Sconfitta solo dalle «Am lire»

Sconfitta solo dalle «Am lire» Sconfitta solo dalle «Am lire» E per Bonaventura un milione di premio la storia Filippo CescarsHI ROMA E rà? allora: chi ci ridarà mai la lira? Come potremo dimenticarla? E quanto ci manche- Tanto, ci mancherà, tantissimo. Al punto da ispirare in ciascuno una specie di elegia preventiva per la lira, per l'oggetto di carta o di metallo, per i ricordi — stati dell'animo, sicurezze, complicazioni — che ha lasciato impressi, in attesa dell'inesorabile trapasso. E nonostante tutto: perché l'amore degli italiani per la loro moneta è di quelli che tipicamente si scoprono quando stanno per finire. Chi ha più di quarant'anni non ha fatto in tempo a maneggiare la monetina da una lira e se la rimira, oggi, con poetico sbigottimento per quel paese ancora così arcaico, e agrario, e pagano perfino, che vi aveva impresso la cornucopia. Sarebbe curioso sapere quanti sanno nel 1999 cosa è la cornucopia. E' un corno rovesciato dà cui straborda un'abbondanza di messi e di frutti. Segno di una prosperità evidentemente sognata. «Per una liraaaaa — cantava Battisti negli anni Sessanta — io vendo tutto quel che ho. Per una liraaaa». Ma era un paradosso, ormai, una provocazione. La monetina da 5 lire, con il delfino augurale, invece quella si. Ci si acquistavano caramelle singole e pacchetti di figurine— pre-Paiuni — avvolte in carta velina. E serviva a fare andare su certi ascensori. Qualche ragazzino cattivo la bucava e con uno spago per ritirarla su dopo il click. La dieci lire, con aratro, quindi anch'essa agricola, si metteva in certe macchinette con manopola per la gomma americana. A quel punto, però, le banconote da mille e da diecimila non erano più grandi come lenzuola. Per anni i "grandi" le avevano ripiegate coscienziosamente nei loro enormi portafogli, verdi e marroncine, con¬ sumate e odorose. Lire, lire, che nostalgia... Vennero poi le cinquecento d'argento, con la nave e la bandierina alla rovescia. Alla Zecca, questa entità misteriosa, hanno sempre avuto una straordinaria abilità a sbagliare. Ancora qualche anno fa, proprio in vista dell'unità monetaria, sono riusciti a sbagliare la mappa d'Europa. Forse però non dipende dalla Zecca quell'altro fatto, così irresistibilmente italiano, di avere non una, non due, ma addirittura tre diversi tipi di cento lire da anni in circolazione. Lo fece notare Prodi, con molto buonsenso, ai tempi del pullman (1995). Poi Prodi ha vinto, ha governato, l'hanno mandato via, ma le tre differenti cento lire ci sono ancora, comprese le minuscole che tutti odiano. Insomma: sembra incredibile che si possa fare a meno della lira, con la sua risonanza simbolica. I suoi proverbi un po' fasulli: «Ogni lira guadagnata è una lira risparmiata». I suoi modi di dire antichi e liquidatori: «Gli mancano 19 soldi a fare una lira» (detto di chi ha nulla, essendo il soldo la ventesima parte della lira). I suoi gerghi (22 espressioni dialettali annotate nel dizionario del Ferrerò). In fondo, è stata (anche) un'epopea gloriosa, con tutto che nelle enciclopedia la lira venga sistematicamente preceduta dallo strumento musicale, anch'esso invero in disuso, e da una costellazione boreale. Ieri sera le agenzie di stampa tramandavano una storia per certi versi millenaria. Risalente a Carlo Magno, coniata nel secolo XV a Venezia e Milano, introdotta in Piemonte nel 1562. Ma senza starla a fare troppo remota, era il 1927 quando il duce ne restaurò la convertibilità in oro. Nelle sue memorie Guido Carli lascia credere che Mussolini, di passaggio a Pesaro, abbia più o meno improvvisato «Quota 90» (90 lire cioè per una sterlina). Ma certo gli anni trenta furono quelli delle canzoni che tutti oggi ricorderanno, e che allora sanzionarono la pacata modestia di un paese, peraltro niente affatto bellicoso, do¬ ve si cantava, pressappoco: «Se potessi avere mille lire al mese, sarei sicuro di potere poi trovare tutta la felicità. Modesto impiego, io non ho pretese...». Mentre nei disegni di «Sto», Sergio Tofano, sul Corrierino dei piccoli, con un milione di lire terminava l'avventura del signor Bonaventura. Nel 1934 Marguerite Yourcenar ambienta in Italia Moneta del sogno, una storia che corre appunto lungo l'itinerario di una moneta d'argento passata di mano in mano. La moneta finisce anche nella fontana di Trevi, dove la raccoglie un operaio delle Condotte Pubbliche che se la beve all'osteria. Lì più o meno termina il romanzo (tradotto da Oreste del Buono). Nel 1936 la lira fu svalutata (del 40,90), ma il peggio doveva venire tra il 1938 e il 1947 allorché, grazie alla sciaguratissima guerra, il suo potere d'acquisto diminuì di 53 volte. Il misero popolo della «lira sotto il mattone» si svegliò una mattina senza neppure gli occhi per piangere. Nel Sud liberato, nel frattempo, circolavano banconote made in Usa che prima della parola lira recavano stampigliata la sigla A.M. {Allied Military). Le Am-lire furono la mortificante divisa della sconfitta, la currency impiegata nello più selvagge compravendite del mercato nero, dalla Napoli de La Peste alla pineta di Tombolo, passando per le bancarelle capitoline di Tor di Nona. Poi — era l'anno Santo del 1950 — anche le Am-lire sparirono. La lira tornò lira. 1 leaderpolitici parlavano abitualmente dei prezzi dei generi alimentari nei loro comizi. A messa passava il sagrestano con un bastono che terminava con una borsa. Nessuno versava banconote. E al benzinaio: cinquecento normale e cinquecento super. Così, piano piano, l'antico «gruzzolo» si fece «pacco», tenuto insieme prima da spaghi e poi da elastici, nelle tasche di furbi capi-cantieri o di piccoli, astuti capi-officina. La busta paga era di primordiale semplicità: a volte nemmeno chiusa. Una dozzina d'anni appresso quegli stessi capi-cantieri (divenuti palazzinari) e capioperai (divenuti imprenditori), in attesa di essere nominati commendatori e cavalieri del Lavoro, festeggiavano con le loro moglie e figlie ingioiellate il primo miliardo. Il signor Bonaventura si adeguava, la voluttà del numero cresceva. La lira, in America, ebbe anche l'Oscar e Andreotti se ne compiacque, pure con quel siciliano di genio che s'era comprato la Franklin: Michele Sindona. Poi l'inflazione divampò di colpo, lasciandoci una valanga di pezzettini di carta benevolmente detti «mini-assegni». Ogni tanto qualche governante chiedeva la lira pesante. Poi però cascava il governo. Tangentopoli fu preceduta dalla moglie di un tangentaro che una notte, come in un soggetto di Zavattini, buttò i soldi di una bustarella giù dalla finestra. A Craxi tirarono le monetine. Senza più cornucopia. Quasi mai l'abbondanza corrisponde alla serenità. Gli storici la fanno risalire a Carlo Magno Il Duce restaurò la convertibilità in oro Poi vennero le tangenti Military). Le Ammortificante div Mimota,piùmeLapatol'ale podenevachNeal mpisi Sotto il titolo la fontana di Trevi «scrigno» di monetine e desideri A sinistra Michele Sindona e un pacco degli storici biglietti da diecimila «formato lenzuolo» li f l