Appuntamento al buio col bandito GIULIANO

Appuntamento al buio col bandito GIULIANO Quello che nessuno aveva mai raccontato sulla fine di «Turiddu»: le memorie del maresciallo che la visse in diretta Appuntamento al buio col bandito GIULIANO Giovanni Lo Bianco ERANO già le ore 3 e 20 circa, quando, correndo, apparve il Pisciotta con una scarpa in mano e una calzata, con i I pantaloni infilati a metà, tenendo nell'altra mano la pistola omicida ancora fumante, che in preda a viva eccitazione rivolgendosi al carabiniere Renzi gli gridò: «L'ho ucciso, andiamo via subito». Volle mettersi lui stesso al volante e velocemente si diresse verso Montelepre dovasi fece lasciare nella casa paterna. Raccontò in seguito il Pisciotta che Giuliano, vedendolo apparire a quell'ora e senza essere stato invitato, lo aveva accolto con diffidenza, rivolgendogli queste parole. «Che sei venuto a fare?». Evidentemente il capo bandito aveva già ricevuto dal Miceli Ignazio la lettera dell'Ispettore Verdiani con la quale lo avvertiva dei suoi sospetti contro il suo luogotenente che, secondo lui, stava per tradirlo «... per certe strade da lui intraprese». Precisò pure che ne era seguita una lunga e animata discussione, in seguito alla quale si erano finalmente messi a letto, ma che Giuliano aveva continuato a chiacchierare fino a tardi. Solo dopo che questi si era addormentato e aveva cominciato a russare aveva potuto esplodergli due colpi alla testa freddandolo. Come io avevo previsto, era appunto questo il piano criminoso progettato dal Pisciotta. A questo punto il capitano Perenze, seguito dal carabiniere Giuffrida e dal brigadiere Catalano, raggiunse l'abitazione dell'avvocato De Maria. Trovarono la porta chiusa per cui dovettero bussare perché venisse aperta dallo stesso il quale era alquanto sconvolto. Entrati si trovarono quel morto disteso sul letto sanguinante tra le mani, senza avere un piano sul da farsi. Alla meglio gli infilarono i calzini, i sandali e i pantaloni; non trovando la giacca, fu tolta quella d'uno di quei militari che erano in abito civile, giacca che Giuliano da vivo non avrebbe potuto indossare per la sua diversa corporatura. Cercarono di trascinare il cadavere, così rivestito, giù per la scala, provocandogli ovviamente escoriazioni nella regione scapolare e, infine, lo abbandonarono nel sottostante cortile, dopo avere esploso su di esso, e anche per aria, alcune raffiche di mitra onde simulare un conflitto a fuoco ponendogli anche accanto un mitra che, poi, alla perizia non risultò neppure aver sparato. Contemporaneamente il capitano Perenze convocò l'avvocato De Maria, la madre, e la domestica, ordinando a quest'ultima di disfare il lettino, lavare le lenzuola inzuppate di sangue e fare altrettanto per il pavimento, raccomandando loro il silenzio più assoluto, altrimenti sarebbe stato costretto ad arrestarli. Diffidò altresì anche i due garzoni del forno di fronte, che mentre erano intenti ad alzare le saracinesche avevano assistito alla scena, intimando loro di entrare e chiudersi dentro. E mentre il capitano Perenze si affrettava ad allestire quel macabro scenario, il colonnello Luca si ricordò di noi. Alle 5 del mattino squillò il telefono di casa mia: era il colonnello Paolantonio che mi comunicava: «Lo Bianco, la vuoi sapere l'ultima? E' stato ucciso Giuliano; mi ha telefonato poco fa da Castelvetrano Luca per dirmi che, per un contrattempo, in quell'abitato, durante un conflitto a fuoco con nostri militari, il bandito era rimasto ucciso, per cui ci voleva là subito. Tu che ne pensi?». «Io non ci vado», gli risposi, «rimango a dormire», ed egli aggiunse: «Non ci vado neppure io». Trascorsero una diecina di minuti e mi richiamò, dicendo: «Veramente hai deciso di non andare?». «Ho proprio deciso», così gli rispo - si. Ma egli aggiunse: «Io ci vado soprattutto per andare a valutare la situazione». Ritornò nel primo pomeriggio, riferendomi che sul posto aveva trovato il cadavere di Giuliano ancora a terra nel cortile Mannone, davanti alla casa dell'avvocato De Maria, dove erano presenti anche il Procuratore Generale di Palermo Sua Eccellenza Pili, il professore Ideale Del Carpio della nostra università medico legale, nonché il Pretore del luogo che, dopo il racconto del capitano Perenze e degli altri militari, avevano già avallato la tesi dell'inesistente conflitto. (...) Alle sci di quello stesso mattino del 5 luglio il comando del C.F.R.B. di Palermo aveva intanto spedito al Ministero dell'Interno, al Comando Generale dell'Arma a Roma e a quello della 3° Divisione (OGADEN) di Napoli, il seguente messaggio: «Da Castelvetrano colonnello Luca segnala che ore 3,30 oggi dopo inseguimento centro abitato et conflitto a fuoco sostenuto da squadriglie del C.F.R.B. rimaneva ucciso il bandito Giuliano. Nessuna perdita parte nostra. Cadavere piantonato disposizione autorità giudiziaria. Riserva particolari. F.to Maggiore Latronico C.F.R.B. Palermo». Il telegramma fu consegnato all'onorevole Sceiba poco dopo le ore 8,30 mentre stava recandosi al Consiglio dei Ministri e con evidente euforia prima che si iniziassero i lavori egli lesse ai presenti il contenuto. I Ministri si alzarono tutti e battendo le mani esclamarono ad alta voce: «Viva Luca, promuoviamoIo Generale subito». Così avvenne. Si intitola / carabinieri e il bandito. resoconto inedito sulla fine di Salvatore Giuliano il libro di memorie (in uscita da Mursia) scritto da Giovanni Lo Bianco, maresciallo dell'Arma che fu coinvolto in prima persona in quegli avvenimenti. Nel brano che anticipiamo si racconta la convulsa notte in cui il bandito, ormai scaricato dalla mafia, fu ucciso dal suo luogotenente Gaspare Pisciotta. La sera del 4 luglio 1950 i carabinieri partono verso la casa dell'avvocato De Maria, a Montelepre, dove sanno di trovare Giuliano. Alle porte di Partinico la pattuglia si divide: il colonnello Paolantonio e il maresciallo Lo Bianco tornano indietro, intuendo quel che sta per accadere. Secondo gli accordi, Pisciotta dovrebbe consegnare vivo il suo capo. Ma le cose vanno diversamente. Un'immagine della Sicilia più tradizionale. A destra, dall'alto, Salvatore Giuliano e Gaspare Pisciotta. In basso a sinistra Giovanni Lo Bianco