Il «ciclone» Storace contro Badaloni? di Raffaella Silipo

Il «ciclone» Storace contro Badaloni? Il deputato di Alleanza nazionale resta in pole position per la «nomination» Il «ciclone» Storace contro Badaloni? Raffaella Silipo LO hanno chiamato Epurator e Depurator, «refuso» (di Starace) e «Gregorio, er guardiano der pretorio». «Sparaballe», si definiva lui in un'intervista a «Prima Comunicazione». Francesco Storace, quarant'anni, tarchiatello dal sorriso furbo, prossimo presidente della Regione Lazio nelle speranze di An, incarna talmente bene la romanità casinaro da essere diventato ima maschera della Commedia dell'Arte, un personaggio da cartoon. Lui lo sa, e ci marcia sopra, dato che quel suo curioso amalgama di antico populismo e straordinaria capacità di comunicazione moderna, riesce a suscitare non solo identificazione viscerale nella «base» arrabbiata, ma pure condiscendente simpatia nell'intellettuale radicai. Storace, insomma, «c'azzecca». Tratto, eloquio, gestualità, tutto in lui è smodato, caricaturale, manesco e allo stesso tempo fulminante per l'alto contenuto di informazione e osservazione psicologica. Ciociaro di origine, data la stazza (anche se oggi è molto dimagrito) non dev'essere proprio un caso se ha sposato la figlia di un pasticciere siciliano. Politicamente nasce nella sezione missina calda di Piazza Tuscolo negli Anni Settanta della Capitale, dove gli scontri tra estremisti erano vera e propria guerriglia urbana. Compagna inseparabile al liceo, una chiave inglese fra i libri. Frase guida: «Il cazzotto sottolinea l'idea». Suo primo maestro è il deputato Michele Marchio, fondatore del Fuan, che lo porta al «Secolo d'Italia». «Gli devo tutto - dirà poi Storace -. Gli facevo pure da autista e non me ne vergogno». Al «Secolo» sono anni di goliardia e avventure, in cui Storace si fonila il senso della notizia e il gusto per la battuta fulminante, spesso centrata, quasi sempre greve. La notorietà la raggiunge durante la presidenza Cossiga: sua è l'immagine del «picconatore», tanto che gliene regalano uno, di piccone, in similoro. Ma, soprattutto, grazie al «Secolo» Storace incontra Gianfranco Fini. 11 loro strano sodalizio si cementa nel 1991, la devozione del portavoce al leader non verni mai meno: «Come la bella e la bestia chiosa lui - Gianfranco il fico, io l'animale». In cambio ottiene nel 1994 un collegio blindato nel cuore di Roma. Il suo lavoro alla Camera è punteggiato da episodi al limite del grottesco: gagliarde scazzottature in Aula, calcioni al compagno di partito Urso in un agitato confronto post elettorale, ripetuti insulti omofoni: «Francesco, di qualcosa di destra» lo provocò scherzosamente una cronista durante un convegno. E lui: «Proci!» Con i colleglli, Storace ha palesi avversioni c misteriose affinità elettive. Come quella con l'annoila, che non a caso oggi dico: «Tra lo candidature alla presidenza della regione Lizio, la sua ò la più decente. E' una persona dalla visiono politica sicura¬ mente diversa dalla mia ma almeno ha passiono e coerenza». Non c'è invoco feeling con Berlusconi. La corrente Storace, in An, è indubbiamente ciucila mono forzila liana di tutte. Un'incompatibilità di pollo: d'altronde lui sta al berlusconiano tipo, camicia azzurra e cravatta regimental, un po' conio Diego Abatantuono a Massimo Boldi in un qualche film doi Vanzina. Anche so il Cavaliere, da buon venditore, non sottovaluta corto il formidabile potere di «Epurator» di raccogliere consensi spiccioli, «do avrei manifestato perplessità sulla candidatura Stonici! nel Lazio? replicava infatti ieri -. È falso: non ho mai espresso un parere, anche perché non no abbiamo ancora parlato. Posso però diro che lo apprezzo come deputato e per il lavoro alla commissione di Vigilanza sulla Rai». «Ecco, appunto - dico Storace un po' seccato al telefono -. Io alla Vigilanza ci sto benone, non ho nessuna intenzione di cambialo». Peccato, si? è vero. Perchè la sfida tra lui e l'impeccabile, azzimato Badaloni sarebbe tutta da vedere, un gran bollo spettacolo. D'altronde «quando ce vo' ce vo'».

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