Tangenti, assolto Mazzotta di Paolo Colonnello

Tangenti, assolto Mazzotta Prosciolto dalle accuse di corruzione e finanziamento illecito Tangenti, assolto Mazzotta L'expresidente Cariplo: «Anni dolorosi» Paolo Colonnello MILANO Nel febbraio del 1094 lo shock dell'arresto e delle accuse brucianti: corruzione e finanziamento illecito ai partiti. Ieri, novembre 1999, l'assoluzione in appello con formula piena' «per non aver commesso il fatto». In mezzo, per Roberto Mazzotta, ex parlamentare De e potentissimo presidente della Cariplo, la più importante cassa di risparmio del mondo, ci sono stati, parole sue, cinque anni di sofferenza. «Sono stato - ha detto ;2ri la sentenza emessa dalla seconda sezione della Corte d'Appello - liberato da un fardello che da cinque anni sembrava schiacciarmi moralmente». Dopo i giorni del carcere, ad Opera, e degli arresti domiciliari, un mese in tutto, Mazzotta al processo di primo grado si era visto riconosciuto colpevole e condannalo a 4 anni di reclusione con obbligo di risarcimento di due miliardi al Fondo Pensioni Cariplo e di 60 milioni a un gruppo di sindacati che si era costituito parte civile, oltre all'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Condanna confermata anche in secondo grado nel 1997. E' stata la Cassazione, l'anno scorso, a restituirgli un po' di speranza, annullando la sentenza d'appello sulla base del 513, l'articolo riformato di procedura penale che prevede l'obbligo per i testimoni coimputati di ripetere le proprie accuse in aula. Ma al nuovo processo, e anche questo sarà fonte di future polemiche, nessuno si è presentato. «Spettava all'accusa l'onere della prova e quindi della chiamata dei testi commutati», spiega l'avvocato Piero Dina, «ma evidentemente il pm d'udienza, il sostituto procuratore generale Ugo Dello Russo, non si è sentito sicuro di quanto avrebbero potuto dichiarare i coimputati e così non ha convocato nessuno. Anche perché non posso pensare che si sia trattato di una semplice negligenza. E prove documentali e semplici testimonianze non sono bastate a condannare il mio assistito». E non sono bastate nemmeno a confermare la condanna (tre anni e 10 mesi) per l'ex tesoriere della De, Severino Citaristi, che si è visto assolvere dalla corruzione «per non aver commesso il fatto» e dal finanziamento illecito ai partiti «per prescrizione del reato». Eppure proprio Citaristi, negli interrogatori, aveva ammesso di aver ricevuto tangenti da due immobiliaristi: «Quando sono arrivati con i soldi, ho immediatamente pensato che li avesse mandati Mazzotta... Mi disse che sarebbe venuto da me un certo Gargantini che avrebbe fatto una contribuzione per il partito. Analogo discorso vale per l'altro, Borgonovo». Il primo versò 1 miliardo e 780 milioni per vendere tre palazzi del valore di 97 miliardi, il secondo pagò 600 milioni per vendere un immobile, sempre alla Cariplo, di 45 miliardi. Ma nessuno di loro si è ripresentato in aula per confermare le accuse. Altri imputati eccellenti, nel corso del lungo iter giudiziario, erano stati inquisiti e poi assolti: Bettino Craxi, per non aver commosso il fatto, e Paolo Berlusconi, dopo un'iniziale condanna, per prescrizione. Ma dei 30 imputati che vennero rinviati a giudizio, 21 uscirono con il patteggiamento. L'inchiesta era nata nel 1994, condotta dai pm Antonio Di Pietro e Raffaele Tito. Si appurò che per vendere alcune case al Fondo Pensioni Cariplo, alcuni imprenditori avevano versato tangenti a De e Psi. Ben 300 milioni vennero consegnati dall'ex consigliere Cariplo, Carlo Polli, negli uffici di Piazza Duomo di Craxi e girati dalla sua ex fedelissima segretaria Enza Tommaselli al defunto tesoriere del partito Vincenzo Balzamo. Per Berlusconi invece si parlò del versamento di un miliardo e 200 milioni destinati a De e.Psi. L'imprenditore però si difese dichiarando che quei soldi, effettivamente versati per la vendita di tre immobili a «Milano 3» al Fondo Pensioni Cariplo, non erano tangenti ma «l'effettivo compenso di un'intermediazione» svolta da tal Giuseppe Clerici che aveva voluto essere pagato in nero.

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