Christa Wolf: il coraggio che ci è mancato

Christa Wolf: il coraggio che ci è mancato La controversa scrittrice dell'ex Ddr confessa: non pensavamo che il regime sarebbe crollato Christa Wolf: il coraggio che ci è mancato Alessandra Orsi BERLINO •w IN coincidenza con l'anniversario del 9 novembre la casa I editrice tedesca Luchterhand I inizia la pubblicazione dell' ÌLI opera di Christa Wolf in 12 volumi, completi di accurata esegesi critica. Ma il numero è probabilmente destinato a crescere, visto che l'autrice tedesca scrive con regolarità: è da poco uscito infatti un volume di Premesse al suo romanzo più recente e che l'editore e/o pubblicherà in italiano a fine mese con il titolo L'altra Medea. Quest'iniziativa editoriale non proprio consueta ha dunque il valore di una consacrazione tra i classici, perché inserisce Christa Wolf nell'universo culturale della letteratura tedesca, mettendo a tacere le polemiche sul carattere marginale che avrebbe la sua opera in quanto rappresentativa di un paese politicamente ormai estinto. Polemiche che si sono riaccese con la rivelazione del suo coinvolgimento nella Stasi. Del resto poco tempo fa Giinter Grass ha dichiarato che avrebbe volentieri condiviso il premio Nobel proprio con la più importante scrittrice tedesco-orientale. Ma Christa Wolf è d'accordo sul fatto che la cultura sia s; .ito un elemento unificante tra i due stati tedeschi? «Se ci si riferisce alla cultura in generale, è vero quel che dice Gùnter Grass. Se si parla invece di letteratura in un senso più ristretto, credo sia necessario fare delle differenze. Il mio era un caso un po' particolare perché, già prima dell'89, ovvero prima di quella che si chiama die Wende, la svolta, i miei libri venivano letti sia a est che a ovest, anche se non allo stesso modo. Ognuno prendeva quel che gli interessava e spesso si trattava di cose diverse. Con l'unificazione si è tentata una definitiva resa dei conti con la letteratura della Ddr e i giornali mi hanno spesso utilizzata come capro espiatorio. Non credo che ciò si possa negare, perché c'è stata molta approssimazione e molta aggressività, e in alcuni casi questo ha coinciso con la volontà di autolegittimarsi da parte di chi un tempo era stato di sinistra e da quel momento ha sentito la necessità di negarlo». Per lei la Ddr continua invece a essere un tema su cui lavorare? «Sì certamente, per quel che mi riguarda questo è e resta il tema di cui voglio occuparmi. E vedo che questo interessa ancora le generazione più giovani. Credo che il conflitto esploso con 189 sia un conflitto tra identità e tale continua a essere. La posta in gioco era stabilire chi deteneva la sovranità interpretativa sulla storia - così come sulla cultura - della Germania del dopoguerra. E così si è cercato con una Semplice formula di dire: la storia e la cultura della Ddr sono del tutto prive di valore. Poi, col tempo, si è visto che questa parola d'ordine non poteva funzionare, o almeno non del tutto. Quello che sta succedendo adesso a livello politico, dove per esempio una città come Berlino risulta praticamente divisa dagli ultimi risultati elettorali, dipende anche da quella svalutazione totale, perché in fondo non si è voluto ammettere che nella Ddr si era formata un'altra identità tedesca. Un'identità che naturalmente si poteva e si doveva criticare, ma forse una critica analoga doveva valere anche per l'ovest. Credo che la letteratura abbia il compito di descrivere questa identità, come è nata, come si è formata e perchécome viveva la gente e cosi via. E debba raccontare naturalmente anche la rottura che peri tedeschdell'est è stata totale e non ci si può stupire che oggi alcuni di loro reagiscano a quel trauma». Eppure l'ottimismo era giustificato dal fatto che era crolla¬ ta una dittatura e fare previsioni negative all'epoca era un po' da Cassandra, non crede? «E' vero, ma più che altro non si voleva dirlo o ammetterlo perche intanto prevaleva l'ottimismo forzato. Si diceva: c'è l'unificazione e ormai siamo un solo popolo. Ma anche questa è un'affermazione quantomeno da discutere. Quali sono state le conseguenze di una divisione durata quarantanni? Di fatto, ciò che è avvenuto è l'assorbimento delle regioni orientali da parte della Germania ovest e oggi si nota che non tutti sono contenti del modo in cui è avvenuto». Pensa di avere qualcosa da rimproverarsi guardando oggi al passato? «Naturalmente ci ho riflettuto molto. Non posso certo dire di aver fatto il tutto per tutto in ogni situazione o di aver mostrato il massimo del coraggio, perché probabilmente a volte non ho agito come sarebbe stato necessario. Ma questo si deve anche al fatto che tutti partivamo dal presupposto che la Ddr sarebbe continuata a esistere. Con tutti intendo anche i fautori dell'unificazione, compreso Kohl, perche non era pensabile che la Ddr si sarebbe estinta così in fretta. Cosi si è cercato di cambiare lo stato in cui vivevamo, e al tempo stesso di non trascinarlo a un punto di destabilizzazione tale da farlo crollare. Oggi questo può sembrare ambiguo, ma onestamente, guardando il contesto storico, non vedo cosa si sarebbe potuto fare di diverso. Si può dire che scrivere, paradossalmente, abbia avuto un effetto stabilizzante, incoraggiava chi voleva esercitare una critica dall'interno, un'opposizione costruttiva, ma forse non favorì una rottura brusca. Erano voci che il governo cercava di mettere a tacere, perché rappresentavano un'altra morale. Da un certo momento in poi, è stata proprio questa critica al sistema il principale conflitto tra il governo e una parte degli intellettuali. Ma dall Urss il messaggio che arrivava a Honecker era esattamente l'opposto e in alcune fasi il nostro conflitto è stato anche molto duro. La grande cesura è avvenuta quando Wolf Biermann è stato privato della cittadinanza, nel 1976. In quel momento si è capito chiaramente chi stava da una parte e chi dall altra e l'interrogativo è diventato: come ci si muove all'interno di questo conflitto? Il confronto tra gli intellettuali è stato molto importante, ma sinceramente guardando la situazione oggi non so cosa avremmo potuto fare di diverso perché in seguito non è cambiato quasi niente, anche se su quella questione riuscimmo a essere tutti molto chiari». «Ma a Ovest è prevalso l'ottimismo forzato Si diceva "siamo un solo popolo", senza tenere conto di una separazione durata 40 anni» Giinter Grasse a destra Ch rista Woìf; l'intervista integrale di Alessandra Orsi alla scrittrice, che nei suoi romanzi ha raccontato la Ddr, andrà in onda oggi su Radiotre (fra le Mele 19)in uno speciale dedicato alla caduta del Muro