Berlusconi show alla cortina d'Italia di Filippo Ceccarelli

Berlusconi show alla cortina d'Italia IA CERIMONIA DEL CAVALIERE AL PALAZZO DEI CONGRESSI Berlusconi show alla cortina d'Italia «Cari compagni, cambiate mestiere anche da noi» reportage Filippo Ceccarelli ROMA D A sperimentato e insuperabile uomo di comunicazione, Silvio Berlusconi si conferma l'unico in grado di inventare riti politici. Ieri, al Palazzo dei congressi dell'Eur, ha instaurato la cerimonia del Muro, una specie di 25 aprile alla rovescia debitamente adeguata alla fine del comunismo, all'entertainment e alle elezioni che si avvicinano. Alla fine del comizio, tra gli applausi che salivano, la musica che s'impennava («Dai, Forza Italia, è tempo di credere...») e le bandierine (tutte dello stesso formato e con le aste ben flessibili) che sventolavano, Berlusconi ha aperto le braccia e con le palme aperte verso la sua platea ha prodotto una lenta e solenne rotazione del busto a 180 gradi. Probabilmente la sequenza rispondeva a logiche di ripresa tv, e tuttavia con quel movimento quasi sacerdotale pareva davvero trasmettere e insieme ricevere energia. Scenografico e cerimoniale, a pensarci bene, era anche quel¬ la specie di pulpito o altare azzurrino da cui ha parlato. Nessun altro era dietro di lui; il gruppo di coristi in blu è rimasto a cantare per qualche minuto; il palco non esisteva proprio; i maggiorenti seduti in prima fila; sparsi i «guerrieri» del servizio d'ordine, pelati o imbrillantinati e con l'auricolare. Alle spalle di Berlusconi c'era l'oggetto del culto e della festa in morte del comunismo: il Muro, o meglio il suo simulacro ambivalente e multiuso. Inizialmente il Muro è apparso velato con un lenzuolone grigiastro, da quinta teatrale. Il discorso bcrlusconiano, sui disastri del marxismo, scorreva piano, semmai un po' pedagogico. A un certo punto, anzi al punto giusto, i riflettori hanno puntalo lì e, zac, il velo è caduto. Al posto di quello che Berlusconi aveva definito «plumbeo monumento al dio che e fallito», s'è potuta vedere una parete gialla divisa in tante sezioni che corrispondovano ai «sassi», alle «pietre», ai «macigni» del Muro non di Berlino, ma dell'Italia governata dai nemici di Berlusconi, che per qualche beffardo malinteso della storia sono gli eredi del comunismo malvagio e sconfitto, anzi comunisti tout court. La trovata scenica è stata assai apprezzata, anche perché dopo il disvclamcnto Berlusconi ha chiesto «c'è un altro microfono, per favore?» e avutolo si è messo a predicare passeggiando come faceva alle convention della Fininvcst o di Publita- lia. Ogni macigno del Muro dell'Italia 1999 funzionava come elemento polemico, programmatico ed eventualmente elettorale del suo partito. Ce n'erano una ventina: alcuni precisi («il monopolio statale nella scuola», ad esempio, «la carriera dei giudici e dei pm», «l'oppressione fiscale», «la gestione politica dei pentiti», «l'occultamento dei dossier scottanti»); altri un po' generici («l'invadenza dello Stato» o «l'occupazione del potere»); altri ancora quasi iniziatici («i metodi e le abitudini di sempre della sinistra»). Tutti comunque scelti a immagine e somiglianza del leader di Forza Italia, compreso «l'uso strumentale del conflitto d'interessi». Consapevole che i riti - anche quelli più artificiali - hanno sempre un che di ripetitivo, Berlusconi li ha trattati uno a uno. L'espediente narrativo è riuscito. Alla fine s'è riservato una parte libera per l'affondo. «Il ballo in maschera sta per finire» ha attaccato. AU'«Italia in maschera» del governo D'Alema ha contrapposto, con reminiscenze parzialmente virgiliane - humilemque videmus Italiani - un'«altra Italia umile e tenace». Ha anche detto che il centrosinistra non ha né la legittimità, né la capacità, né l'autorevolezza per governare. Poi si è rivolto direttamente ai «cari compagni),: «Cambiatemestiere - li ha ammoniti - smettete di fare politica». «Cari compagni - insisteva - avete il muro in testa che vi impedisce di abbrac¬ ciare la bellezza della verità» «Cari compagni...» e qui uno in platea s'è inteso male. Confusione in sala e trovata geniale del miglior Berlusconi: «Ecco, vedete, soltanto l'evocazione di que sta parola produce dei disa stri!». Sorrisone, applausi. Meglio dell'invettiva, un tan tino articolata, sulle «mani sporche dei rubli che grondano il sangue del totalitarismo so vietico». Ottimo dal punto di vista recitativo, anche se già sentito, il racconto-barzelletta dei diessini paragonati a quel parroco che dopo trent'anni di attività pastorale dice ai fedeli che Dio non esiste, non è mai esistito, però «ci sono io, conti nero a occuparmi di voi». Le signore ridevano, facevano sì sì con la testa e si sono spellate le mani. Il Palazzo dei congressi era strapieno, sulle scale una ban da paesana, all'ingresso banca relle piene di «Libro nero del comunismo» e «Oro da Mosca» Un documentario sugli orrori del XX secolo (Togliatti, depor tati, Stalin, neve, Malenkov processi, esecuzioni) ha prepa rato l'atmosfera. Alla fine ha stretto mani per un quarto d'ora e s'è fatto fotografare con la Carlucci e un disoccupato organizzato napoletano, a nome Salvatore Lezzi. DEL 198!

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