Arafat e Barak «compagni-nemici» di Enrico Benedetto

Arafat e Barak «compagni-nemici» Arafat e Barak «compagni-nemici» // congresso li applaude ma le divisioni restano Enrico Benedetto corrispondente da PARIGI Miracolo all'Internazionale socialista. La stella eli Davide azzurra che campeggia sulla bandiera israeliana o la kefiah bianconera palestinese trascolorano in rosa. Il XXI congresso accoglie fra gli applausi Ehud Barak e Yasser Arafat. La storia li ha divisi, ma il socialismo democratico li ricongiunge. Membri - entrambi - dell'Is, vengono a testimoniare ima fede comune ancorché problematizzata dalla crisi mediorientale. Esordisce Barak sul palco. «Imporro la pace a una regione socialdemocratica è più facile» osserva, destando qualche perplessità fra il pubblico. Ma in l'ondo ha qualche buona ragiono per dirlo. D'accordo, il laburismo israeliano è atipico e con i suoi trascorsi Al Fatali testimonia un iter eterodosso. Rinunciare allo bombe fu nondimeno la sua Rad Godesberg. Morale, oggi nessuno osa pili contestarne la natura democratica. E tuttavia, ascoltandoli un senso di festosa meraviglia pervadeva ieri l'assemblea. Quando Arafat conclude l'allocuzione, Barak gli solleva il braccio. 1 fotografi - in guerra da lunedì con un Internazionale troppo regolamentatrice, come direbbe Tony Blair - si lanciano felici verso la strana coppia. Il pubblico applaude. Compagno Yasser, qua la mano! Domanda: bisogna considerarli amici separati o avversari che cercano la riappacificazione? A Oslo, Gerusalemme, Il Cairo... e ovunque la complessa pace mediorientale vada in tournée, è la seconda ipotesi che vale. Ma Parigi rovescia per un attimo gli stereotipi trasformando il duello israelopalestinese nella classica querelle di fami¬ glia. E l'ampio parentado in sala - quasi 180 organizzazioni politiche - apprezza la toccante scena madre. Dev'ossere lo charme della «Vie en rose», corno diceva Edith Piaf. L'abbraccio, tuttavia, non eclissa il fiele. Arafat. martella sulla risoluzione 242 Onu, suo vecchio cavallo di battaglia. So lo ribrandisce, il motivo è semplice. Domenica scorsa Ehud Barak dichiarava - rallegrando il Likud - che lo sgombero dei Territori concerne diilan e Sinai, ma non la Cisgiordania. Testimone l'Is, il «camarade» Yasser vuole impartirgli una lozionicina con i fiocchi invocando la sacra «legalità internazionale». Barak non cedo. Appena un contentino: «Smantelleremo le colonie illegali», esigua minoranza. Eppure «salam» - pace: unica parola intelligibile per la maggioranza di uomini e donne in sala - riaffiora spesso nell'allocuzione palestinese. Pur guardandosi dell'indicare tempi e modalità, Arafat ci crede, E coglie l'occasione per invitare l'Internazionale a Betlemme, festeggiando «il secondo millennio di nostro Signore Gesù». Choc in aula. Dopo l'eresia liberal di Tony Blair, ecco l'inno a Cristo versione Arafat: un vecchio anticlericale come Pierre Mauroy freme sulla poltrona. Ehud Barak azzarda un approccio meno imaginifico. Menziona sì tre passaggi scrit¬ turali, scegliendo per la chiusa il messianismo profetico «L'uomo siederà in pace all'ombra della vite», ma è la Realpolitik che gli preme. «Prenderemo le decisioni necessarie, dolorose o meno». «I sacrifici non spaventano Israele». «Cerchiamo un compromesso equo con un avversario. La pace non è atto d'amore». Vanterà financo le «barriere» che nel dopo-guerra divideranno israeliani e palestinesi. «Ma la cooperazione rimane fondamentale sul piano economico», precisa. Gli piacerebbe, e si vede, che sul podio non ci fosse Arafat bensì Assad. Corteggia da mesi Damasco Invano. A Parigi rilancia l'iniziativa definendolo un «leader coraggioso», nella speranza che il ministro degli Esteri francese Hubert Védrine - da stamane in Medio Oriente possa sbloccare la situazione. Arafat si associa. Usciranno insieme dall'anfiteatro. Come due vecchi nemici.

Luoghi citati: Betlemme, Cisgiordania, Gerusalemme, Il Cairo, Israele, Medio Oriente, Oslo, Parigi