Quando la Storia attraversò Berlino di Barbara Spinelli

Quando la Storia attraversò Berlino Così «La Stampa» raccontò la grande febbre di quei giorni della riunifìcazione Quando la Storia attraversò Berlino si E potessero, i berlinesi non finirebbero mai la festa del Muro che crolla, e delle due Germanie che si ritrovano, si rigemellano. In.lontane capitali si discute con^oculata cura del futuro, si discetta sulla riunificazione tedesca che fa sperare o disperare, tremare o pensare, a seconda. Non qui a Berlino Ovest, dove il cuore batte più confusamente e dove non c'è altra fame che di febbre. Febbre è negli occhi della gente accampata da giorni alla Porta di Brandeburgo, nell'attesa che anche lì si apra una crepa nel Muro e che la Storia passi attraverso le dodici colonne neodoriche come tante volte in duecento anni: come Napoleone nel 1807, come i comunisti insorti nel 1919, come le milizie naziste nel '33, come i ribelli anticomunisti infine, che il 17 giugno 1953 corsero fino alla mitica Porta e le strapparono di dosso la bandiera rossa. Adesso i berlinesi corrono al Brandenburg Tor perché la febbre non si spenga, perché la Storia non passi loro accanto senza vederli. Interpellati, non ripetono altro che questo: che intendono «esser lì dove si fa la storia mondiale», che vogliono aver qualcosa da raccontare ai nipoti. La Germania si risveglia, e i berlinesi sono di nuovo al centro di un turbine, ma pacifico. Alla riunificazione non vogliono pensare, perché la riunificazione metterebbe fine a tutta questa febbre. Neppure il Muro vorrebbero veder completamente abbattuto, perché finché c'è muro c'è speranza di ebbrezza. «E' come un raptus mistico mi dice uno studente che ha atteso alla Porta di Brandeburgo -, è come vivere in prima persona il Fidelio di Beethoven. Ricorda? Quando i prigionieri escono dalle galere, a frotte...». Già, sembra quasi un'opera: se potesse, Berlino Ovest ricostruirebbe ogni giorno un po' di Muro per provare - all'infinito l'ebbrezza dei suoi crolli successivi. «Il Muro è ormai conficcato nei nostri cervelli», scrive il romanziere Peter Schneider, e dice con perfezione quello che nelle lontane capitali si scorge più difficilmente. Dice l'affetto segreto, inconfessato, che i berlinesi provano per questa frontiera che divide ma anche movimenta le esistenze, che separa fratelli o amici ma è anche un formidabile vaccino contro la noia capitalistica che dilaga, e divide non già i popoli ma certamente gli individui. «Il Muro che si sbriciola a piccoli pezzi, non completamente, avvicina i tedeschi senza però uniformarli - mi dice un giornalista dei gruppi alternativi -, permette alle opposizioni tedesche orientali di pensare una terza via, tra capitalismo e comunismo, e non a caso queste ultime tremano all'idea che la frontiera scompaia troppo presto, che venga la riunificazione». Per gli abitanti di Berlino Est il 9 novembre è stata una notte magnifica, liberatoria. Non così por i principali leader della contestazione, che hanno visto trionfare il consumismo, non gli ideali democratici di sinistra. Lo stesso bisogno - inconfessato - di Muro si percepisce infine nei Verdi tedeschi, in certi discorsi socialdemocratici, e in numerosi intellettuali della Repubblica Federale: non di Muro impenetrabile naturalmente, ma sempre più permea- bile. «E' come vivere il Sessantotto», mi dice a Berlino Ovest Wolf. Lepenies, direttore del Wissenschaftskolleg, l'istituto di studi avanzati che corrisponde all'istituto americano di Princeton. Anche lui è risiile alla riunificazione, vorrebbe preservare due Stati ben distinti, mentre le società si mescolano e le economie tendono a integrarsi. Sociologo, Lepenies fa la spola fra le due Germanie e mi racconta come sia esaltante quel che accade a Est: «E' come il Sessantotto perché le discussioni politiche sono ancora così appassionanti, profonde. Perché non c'è la noia né la disillusione che è subentrata da noi, e gli oppositori ancora ritengono possibile un'alternativa socialista al capitalismo - democratica ed ecologica - e ancora credo¬ no a qualche utopia, ancora non si sono l'atti fagocitare dal mercato che unifica, e alla maniera di Fukyama mette fine alla storia piuttosto che ricominciarla sempre. Per parte mia vorrei che lo Stato orientale sopravvivesse, e assieme ad esso l'identità di una cultura politica diversa dalla nostra. Alt riment i non avremo che l'Europa del 1992. Nella riunificazione, l'immensa forza intellettuale dell'Est sbiadirebbe, inghiottita da Bonn». Lo stesso Lepenies, tuttavia, sostiene che la crisi economica di Berlino Est è tale che solo la sua incorporazione nella Germania Federale può consentire una guarigione vera dei mali comunisti. «La prospettiva non mi piaci; politicamente, ma sul piano economico capisco che non esiste alternativa. Lo dicono gli esperti economici, più o meno apertamente. La terza via può partorire nuove miserie, e la sopravvivenza di uno Stato distinto creerà una società o tli consumatori, o di sudcoreani». E prima o poi potrebbe aprirsi un divario, tra l'opposizione e la gente che si riversa a Ovest, che magari vota a sinistra ma è indifferente alle terze vie. 1 contestatori più duri, a Lipsia e Diesda, già cominciano a chieder!! la riunifìcazione. Strana rivoluzione dunque, quella tedesca orientale, Per la Germania è una «première» un 1848 quasi riuscito ma al no tempo stesso e talmente intrisa di vecchio idealismo tedesco (romantico-protestante, non violento e fieramente impotente) e talmente diversa dai sommovimenti polacchi, ungheresi, cecoslovacchi, dove le terze vie sono screditate. Fatta dal popolo soltanto, la rivoluziono tedesca è per ora imprevedibile, etichettabile a piacere. In suo nomo lo sinistre potrebbero chiedere chi: gli americani so ne vadano, e che in un'Europa allargata - in una futura Casa Comune - le duo Germanie possano tentare avventuro affatto originali, confederandosi ma restando distinte. Così sognando sperano molto più in Gorbaciov, che in Bush o nel 1992 unificante; e se Gorbaciov vorrà non saranno cont rarie a uno speciale rapporto con l'Urss pur di ottenere questo diritto all'originalità. D'altronde la Germania ha la potenza economica por strapparlo, una volta integrate le due economie. Tutto questo non sarà poro semplice, perché i moderati democristiani e socialdemocratici resisterebbero, corno Adenauer nel '52. Ma le controversie non mancheranno. La noia descritta ha Handko è finita. I cieli sopra Berlino promettono novità, e il Sessantotto - mai morto in Germania - è di ritorno. Di quel Sessantotto c'è oggi nostalgia Del Sessantotto che può diventare rivoluzione democratica ma può anche insabbiarsi, originalmente rinchiudersi, godere all'ombra di muri sbrecciati ma immortali. Il romanziere Peter Schneider scriveva: è una frontiera che divide ma movimenta anche le esistenze Un vaccino antinoia Uno studente vicino alla Porta di Brandeburgo «E'come un raptus mistico, come vivere di persona il Fidelio di Beethoven» Pubblichiamo il reportage che scrisse da Berlino Barbara Spinelli in quei giorni del novembre 1989 quando migliaia di persone correvano alla Porta di Brandeburgo per «essere li dove si fa la storia mondiale» tra angosce e speranze per il futuro. Barbara Spinelli Qu