Giusto processo e Regioni, doppio ok dell'aula

Giusto processo e Regioni, doppio ok dell'aula Sì all'elezione diretta del presidente (venerdì ultimo voto al Senato) e alle norme sui procedimenti penali Giusto processo e Regioni, doppio ok dell'aula IPoli festeggiano ma sulle altre riforme l'intesa resta lontana Maria Teresa Meli ROMA Sorride, Massimo D'Alema, e ne ha ben donde. Ride, Silvio Berlusconi: «Lasciatemi godere», esclama in pieno Transatlantico. Il "giusto processo", con il voto della Camera, è entrato in Costituzione. L'elezione diretta dei presidenti delle regioni è stata approvata con il "quorum" richiesto e venerdì il Senato le darà il bollo finale. Due riforme importanti, votate sia dalla maggioranza (eccezion fatta per il la defezione dell'Asinelio sul primo provvedimento) che dal Polo, due riforme che segnano la vittoria dei leader del centro sinistra e del centro destra. L'inquilino di palazzo Chigi è soddisfatto: ha dimostrato che in questa legislatura si possono fare ancora molte cose : «importanti», segnando un punto a favore del suo governo. Il Cavaliere è su di gin: il tanto desiderato "giusto processo" è andato in porto. Al momento dell'approvazione tutti i deputati di Fi, da Berlusconi a Previti, passando per Dell'Utri, si sono alzati in piedi per applaudire. Ma c'è un terzo protagonista della giornata di ieri: Carlo Azeglio Ciampi, il quale, non per niente, dopo le votazioni ha chiamato il presidente della Camera Violante per congratularsi con il Parlamento. D'Alema, Berlusconi, Ciampi. Tre personaggi a cui, per motivi diversi, gradiscono 1'"effetto stabilizzante" di questo doppio voto. Che sia foriero di altre riforme? Il capo dello Stato lo spera ardente- mente. Il Quirinale preme perché il Cavaliere e il premier si mettano d'accordo anche sulla legge elettorale e sulla "par condicio". Il leader del Polo non lo può dire - «le rifonne sono un altro discorso», glissa - ma non ha fatto mai mistero di preferire una revisione della legge elettorale al referendum. E il presidente del Consiglio, non a caso, prima di abbandonare Montecitorio, spiega: «Siamo arri¬ vati a questo risultato grazie al dialogo». Ma sia il Cavaliere che il premier devono fare i conti con i loro rispettivi schieramenti, nient'affatto inclini a depone le armi e a collaborare. Così scoppia la polemica, proprio nella giornata del voto pressoché unanime, seguito e preceduto da un scambio di favori (il Polo permette l'accelerazione del "pacchetto" giustizia nell'apposita commissione del Senato; la maggioranza latita in Affari costituzionali, alla Camera, al primo appuntamento sulla "par condicio"). La miccia l'accende Pietro Folena. «Non vedo davvero - dichiara subito, a scanso di equivoci, il coordinatore dell'esecutivo ds alcuna possibilità di dialogo con questa opposizione. E questo pelle scelte pericolose fatte da Berlusconi. Si potranno fare riforme ma solo a condizione di una dura lotta politica e queste saranno "par condicio" e riforma elettorale». E Walter Veltroni non la spegne, ciucila miccia. «Il giusto processo dice il segretario della Quercia - va bone, però il clima in cui è stato approvato non mi piace: è partito un attacco nei confronti della magistratura a cominciare da quei giudici che si battono contro la mafia». L'esternazione del coordi¬ natore dell'esecutivo diessino viene riferita al Cavaliere, che si incupisce: «L'opposizione - sbotta - non può dare minimamente credito a una maggioranza che si esprime attraverso le parole di questo Folena. Non c'è niente da fare: il Muro esiste ancora e ci separa». Berlusconi parla così, ma non che il suo collega di schieramento, Fini, sia più aperturista di Folena, quando dice: «In questa legislatura non c'è spazio per le rifonne». D'altra parte non è da oggi che il Cavaliere e il presidente di An la pensano diversamente. Lo si vede anche in aula, quando Forza Italia si spella le mani per l'approvazione del "giusto processo", mentre i deputati di An, il capo in testa, restano immobili, a braccia conserte. «Sensibilità diverse sulla giustizia», spiegherà poi Berlusconi. «La sostanza è il dato politico, poi gli applausi si misurano in decibel», replicherà Fini. No, tutto si può dire iranno che regni l'armonia all'interno dei due schieramenti. 1 segnali sono molteplici. I Democratici, per esempio, si smarcano sul "giusto processo" optando per l'astensione (benché poi al loro interno si dividano tra chi vota contro e chi a favore). Casini chiede le elezioni anticipate, mentre Berlusconi appare recalcitrante di fronte a quell'ipotesi. Dunque, dialogo nato e morto in meno di ventiquattr'ore? E' alquanto presto per dirlo, in questa politica che va avanti giorno per giorno. Certo, la prossima riforma, quella sul federalismo, non vedrà uniti Berlusconi e D'Alema. Il vero banco di prova, però, sarà la legge elettorale. Lì entrambi dovranno vedersela ancora una volta con i rispettivi schieramenti. Nel centro sinistra Mastella e Boschi e i partiti piccoli in genere mettono già le mani avanti. Noi Polo, Fini ripete: «C'è il referendum». Ma domani è un altro giorno, intanto ieri, sia Berlusconi che D'Alema hanno ottenuto una vittoria. Scontro a distanza fra il numero due della Quercia e Silvio Berlusconi «Impossibile il dialogo con l'opposizione» E il leader di Fi «Niente da fare Il Muro ci separa» li presidente del Consiglio Massimo D'Alema con il leader del Polo Silvio Berlusconi

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