BIANCO

BIANCO Natale 1956: agonia e morte di due giovani alpinisti francesi bloccati a 4000 metri; ora un libro ricorda il loro calvario BIANCO naufragio nel ghiaccio Enrico Martine! SOLI in un mare di ghiaccio in tempesta. Soli in mezzo alle «urla» del Monte Bianco d'inverno, a meno 30 sottozero, __J senza viveri, con addosso la quasi insopportabile fatica di quattro giorni di un vagabondaggio incerto e di una scalata dura. E poi quell'approdo improbabile, un seracco isolato su un abisso di 300 metri, ai margini del Grand Plateau sulla «via» francese della grande montagna. Ultima isola della loro vita, dove assistono a un incredibile e grottesco circo di soccorsi, elicotteri e aerei, guide che vanno e vengono fino a lasciarli di nuovo soli. Soli per sempre ad abbracciar la morte dentro la pancia sfasciata e gelida del «Mammuth», l'elicottero Sikorski 58 dell'aviazione francese fbe avrebbe dovuto salvarli, ma che si è capovolto come una barchetta nella tempesta a 200 metri da loro. L'euforia e l'impresa, quindi la lunga agonia di due giovani alpinisti dopo 12 giorni di indicibili sofferenze a oltre 4000 metri, è raccontata da Yves Ballu, fisico di Grenoble, alpinista e cultore della montagnarriel libro Naufragio sul Monte Bianco, già pubblicato in Francia e proposto in Italia dalla Vivalda editori. E' la ricostruzione, dopo due anni di ricerche, una tragedia della montagna, quella di Jean Vincendon, 24 anni, parigino, e di Frangois Henry, 23 anni, di Bruxelles. Accadde nel Natale del 1956. Al decimo giorno di «naufragio» di Vincendon e Henry, sul Monte Bianco era concentrato im esercito di soccorritori, con almeno venti alpinisti impegnati a risalire i ghiacciai per arrivare a quel seracco del Grand Plateau. E nel cielo di tormenta volteggiavano tre elicotteroni Sikorski. Poi Vincendon e Henry, che avevano scalato lo Sperone della Brenva sul versante italiano il giorno di Natale con il più grande alpinista dell'epoca, Walter Bonatti e il suo amico Silvano Gheser, furono abbandonati a loro stessi proprio nel giorno in cui sul Bianco splendeva il sole. Il comandante delle operazioni, un reduce della guerra d'Indocina, il maggiore Le Gali, dopo aver sorvolato la zona dei «naufraghi» decide che «non possono essere vivi». E dice stop. I corpi dei due ragazzi furono recuperati soltanto il 19 marzo 1957 da una spedizione di venti alpinisti. Vincendon e Henry s'incontrano per caso dopo aver cullato il sogno di diventare grandi alpinisti. Sono complici d'una idea, legare il loro nome a grandi salite. E nell'estate del 1955 pensano alla Nord dell'Eiger, un rovello dell'alpinismo dell'epoca. Poi ripiegano su una salita invernale e, in gran segreto, decidono per lo Sperone della Brenva. Il 22 dicembre partono da Chamonix. I loro genitori sono convinti che siano soltanto andati a sciare. Frangois Henry scrive al compagno Jean Decup: «Ecco la grande novità, una follia, se vuoi, ma preparatissima, studiata al millimetro». Vagano due giorni, incapaci di prendere una decisione. Ma incontrano Walter Bonatti e Silvano Gheser. I due giovani trovano coraggio e soprattutto pensano di legare il loro nome a quello di Bonatti. I quattro dormono al bivacco Fourche e la mattina di Natale si dividono: Bonatti e Gheser vanno verso la Poire per tentare una «prima», Jean e Francois seguono lo Sperone della Brenva. S'incontreranno alcune ore dopo perché Bonatti rinuncia, troppo pericoloso. Quando sono a cento metri dalla vetta si scatena il cielo. Passano la notte in una bufera di neve e l'indomani, Bonatti si cala fino al punto dove si sono fermati Jean e Francois e fa cordata con loro. Si dividono sulla cresta che dalla Brenva porta al Bianco. Non si vedranno più. I due giovani non seguono le tracce di Bonatti, sbagliano strada e invece di raggiungere il rifugio Vallot inseguono la speranza verso il Grand Plateau. Comincia così il loro calvario, men- tre Bonatti e Gheser in due giorni riescono a raggiungere il rifugio Gonella sul versante italiano. Gheser ha fpiedi congelati, Bonatti sprofonda in un crepaccio, ma riesce con un'acrobazia e con l'aiuto del compagno a salvarsi. A Chamonix tutto va a rilento, con le guide che giudicano «troppo pericoloso» salire sul Bianco e i militari che organizzano l'operazione. Una serie di lungaggini e indecisioni che indispettisce Lionel Terray, il conquistatore dell'Annapurna: parte a piedi con una sua squadra e contro il parere di tutti verso Jean e Frangois. Alle 13,06 del 31 dicembre, il Sikor- sky con due piloti e due guide affonda le pale nel ghiaccio e si capovolge a 200 metri da Vincendon e Henry. I quattro dell'equipaggio non sono feriti. Le condizioni dei due ragazzi sono disperate, hanno braccia, gambe e parte del viso congelati. Le guide decidono di portare al rifugio Vallot i due piloti. Dicono: «Tranquilli, tomeremo». Fanno trenta metri e uno dei due piloti, il maresciallo Blanc, sprofonda in un crepaccio. Rientrano alla carcassa dell'elicottero. Blanc è ferito e semiassiderato. Arrivano altre squadre con gli elicotteri e di nuovo Jean e Frangois rimangono soli. Fino al 3 gennaio la tempesta non dà tregua. Nessuno riuscirà più a raggiungere Vincendon e Henry. 11 19 mar/o i soccorritori troveranno Vincendon nel «Mammuth», Henry per metà fuori dall'elicottero. Aveva tentato di uscire quando aveva sentito l'elicottero del maggiore Le Gali sorvolare il Grand Plateau. ■>\ f È ■ RIFUGIO OSSERVATORIO VALLOT Sopra il maresciallo Blanc, ferito e semiassiderato, riceve i primi soccorsi. A sinistra il Rifugio Vallot che i due alpinisti, sbagliando strada, non raggiunsero mai. A destra, sul massiccio del Bianco, sono indicati il rifugio e il punto della disgrazia: accanto la copertina di Paris Match del 12 gennaio 1957 da cui sono tratte le foto

Luoghi citati: Bruxelles, Francia, Italia