«Noi tristi cittadini del paradiso d'Occidente» di Emanuele Novazio

«Noi tristi cittadini del paradiso d'Occidente» IL DIFFICILE PASSAGGIO AL CAPITALISMO «Noi tristi cittadini del paradiso d'Occidente» Una famiglia dell'Est racconta dieci anni di speranze e delusioni la storia Emanuele Novazio inviato a LIPSIA IL giorno che il Muro cadde Margot Weber voleva accompagnare a scuola Idina, la figlia minore di sette anni. Se lo ricorda bene quel mattino prima che tutto succedesse, prima che Guenter Scabowski dicesse alla tv quasi per caso e sorridendo che «i confini per i viaggi individuali si sono aperti e da subito, per quanto ne so io che faccio parte del politburo». Il giorno prima, Idina era tornata con una domanda che li aveva mandati in bestia, lei suo marito Kurt e il figlio più grande Thomas: «Il nostro nemico è davvero lo zio Hartmut?», aveva chiesto. Frau Knebnet, la maestra, aveva fatto una lezione sul «confine costruito per difenderci dai nemici che stan¬ no in Occidente», dove per l'appunto lo zio Hartmut era scappato 10 anni prima costringendo la famiglia a dire in pubblico «di non avere più sue notizie». Il mattino del 9 di novembre, dunque, Margot voleva parlare alla maestra, anche se la sua «non sarebbe stata una protesta ma piuttosto un modo per capire se c'era stata un'allusione diretta ad Hartmut e a tutti noi, 0 se si trattava di un'idea generale». All'ultimo tuttavia ci aveva rinunciato, era andata a comprare salame per la cena: per paura che «quella figlia del partito sempre vestita di scuro come in divisa si ritorcesse con Idina». In cucina c'era ancora il cartello che Thomas preparava per la manifestazione di domenica di fronte al «Runde Ecke», la centrale della Stasi dalla facciata arrotondata che da settimane era luogo d'incontro per 1 gruppi civici in fermento: «Libertà per i nostri amici cinesi!», diceva il cartello. Margot si ricorda di aver pensato che non le piaceva, come si stava comportando quel suo figlio quindicenne sempre pronto a mettersi con qualcuno e nei guai. Oggi che siede attorno al tavolo da pranzo di ciliegio con Idina all'ultimo anno di ginnasio ma troppo timida per dire una parola, con Thomas impiegato in prova nell'ufficio di un commercialista «occidentale di Amburgo», e con suo marito Kurt a raccontare cos'è stata la vita dopo «l'ingresso in Occidente», quella mattina continua a tormentarla: e lo si vede da come si stira con le mani il golf e poi la gonna. Perchè ripensare alla maestra è diventato il suo modo di rispondere alla domanda che mille volte le hanno fatto, in questi anni nei quali «sono entrata nei cinquanta»: «Non v'è rimasta nostalgia, siete contenti in tutto?». Mentre dalla cucina arrivano Salzgurken, i cetrioli in salamoia della Sprea, salsicce di fegato tritato e dolci di riso e noci che si dovrebbero mangiare soltanto a Natale, gli Erndusskekse, è Kurt a cercare una risposta nella sua biografia di «idraulico cinquantatrenne in attesa permanente di occupazione». «Quando il Muro si è aperto guadagnavo meno di ottocento marchi orientali alla 'Banner des Friedens', la fabbrica di scarpe Bandiera della Libertà dove non c'era bisogno di tessere politiche, ed eravamo in quattro a viverci. Affitto, luce mangiare e vestirsi i due terzi, il telefono non c'era, alla fine del mese non rimaneva niente ma non ci sentivamo in povertà». Kurt oggi vive con un sussidio pubblico «che tradotto in marchi di prima farebbe tre volte tanto», e che se in pratica consente di «non privarsi delle cose indispensabili», impone cautele: ferie in zona, nell'ex casa di campagna di un funzionario del partito trasformata in pensione a buon mercato per famiglie; spesa all'ingrosso; niente macchina, «anche se era stata il primo pensiero appena dopo l'unità e dopo il cambio in parità fra marchi concesso nel luglio del '90»; lo stesso appartamento di tre stanze alla periferia orientale e mai rinnovato, nonostante le promesse, per 560 marchi al mese. Dunque? «Dunque se allora dovevamo stare attenti a non comprare un chilo di mele di troppo, adesso dobbiamo stare attenti a non guardare troppa pubblicità alla tv: perchè poi uno fa un giro nei negozi e quella roba la trova per davvero, e se non se la può permettere è peggio di prima con le mele». E' nella pubblicità televisiva che l'Occidente mostra il suo volto più brutale e l'Est la sua subordinazione rassegnata, dieci anni dopo la caduta del Muro di Berlino? E' nel brusco contrasto economico fra Est e Ovest, che il fragore della libertà si annacqua in centinaia di miglia¬ ia di tedeschi usciti dal tunnel della dittatura comunista? Thomas non ci crede: «I miei genitori appartengono alla Germania divisa e dunque all'Est, io sono tedesco e basta», rispondo. Ma la volta che da ragazzino si fermò davanti al Muro, l'Ovest gli apparve l'altra metà del mondo, un sogno e insieme «l'idea che noi dovevamo restare qui per sempre». Quell'immagine di frontiera invalicabile se non al prezzo della fuga gli è rimasta come il segno di un passato che gli fa provar vergogna, oggi che lavora con «uomini di Amburgo» e guida un'Opel Tigra di seconda mano da pagarsi a rate «Finirà che lascio Lipsia che puro è diventata così bella, anche se non credo che qui sia peggio che vivere ad Amburgo». Come diro che la normalità è comunque altrove, è all'Ovest? Margot non ci crede: «Non ho mai pensato che al di là del Muro ci fosse il paradiso», dico. Anche quando sembrava che il Muro «fosse una montagna e invece era soltanto un muro». Anche quando quella sera scesero tutti e quattro in strada a piangere e non sapevano se era quello il modo giusto per fare festa. Il problema dieci anni dopo è un altro, ammette Margot che di nuovo si stira la gonna con le mani: «Dov'è rimasta, quella gioia che sembrava non voler finire?». Un manifestante protesta contro le celebrazioni a Berlino per i dieci anni della caduta del Muro tra le due Germanie

Persone citate: Ecke, Guenter Scabowski, Margot Weber

Luoghi citati: Amburgo, Berlino, Germania, Hartmut