefono fisso un'ancora visibile che collega al finito il saporoso Utente. Parla con l'America da un bar di Genzano ma è obbligato, dal mezzo stabile, a star fermo; patisce il limito della nave che non può prendere il largo. Col telefonino l'ancora ò tolta, il morto che cammina può vivere il sogno caratteristico di ogni morto: camminare. Col telefonino il vivo a metà è proiettato, col suo delirio di parlante, al di là del finito dei cretini, che ne hanno un'idea spettrale. Mentre, per una strada, s'intrattiene con un amico su Inps e Berlusconi, è chiamato di colpo, da un trillo imperioso irresistibile, a fissare orari di cena o ad ordinare acquisti in farmacia con qualcuno che in quel momento sta deambulando nell'atrio della Centrale di Milano, rompendo le barriere indecenti del finito di un'architettura totalitaria e di un miserabile frastuono in un incessante spostarsi da un punto all'altro con la bocca applicata a ventosa ad orecchie di ogni calibro, purché lontane. Ho osservato che l'espressione di beatitudine da uso di telefonino ce l'hanno soltanto quelli che camminano. I seduti sono molto meno in contatto con l'infinito. Ma i latrati continuano. La sete non cessa di tormentarci. Anche i cretini soffrono.

Persone citate: Berlusconi, Genzano, Odetto

Luoghi citati: America, Berlino, Milano