L'autocondanna del favorito di Mitterrand di Enrico Benedetto

L'autocondanna del favorito di Mitterrand STORIA DI UN GRAN COMAAIS CHE VENIVA 0A SINISTRA L'autocondanna del favorito di Mitterrand Per «Michel il Pio» una lunga corsa da Bayonne al forziere del mondo personaggio Enrico Benedetto corrispondente da PARIGI PER sapere se ho cliretto bene il Fondo Monetario, dovrete pazientare sino al Giudizio universale» ironizzava Michel Camdessus il 10 gennaio. Ma undici mesi - e uno scandalo russo più tardi, arriva la sentenza anticipata. Con le dimissioni, il Banchiere del Mondo firma la sua autocondanna. Nel dicembre 1985, quando indisse la prima conferenza stampa nella storia della Banque de France, dichiarò: «11 governatore è legato da un giuramento alla sua missione. Se è uomo d'onore e gli vengono a mancare i mezzi per onorarla, ha il dovere di andarsene». I mezzi, il sessantaseienne grand commis della Gauche fiancese prestato al capitalismo planeta¬ rio, li aveva: un budget da 300 mila miliardi annui, più i fondi straordinari. Ma ha perso in compenso il bene più prezioso per un discepolo, come lui, di Teilhard de Chardin: la fiducia di chi lo circonda. E dire che il suo talent scout Francois Mitterrand gli preconizzava un'apoteosi economica senza rivalfnel XX Secolo. E quasi ci azzeccò: settimo boss del Fmi, ma il primo - e verosimilmente l'ultimo - a guadagnarsi un triplice mandato. Quello iniziale lo strappò complice il leggendario lobbysmo francese nelle istanze internazionali. Ma per i successivi, furono la sua energia e irreprensibilità a valergli l'appoggio americano malgrado i periodici mugugni del Congresso che lo accusava da sempre di sperperare i dollari altrui in Paesi da bancarotta cronica. Nasce povero, Michel Camdessus. Ma la ricchezza - come amava ripetere - diverrà il suo contrappasso terreno. Non che l'inse¬ guisse davvero. La sua è una famiglia piccolo borghese, devotissima e caritatevole come di regola nel Paese basco francese. Da Bayonne, può raggiungere la Spagna in bicicletta. Ma per immergersi nella letteratura iberica sceglierà, un ventennio dopo, Parigi. In fondo, è anche alla lingua di Cervantes - parlata in modo impeccabile, laddove il suo forbito inglese zoppicava nella pronuncia - che deve la sua carriera di grand argentier senza frontiere: la sua candidatura sedusse per primi proprio i Paesi latino-americani. Restituirà il favore salvando il Messico da una crisi monetaria ben più esiziale, in prospettiva, di quella asiatica. A Parigi lo attende l'Ena, grande scuola per eccellenza. Già alle soglie della sessantina, confiderà: «Sono un funzionario pubblico per istinto atavico». Servire lo Stato. In Francia si usa ancora. E la sporca Guerra d'Algeria - «ne ho visti, di poveri, laggiù: porterò sempre con me» - non lo distoglie dalla meta. Nel Maggio '68 CohnBendit occupa la Sorbona. Lui, invece, entra alla direzione del Tesoro. Ne diverrà il direttore agli albori del mitterandismo. E' il 1982. Michel Camdessus ha la eterodossa reputazione di banchiere terzomondista. E' dal '78 che presiede il Club de Paris, ove debitori e creditori non dialogano più per interposte ingiunzioni di pagamento ma cercando insieme prospettive eque per lo sviluppo nei Paesi Terzi. Mitterrand ne apprezza i talenti da missionario laico prestato alla finanza. Se nel 1984 si ritrova governatore, quindi supremo angelo custode del «franco forte» e suo paladino nell'eterno duello con il marco, il merito è anche dell'Eliseo. Ma per Camdessus inizia un doloroso fuoco incrociato. La Destra tende a considerarlo «Michel il Rosso», lupo socialista introdottosi nella caveau della nazione. E la Gauche un transfuga che ormai flirta con il monetarismo. Solo tra le file del cattolicesimo sociale cui la Francia deve un certo Jacques Delors - trova comprensione. Ma già la carriera incalza. Nel 1987 eredita la poltrona, ambitissima, di direttore generale Fmi, spuntandola sul candidato olandese. Oltreoceano le reticenze abbondano. Lo si definisce «french socialist», e quel «francese» suona da imperdonabile aggravante. Trasloca oltreoceano, Camdessus. E inizia a ritagliarsi il proprio mito. «Umanista della globalizzazione» dirà qualcuno. Stupisce i suoi grandi elettori trasformandosi in un infaticabile globe trotter. Salvo che nelle litanie, detesta la Torre d'Avorio e i suoi emuli contemporanei: i grattacieli. «Liberation» lo definirà «il Wojtyla dell'austerity». Ma lui nega. «Predico soltanto il buongoverno. Al Fmi siamo i responsabili della prosperità e dell'equilibrio universali». E nel '94, quando il peso s'inabissa minacciando gli stessi Usa, scucirà a Bill Clinton con eguale fermezza il piano Marshall monetario che salverà dal baratro mezzo Continente. Per Camdessus, padre prolifico (6 figli) e profeta della mondializzazione controllata («è uno scenario pericoloso: oggi gli uomini sono dei mutilati dell'universale!»), è il trionfo. Ma il bis gli riesce solo a metà. Nella recessione lampo malese-indonesiana, elle taglia le gambe alla Thailandia e piega il Giappone, fioccano le prime accuse di scarso tempismo e chiaroveggenza. Ormai cammina sul filo. E con le malversazione russe, il funambolo Camdessus inizia a ondeggiare pericolosamente nel vano tentativo di ritrovare l'equilibrio. «Forse sono démodé» confiderà «ma le critiche rivoltemi peccano di passatismo. Si vorrebbe che il Fmi non si sporcasse le mani con il nepotismo e le collusioni. E invece sì! Dobbiamo occuparcene, a costo di farci lapidare sulla pubblica piazza». Ma la lucidità dell'autoprofezia non esclude colpe o manchevolezze. Così il Gran Sacerdote dell'equilibrio economico esce di scena. «Non avevo il Dna giusto per fare il politico» confidava tempo fa: «Ho solo voluto impegnarmi per il mio prossimo. Ecco tutto». Il presidente francese Francois Mitterrand fu il primo dei grandi elettori di Camdessus (nella foto grande) nel 1987